S. Ronchey, Ipazia, l’intellettuale, in A. Fraschetti (a cura di), Roma al femminile, Roma, Laterza, 1994, pp. 213-258
Il saggio si divide in cinque parti. Nella prima («Ipazia, o della faziosità degli Alessandrini») la vita e la morte di Ipazia vengono ricostruite (attraverso le notizie di Suida, Esichio di Mileto, Damascio, Socrate Scolastico, Giovanni di Nikiu et al.) nel contesto delle violente agitazioni e degli scontri ideologici e religiosi nell'Egitto del IV e V secolo. La seconda sezione (La fortuna di Ipazia) analizza la grande fortuna che la figura e la vicenda di Ipazia riscossero nella letteratura e nel pensiero europeo tra Seicento e Ottocento (da Voltaire a Monti, da John Toland a Diodata Saluzzo Roero), pur nelle diverse prospettive assunte in area protestante e in area cattolica, in campo illuminista o nelle correnti romantiche. Nella terza parte (Giudizio e pregiudizio delle fonti), constatata l'esistenza di due versioni della vicenda di Ipazia, una cristiana e una pagana, ciascuna delle quali declinata in chiave moderata o oltranzista, si rilevano i tratti idealizzanti attribuiti, nelle fonti, alla sua figura, e il retroterra ideologico del loro formarsi. La quarta parte del saggio (Sinesio, Ipazia e la «philosophia») approfondisce l'indagine sugli studi e sull'attività didattica di Ipazia, soprattutto attraverso le testimonianze del suo allievo Sinesio. L’interesse di Ipazia per la "geometria" e l’astronomia, ma anche l'esoterismo di parte del suo insegnamento e gli elementi teurgici che vi si colgono, inducono ad attribuire alla sua figura di scienziata e filosofa un complementare e dominante carisma sacerdotale: il genere di philosophia del quale fu cultrice deve inquadrarsi nel rapporto fra la donna e il sacro, coerentemente con quella concezione della preminenza femminile nell'ambito soprarazionale che è lascito della spiritualità tardoantica. È alla luce di queste considerazioni che si valuta, nella parte conclusiva del saggio, il «martirio» di Ipazia. Le accuse convergenti, da parte pagana e cristiana, sul suo carnefice, il vescovo Cirillo, da un lato confermano la sua responsabilità nel selvaggio assassinio, pur negata finora dalla chiesa cattolica, e d’altro lato paradossalmente concorrono alla trasfigurazione cristiana della donna, obliterando la connotazione concretamente politica e sociale della sua vicenda.
RECENSIONI
A. Borgo in Bollettino di Studi Latini 1996 (26), pp. 343-346
M. Giovini in Maia 1997 (49), pp. 467-470
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