Hypatia:The True Story
2021
Silvia RoncheyDe Gruyter
This study reconstructs Hypatia’s existential and intellectual life and her modern Nachleben through a reception-oriented and interdisciplinary approach. Unlike previous publications on the subject, Hypatia explores all available ancient and medieval sources as well as the history of the reception of the figure of Hypatia in later history, literature, and arts in order to illuminate the ideological transformations/deformations of her story throughout the centuries and recover “the true story”. The intentionally provocative title relates to the contemporary historiographical notion of “false” or “fake history”, as does the overall conceptual and methodological treatment. Through this reception-oriented approach, this study suggests a new reading of the ancient sources that demonstrates the intrinsically political nature of the murder of Hypatia, caused by the phtonos (violent envy) of the Christian bishop Cyril of Alexandria. This is the first comprehensive treatment of the figure of Hypatia addressed to both academic readers – in Classics, Religious Studies, and Reception Studies – and a learned, non-specialist readership.
Altro su questo volume:
Riconoscimenti (3)
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Premio Pisa 2012
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Premio Teocle 2011
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Premio Citta delle Rose 2011
Audio e video (7)
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2010 | La7 Bookstore. Ipazia. La vera storia
Condotta da Alain Elkann, una lunga intervista su Ipazia e sul volume di Silvia Ronchey, Ipazia. La vera storia.
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2010 | Rai Radio3 28 minuti. Ipazia. La vera storia
Silvia Ronchey e Barbara Palombelli, nel corso della puntata andata in onda il 25 Novembre 2011, dialogano intorno al volume Ipazia. La vera storia, Rizzoli, 2010.
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2010 | Rai3 TG3 Linea Notte. Ipazia. La vera storia
Silvia Ronchey nel corso della puntata di Linea Notte condotta da Maurizio Mannoni e andata in onda il 25 novembre 2011 ha presentato il suo libro Ipazia. La vera storia.puntata
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2010 | Rai Radio3 Uomini e profeti. Ipazia. La vera storia
Silvia Ronchey e Gabriella Caramore, nel corso della puntata andata in onda il 20 Novembre 2010, dialogano intorno all’ultimo volume di Silvia Ronchey, Ipazia. La vera storia, Rizzoli, 2010.
Ascolta online o scarica qui il podcast. (clicca col tasto destro e salva)
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2010 | Rai Radio1 GR1. Ipazia. La vera storia
Ai microfoni di Radio 1, Silvia Ronchey e Anna Longo dialogano intorno all’ultimo volume di Silvia Ronchey, Ipazia. La vera storia, Rizzoli, 2010.
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2010 | Festival dell'Eccellenza Femminile 2010. Ipazia e la biblioteca d'Alessandria
Intervistata su Ipazia, Silvia Ronchey descrive la filosofa e il suo volume: Ipazia. La vera storia, Rizzoli, 2010
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2010 | Treccani: incontro-dibattito su “Ipazia - Una donna per la libertà”
Intervento di Silvia Ronchey durante l'incontro-dibattito su "Ipazia - Una donna per la libertà, la scienza, contro ogni fanatismo" in occasione della presentazione dell'uscita in Italia del film AGORA di A. Amenabar (14 aprile 2010).
Stampa (34)
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Il Giornale | 14/04/2010 | Non era atea ma oggi servono icone laici…
Un film sul passato racconta comunque il presente. Agorà di Alejandro Amenábar, che uscirà venerdì 23, evoca il martirio - quindici secoli fa - di Ipazia (Rachel Weisz, premio Oscar per The Constant Gardener), descrivendo la lotta fra monoteismi nel V secolo della nostra era. Ne parlo con Silvia Ronchey, che insegna civiltà bizantina all'Università di Siena ed è biografa di Ipazia: il suo libro uscirà in autunno. Signora Ronchey, è strano: su Internet ci si batte da mesi su Ipazia, per cui vale il quesito posto da Manzoni per Carneade. E ciò solo perché in Italia Agorà non usciva. «Ora ho visto anch’io il film. E m’è piaciuto! Agorà invita alla riscossa di ideali e simboli di tolleranza contro fedi e ideologie. Ipazia fu fatta uccidere dal vescovo Cirillo e il suo gesto fu condannato anche dagli ambienti cristiani di Costantinopoli». Ma ora il film esce senza altri tagli che quelli fatti dal regista per accorciarlo da due ore e mezza a due ore. Dunque? «Agorà era al Festival di Cannes un anno fa, nella rassegna principale: se ne era parlato. Però non usciva in Italia. Così era nato il sospetto». Ogni anno vari film di Cannes non escono in Italia. E Agorà doveva sembrar caro subito e non redditizio alla lunga. «Considerazioni normali per chi conosce le regole del gioco della distribuzione e dell’esercizio cinematografico. Ma il clima politico ha indotto alcuni a pensar male». Così di solito non si sbaglia. Eppure Mikado ha preso il film solo in dicembre, quando costava meno.Epoi contro Agorà non è insorto un Messori, come contro Io loro e Lara e contro Lourdes. «In Italia il laicismo resta e resterà minoritario. Su Agorà si sarà frainteso, ma con esso il laicismo ha trovato un simbolo». Ipazia, sacerdotessa dell’ultimo politeismo classico, non era atea. Né illuminista. «Infatti. Però ora è divenuta l’icona di una fede non pervasiva. Ipazia aveva una doppia personalità: quella che lei ha detto e quella della filosofa e della scienziata. Ed è quest’ultima che è stata adottata oggi». Non è una visione parziale? «Sì e lo scrivo nel mio prossimo libro. Agorà talora sfiora - mostrando Sinesio, che veniva dal politeismo di Ipazia, come unc ristiano bigotto-un settarismo uguale e contrario a quello che combatte». Nel film ci sono altre licenze storiche? «Dare alla setta dei parabalani cristiani un accento semitico e atteggiamenti che suggeriscono il paragone con certi estremisti islamici di oggi».
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Il Gazzettino | 20/04/2010 | Quando i cattivi erano i cristiani, S. Frigo
Arriva il ciclone "Agora" (vedi servizi a fianco), e si ritorna a parlare dell’astronoma, matematica e indovina Ipazia, tragica e luminosa figura di martire (pagana) della libertà di pensiero contro gli oscurantismi religiosi. A partire dal film di Amená- bar, infatti, su Ipazia si sono moltiplicati in questi giorni gli interventi dei maggiori intellettuali italiani, sono in arrivo romanzi e saggi, si moltiplicano i convegni: oggi a Milano, ad esempio, con Umberto Eco (che ha dedicato a Ipazia alcune pagine del suo "Baudolino") e Vito Mancuso, o domani a Genova, con don Andrea Gallo e Franco Cardini. La Tartaruga edizioni pubblica "Ipazia muore", un libro di Maria Moneti Codignola sulla vicenda umana della prima scienziata nella storia, mentre da Neri Pozza è uscito un romanzo - "Azazel", del noto intellettuale egiziano Youssef Ziedan - che attraverso la figura tormentata di un monaco racconta i violenti conflitti religiosi dei tempi in cui maturò la tragica fine della studiosa. Perchè questo è il punto centrale delle attuali discussioni su di lei: c’è stato un tempo in cui i "cattivi" erano i cristiani, o almeno alcune loro frange estremiste, che non sembra esagerato accostare ai moderni talebani. Questo è almeno il parere della storica e bizantinista Silvia Ronchey, che proprio a partire dal "fenomeno Ipazia" sta aggiornando in vista della ripubblicazione un suo vecchio libro sul Patriarca di Alessandria Cirillo, santo e dottore della Chiesa, ma anche mandante del brutale omicidio. «Dal punto di vista storico l’accostamento di queste frange cristiane, di bassa estrazione sociale, stanziate nel deserto, fanatiche e violente, con i moderni fondamentalisti islamici non è peregrino. In particolare gli assassini di Ipazia appartenevano alla categoria dei "parabalani" (non "parabolani" come li chiama il film, suggerendo indebite assonanze con le parabole cristiane), cioè barellieri, perchè si trattava di gente incaricata di funzioni assistenziali, in origine con lo statuto di chierici, successivamente evolutasi in una milizia efferata e fanatica». Si presenta dunque, nell’Alessandria del quarto-quinto secolo, il contrasto fra ceti periferici emergenti ed èlites urbane consolidate che ha spesso connotato i peggiori conflitti, compreso quello forse più recente e più cruento, a Sarajevo. Perchè questo fu, al fondo, la sostanza dello scontro che alla fine vide prevalere l’aggressività dei cristiani antesignani dell’eresia monofisita (che negava la natura umana di Cristo) sulla classe dirigente pagana e sulla comunità giudaica già lobby dominante, fatta oggetto di veri e propri violentissimi pogrom. «Perchè questo fu un altro aspetto del conflitto - spiega Silvia Ronchey - l’utilizzo da parte cristiana di una violenza di tipo terroristico». A farne le spese, con Ipazia, fu una concezione laica e aperta del confronto religioso e civile che si era consolidata ad Alessandria, ma anche a Smirne. Ma non furono, com’è noto, gli unici momenti della storia in cui la religione cristiana si manifestò con le stigmate della violenza piuttosto che quelle della pace. Silvia Ronchey cita, naturalmente la quarta crociata, «quando nel saccheggio di Costantinopoli del 1204 i crociati si mostrarono ben più brutali degli uomini di Mehmet II»; e ricorda anche le violenze dell’Inquisizione contro i Bogomili (altra eresia cristiana) che nei decenni successivi avrebbe di fatto consegnato la Bosnia alla religione islamica. «Questa è la lezione da trarre da questa vicenda - conclude la studiosa - proprio mentre da varie parti si teorizza il primato della Cristianità sull’Islam, che sarebbe una religione intrinsecamente violenta».
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La Stampa | 15/11/2010 | Ipazia per sempre, Silvia Ronchey
Nel quinto secolo la morte di Ipazia non segna la fine di un’era, ma, come avevano intuito sia Diderot sia Chateaubriand, segna un inizio. Ipazia muore, ma passa la fiaccola. Il nucleo intellettuale di cui è erroneamente vista come l’«ultima» esponente è in realtà quello da cui germoglierà per undici secoli la fioritura più rigogliosa della cultura bizantina. Dove il paganesimo sopravvivrà non solo, nella sua accezione più alta, nel platonismo filosofico, ma anche nel culto popolare cristiano; dove all’olimpo dell’antico politeismo si sostituiranno il martirologio e il sinassario, alle narrazioni mitologiche le leggende agiografiche, alla selva dei simulacri pagani la folla delle icone. Il quinto secolo non è l’orlo di un baratro, come spesso ha indotto storici e letterati a credere l’errata percezione del millennio bizantino come «decadenza infinitamente protratta», anche questa ampiamente legata alla propaganda papista. È, invece, l’inizio di un’inversione di tendenza, la vigilia di una rinascita della paideia antica. La condanna di Cirillo nelle fonti bizantine, contrapposta alla sua difesa nella Roma dei papi, è la cartina al tornasole della persistente volontà di separazione tra Stato e Chiesa che a Bisanzio, Stato laico anche se con religione di Stato, si applicò senza soluzione di continuità. L’esistenza nel cuore dell’Europa di uno Stato della Chiesa, il cui capo spirituale è anche detentore di un potere temporale, è un unicum storico. Là dove questa anomalia non si è prodotta, non si è avuta interruzione della cultura antica. Lo studio dei testi antichi è continuato, insieme alla tradizione manoscritta e alla trasmissione delle idee, anche se queste potevano talvolta apparire in conflitto con l’ideologia cristiana dominante. La fiaccola di cui Ipazia è stata portatrice non si è spenta, ma molti altri uomini e donne hanno continuato a passarla. Attraverso di loro, la philosophia di Ipazia, di Sinesio e degli antichi, eclettici o meno, philosophes di Alessandria arriverà al nostro Umanesimo e Rinascimento. E per questo tramite, all’illuminismo e a quelle altre correnti di opinione che hanno spezzato l’omertà della Chiesa occidentale e fatto di Ipazia il simbolo della libertà di pensiero. Con distorsioni e deformazioni, perché nel mondo occidentale moderno, che non ha conosciuto finora abbastanza Bisanzio, la vicenda di Ipazia poteva difficilmente essere compresa nei suoi corretti termini storici. È stata così attualizzata e adattata ai tempi, come del resto la storia fa sempre, secondo il mai abbastanza citato detto di Croce per cui si fa storia solo del presente. Ma su un punto non si può non essere concordi: a qualunque cosa Ipazia sia somigliata di più, a una studiosa o a una sacerdotessa, a una composta insegnante o a un’aristocratica eccentrica e trasgressiva; che sia stata giovane o no, che abbia fatto o no davvero innamorare i suoi allievi, che abbia o no – non è escluso – scoperto qualcosa di nuovo; che l’insegnamento iniziatico da lei impartito con tanto successo all’inquieta aristocrazia ellenica offrisse o no già la rivelazione che a un livello alto la teologia platonica inglobava quella cristiana e che gli improbabili dogmi di quest’ultima andavano tollerati, praticando l’arte platonica della «nobile bugia», perché utili al popolo quanto ogni antica superstizione pagana; che sia stata risoluta nello sbarrare il passo all’ingerenza della Chiesa nello Stato e troppo ingombrante nello sfidare la strategia di Cirillo con la sua parrhesia, o che la sua morte sia stata solo un incidente dovuto al subitaneo isterismo di un influente prelato cristiano ottenebrato dall’emulazione e dall’ambizione, oltreché al momentaneo disorientamento di un prefetto augustale romano messo in difficoltà da un vuoto di potere imperiale; in ogni caso, ogni volta che nella storia si ripropone, e si ripropone spesso, il conflitto tra un Cirillo e un’Ipazia, una cosa è certa: siamo e saremo sempre dalla parte di Ipazia.
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Libero Quotidiano | 17/11/2010 | Ipazia. Tanto rumore e lotte ideologiche…, Miska Ruggeri
La bella alessandrina, fatta a pezzi e bruciata dai seguaci del vescovo Cirillo, scrisse solo commenti a opere tecniche. La sua fama postuma è tutto merito della fine tragica
Ipazia. Un nome mantra. Ipazia, Ipazia, Ipazia... Da cui sgorga «un fiotto di un’espressa forza» (Mario Luzi), un’idea di “acutezza” ed “eminenza” (in greco hypate è un superlativo femminile derivato dalla preposizione hyper e anche la nota più alta della scala musicale). Per gli astronomi, è un asteroide (238 Ipazia),un craterelunare (Ipazia I e Ipazia II) o un sistema di depressioni lineari lungo un’insena - tura del Mare Tranquillitatis (le Rimae Hypatia); per i letterati, una delle città fantastiche di Italo Calvino. Ma, in generale, un simbolo, un’icona. Di mille cose diverse. Della laicità, del femminismo, della libertà di pensiero, della superiorità del paganesimo, della battaglia antipapista, della massoneria... E quindi: chi diavolo era la figlia del sapiente Teone, ultimo cattedratico del Museo? Una grande scienziata, una filosofa, una sacerdotessa e teurga, una strega o addirittura una santa cristiana? Storici, poeti e romanzieri l’hanno strumentalizzata e trasfigurata ad libitum. Tanto che districarsi tra interpolazioni e manipolazioni, iniziate fin da subito, è diventata un’impre - sa disperata. Lo ammette anche la bizantinista Silvia Ronchey, la quale, a dispetto del titolo del suo ben documentato saggio, Ipazia - La vera storia(Rizzoli,pp. 320,eu - ro 19), scrive chiaramente che la vicenda dell’alessandrina «non sarà mai interamente ricostruibile». Non conosceremo mai nemmeno il suo volto reale - se bruna e ambrata come un egizia o bionda e diafana come la dipinge il preraffaellita Mitchell. Tuttavia non per questo, armata di acribia filologica e di un solido metodo storico, rinuncia ad attaccare il mistero, eliminando le incrostazioni più grossolane. Un conflitto politico Così nella sua inchiesta divisa in tre sezioni (ma perché una “Docu - mentazione ragionata” al posto delle classiche e comode note?) la Ronchey prima chiarisce le linee principali dei fatti, essenzialmente politici (conflitto tra il papasCirillo e il laico augustalis Oreste, con la comunità ebraica di mezzo), che duta del terzo libro dell’Almagesto di Tolomeo all’interno del commento di Teone, sono semplici commenti tecnici, alle Coniche di Apollonio di Perga, all’Algebra di Diofanto e alle Tavole facilidi Tolomeo (è questa, con ogni probabilità, l’opera chiamata dalle fonti Ca - none astronomico). Nulla di originale: solo contributi elementari e pedagogici, addirittura, secondo Wilbur Knorr, indici di una «essentially trivial mind». Inoltre, le invenzioni di Ipazia, un astrolabio piatto, un idroscopio e un aerometro sarebbero, secondo l’opinione di molti scienziati di oggi, strumenti inutili, buoni giusto per la mantica. Il resto, a cominciare dal “sistema ipaziano” precursore di quello copernicano e dall’esistenza di opere perdute o conservate anonime o sotto falso nome, sono illazioni o congetture, se non veri e propri deliri di improbabili cultrici deifema - le studies e «di storici della scienza disinformati e disinformanti». Le lezioni esoteriche Certo, oltre all’insegnamento essoterico, ne esisteva anche uno esoterico, impartito nella sua abitazione privata a studenti selezionati (un cenacolo di iniziati) e testimoniato dal suo devoto allievo Sinesio. Roba connessa con il sacro, la conoscenza del divino, l’occulto, la Tradizione, senza dubbio importante, come tiene a sottolineare la Ronchey, per la linea sotterranea del platonismo che, attraverso il millennio bizantino, arriverà al nostro Umanesimo e Rinascimento, ma comunque roba che ci porta mille miglia lontano dall’idealizza - ta figura del «Galileo in gonnella». Davvero quindi, senza nulla togliere alla barbarie del «sacrificio» di Ipazia, vittima innocente di uno scontro di potere tra Stato e Chiesa, si può dire, con John M. Rist, che solo la sua terribile morte «le assicurò una gloria postuma che i suoi risultati filosofici non le avrebbero mai garantito». portarono nel marzo del 415 al linciaggio di Ipazia, tirata giù dalla carrozza, spogliata nuda, scorticata con cocci aguzzi (o fatta a pezzi o smembrata in forma rituale), privata ancora viva degli occhi e in ultimo data alle fiamme dai paraba - lani, monaci scesi dai monti di Nitria e manovrati dal «geloso zelo» del vescovo. Quindi passa in rassegna il suo oltrevita nella modernità, cartina al tornasole delle varie militanze politico-culturali degli esegeti, dal deismo di John Toland fino alle critiche moderniste all’ala tradizionalista della Chiesa di oggi. E infine cerca di interpretare i fatti, a partire dalle testimonianze più antiche (Socrate Scolastico, Filostorgio, Esichio di Mileto, Damascio e il vescovo copto Giovanni di Nikiu). Il capitolo più importante del libro è forse quello intitolato “Che cosa insegnava Ipazia?”, da cui emerge come, in fondo, avesse ragione Edward Morgan Foster, nella sua celebre guida di Alessandria, a definirla «una signora di mezza età che insegnava matematica... non una figura di grande rilievo». Nata intorno al 370, aristocratica fino al midollo (altro che cinica con indosso il tribon), ascetica se non addirittura vergine (per respingere un allievo troppo passionale, racconta Damascio, gli parò davanti un panno intriso di sangue mestruale dicendogli: «In definitiva è di questo, ragazzino, che ti sei innamorato, di niente di sublime»), Ipazia nelle sue lezioni ufficiali insegnava matematica, geometria e astronomia e i rudimenti dei classici, come Platone e Aristotele, e dei neoplatonici. Tutto qui. I suoi libri, a parte l’edizione riveduta del terzo libro dell’Almagesto di Tolomeo all’interno del commento di Teone, sono semplici commenti tecnici, alle Coniche di Apollonio di Perga, all’Algebra di Diofanto e alle Tavole facilidi Tolomeo (è questa, con ogni probabilità, l’opera chiamata dalle fonti Ca - none astronomico). Nulla di originale: solo contributi elementari e pedagogici, addirittura, secondo Wilbur Knorr, indici di una «essentially trivial mind». Inoltre, le invenzioni di Ipazia, un astrolabio piatto, un idroscopio e un aerometro sarebbero, secondo l’opinione di molti scienziati di oggi, strumenti inutili, buoni giusto per la mantica. Il resto, a cominciare dal “sistema ipaziano” precursore di quello copernicano e dall’esistenza di opere perdute o conservate anonime o sotto falso nome, sono illazioni o congetture, se non veri e propri deliri di improbabili cultrici deifema - le studies e «di storici della scienza disinformati e disinformanti». Le lezioni esoteriche Certo, oltre all’insegnamento essoterico, ne esisteva anche uno esoterico, impartito nella sua abitazione privata a studenti selezionati (un cenacolo di iniziati) e testimoniato dal suo devoto allievo Sinesio. Roba connessa con il sacro, la conoscenza del divino, l’occulto, la Tradizione, senza dubbio importante, come tiene a sottolineare la Ronchey, per la linea sotterranea del platonismo che, attraverso il millennio bizantino, arriverà al nostro Umanesimo e Rinascimento, ma comunque roba che ci porta mille miglia lontano dall’idealizza - ta figura del «Galileo in gonnella». Davvero quindi, senza nulla togliere alla barbarie del «sacrificio» di Ipazia, vittima innocente di uno scontro di potere tra Stato e Chiesa, si può dire, con John M. Rist, che solo la sua terribile morte «le assicurò una gloria postuma che i suoi risultati filosofici non le avrebbero mai garantito».
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Il Tempo | 21/11/2010 | Ipazia. La vera storia da eroina della l…
Ipazia visse 15 secoli fa. Fu matematica e astronoma, sapiente filosofa, influente politica, sfrontata e carismatica maestra di pensiero. Fu bellissima e amata dai suoi discepoli, pur respingendoli sempre. Fu fonte di scandalo e oracolo di moderazione. La sua femminile eminenza accese l'invidia del vescovo Cirillo, che ne provocò la morte, e la fantasia di poeti e scrittori di tutti i tempi. Con rigore filologico e storiografico e grande abilità narrativa, Silvia Ronchey ricostruisce in tutti i suoi aspetti l'avventura esistenziale e intellettuale di Ipazia, inserendola nella realtà culturale e sociale del mondo tardoantico, sullo sfondo del tumultuoso passaggio di consegne tra il paganesimo e il cristianesimo.
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Il Foglio | 04/12/2010 | Ipazia. La vera storia, Nicoletta Tiliacos
Alcuni l’hanno incoronata come eroina protofemminista, altri come martire della libertà di pensiero. Alcuni l’hanno commemorata come agnello sacrificale dell’ultimo paganesimo, altri ancora come prima strega bruciata sul rogo dall’inquisizione ecclesiastica”. Nell’enumerare, approfondire e incrociare queste e altre interpretazioni della figura, della vita e della morte della filosofa Ipazia – assassinata nel Quinto secolo ad Alessandria d’Egitto dai monaci cristiani parabolani, su mandato del vescovo Cirillo – la bizantinista Silvia Ronchey sa di camminare su un terreno scivoloso. Un terreno su cui più volte, nei quindici secoli che ci separano da quella morte eccellente, sono fiorite tesi che hanno occultato, più che rivelato, il vero volto di Ipazia. La donna sapiente, casta, bella, coraggiosa, personaggio eminente della sua città, idolatrata dai discepoli e demonizzata da chi (soprattutto Cirillo) ne invidiava l’autorevolezza e il rango, è stata via via abbigliata di vesti improbabili che varie scuole di pensiero non hanno mai smesso di imbastirle addosso. Non è quindi un caso se, nel decidere di saldare con Ipazia un debito di verità, Silvia Ronchey dichiara, all’inizio di questa rigorosa e appassionante inchiesta, che cosa l’alessandrina non è mai stata: “Non una filosofa cinica, non una criptocristiana, non una scienziata perseguitata dalla chiesa per le sue scoperte astronomiche, non una protofemminista”. Lo storico fedele alla propria disciplina non è aiutato dal fatto che di Ipazia non ci resta nulla o quasi. Non conosciamo la sostanza del suo pensiero e le sue opere, se non per allusioni delle poche fonti a lei contemporanee (il suo discepolo, e poi vescovo, Sinesio, lo storico cristiano Socrate Scolastico) che ne elogiano il carisma irresistibile e la sapienza somma. Così come nulla sappiamo delle teorie astronomiche di colei che fu figlia del grande matematico Teone, e che si vorrebbe anticipatrice del sistema copernicano. Molti indizi, scrive Ronchey, ci portano però ad attribuirle un ruolo di figura sacrale, di iniziata circonfusa del grande prestigio sociale e politico che quello status ancora garantiva nell’Alessandria del Quinto secolo. Quel prestigio doveva provocare il “madornale e irrazionale accesso di frustrazione di Cirillo”, il quale vide in Ipazia un insopportabile ostacolo alla propria influenza sulla città. L’interesse e l’ammirazione quasi devozionale che ancora oggi la filosofa riesce a suscitare si radicano anche nell’orrore per la modalità della sua morte. Quella sì, tramandata nei più sanguinosi particolari, degni di un sacrificio arcaico. L’accento messo sul suo martirio, spiega Ronchey, farà addirittura trascolorare, con illusionistica metamorfosi, la figura di Ipazia in quella di santa Caterina d’Alessandria. Il momento storico che ha contenuto la vicenda di Ipazia fu, come pochi, carico di conflitti. Le sopravvivenze pagane mentre si consolida la statalizzazione del culto cristiano – la fine di un mondo e l’inizio di un altro, come si usa dire – rimandano al problema sempre attuale del limite tra poteri: Cesare e Cristo, stato e chiesa. A partire dalle testimonianze antiche, Silvia Ronchey mette in luce come le differenti versioni dell’assassinio di Ipazia rivelino opposti atteggiamenti rispetto a come interpretare, affermare o negare, quel limite. Se le fonti bizantine condannano l’assassinio di Ipazia (e arrivano a darle lo statuto di martire) è perché nella Seconda Roma al clero era preclusa ogni prerogativa politica. Se il mondo cattolico santificherà Cirillo, sarà per il motivo opposto. Anche per questo, “nello sfumare delle varie ottiche sull’antico assassinio di piazza e sul segreto personaggio femminile, a manifestarsi con chiarezza non è tanto la fine del paganesimo quanto la metamorfosi del cristianesimo”.
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Agenda Coscioni | 13/12/2010 | La storia di Ipazia, Maria Pamini
Poche sono le informazioni certe su Ipazia: vissuta quindici secoli fa ad Alessandria d'Egitto ereditò dal padre Teone l'amore per la matematica e l'astronomia, a cui associò anche quello per la filosofia. Antiche testimonianze elogiano le sue doti per l'insegnamento e il contributo che diede alla vita culturale alessandrina; pur avendo uno stile di vita austero e ascetico non temeva di parlare apertamente in pubblico. Nel 391 il cristianesimo divenne religione di stato e nell'anno successivo fu emanata per l'Egitto una legge speciale contro i culti pagani. La chiesa d'Egitto partecipò alla mobilitazione antipagana di quel periodo, instaurando un clima di vera e propria guerra religiosa di cui Ipazia fu una delle vittime. Il mandante della sua uccisione fu probabilmente il vescovo Cirillo. Della sua morte si sa con certezza solo che fu atroce. Il libro della Ronchey, studiosa della civiltà bizantina, è ricco di note e di fonti e sottolinea come Ipazia abbia subito una sorta di trasfigurazione postuma, divenendo un'icona della laicità, adottata soprattutto dalla letteratura ottocentesca francese e italiana anticlericale e massonica: Ipazia diviene un'esplicita condanna alla chiesa. Mario Luzi, che ha dedicato un dramma teatrale alla filosofa alessandrina, osserva che “la storia non è finita con il suo essere accaduta”. Il fatto che Ipazia sia tornata in auge in questi ultimi anni testimonia forse il clima di omologazione culturale e la mancanza di libertà di pensiero che respiriamo attorno a noi?
Silvia Ronchey, Ipazia. La vera storia, Rizzoli, 2010, pp. 319, euro 19,00
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Panorama | 22/12/2010 | Ipazia. La vera storia, G. Ierano
Ipazia, la filosofa pagana massacrata dai cristiani di Alessandria d’Egitto nel 415, non fu un «Galileo in gonnella», «uno scienziato perseguitato dalla Chiesa per le sue scoperte». Non fu neppure soltanto la vittima di uno scontro di civiltà tra paganesimo e cristianesimo, uno scontro peraltro forse più ricco di contaminazioni che di conflitti, come insegna la stessa vicenda di Sinesio, allievo di Ipazia e poi intellettuale cristiano. La filosofa fu vittima soprattutto del contrasto politico fra il vescovo di Alessandria Cirillo e il prefetto imperiale Oreste, cristiano pure lui ma legato a Ipazia. Il magistrale saggio di Silvia Ronchey fa giustizia di molti luoghi comuni. E, mentre smaschera le banalità laiciste, non dimentica le mistificazioni clericali che da sempre assolvono dall’accusa di essere mandante dell’omicidio il fanatico Cirillo: per i cattolici un santo ma, nella stessa tradizione cristiana bizantina, un sanguinario malfattore.
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Messaggero Veneto | 22/12/2010 | Ipazia. La vera storia, M. Turello
Ecco, finalmente, la vera storia di Ipazia ricostruita da una bizantinista di grande dottrina, già autrice di saggi memorabili come quella sulla Flagellazione di Piero della Francesca. La studiosa fa giustizia di tutte le sedimentazioni, i fraintendimenti e le distorsioni intorno alla filosofa neoplatonica, matematica e astronoma di Alessandria d'Egitto, uccisa nel 415 dai parabolani del vescovo Cirillo. Lo studio della Ronchey ripercorre le fonti dando voce a Socrate Scolastico, Giovanni di Nikiu, Diderot, Voltaire, Nerval, Gibbon...per dare ragione della fortuna postuma di Ipazia, e dell'attuale soprattutto, quale icone della laicità contro l'intolleranza, la faziosità, il fanatismo.
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Corriere della Sera | 23/12/2010 | Ipazia senza miti: né Galileo in gonnell…, Marco Ventura
Silvia Ronchey riscrive la storia della filosofa pagana uccisa in Egitto da fanatici cristiani. E la colloca nel contesto della civiltà bizantina.
Nel marzo del 415 dopo Cristo, ad Alessandria d’Egitto, Ipazia fu aggredita mentre tornava a casa. I cristiani la trascinarono fuori della sua carrozza e la condussero in una chiesa dove fu denudata e fatta a pezzi a colpi di cocci aguzzi. I resti furono bruciati. Cirillo, vescovo di Alessandria e tutore delle bande di monaci autrici del massacro, alluse all’evento in un sermone: «È stata fatta tacere l’Egizia». Chi era in realtà la «filosofa» Ipazia? Perché fu uccisa e in quale contesto? Nel suo Ipazia. La vera storia (Rizzoli, pagine 319, € 19), Silvia Ronchey risponde secondo il metodo della stessa protagonista: «metodica diffidenza su quanto è stato detto» dell’egiziana e «sistematico smantellamento del suo mito letterario e della sua reinvenzione politico-ecclesiastica e storiografica». Cento pagine di documentazione, un terzo del libro, spiegano il percorso e ancorano il testo alle fonti. Silvia Ronchey svela anzitutto i travestimenti imposti ad Ipazia nei secoli. Galileo in gonnella, eroe anti-cattolico del Settecento illuminista e dell’Ottocento liberale; cripto-cristiana, proto-femminista. Martire del papismo per i protestanti, strega per i cattolici, libera pensatrice per i massoni. La vera Ipazia non fu niente di tutto ciò. Figlia di un maestro del Museo di Alessandria, bella della sua «altera avvenenza», Ipazia incarnava, scrive l’autrice, «la superiorità di casta, l’ascetica compostezza e la dote di aristocratico riserbo che unita al naturale senso del dovere sociale e dell’impegno politico contraddistingueva le classi alte nell’antichità». «Tu hai sempre avuto potere», scrisse ad Ipazia il vescovo Sinesio, suo allievo. A quale potere si riferiva? Ipazia traduceva il neoplatonismo in matematica ed astronomia. Ma le sue formule non si limitavano a rendere il cosmo intelligibile; secondo l’uso esoterico, esse iniziavano ai misteri dell’antica élite pagana la nuova classe dirigente cristiana. Bastava questo perché il vescovo Cirillo, futuro santo e dottore della Chiesa, volesse la morte di Ipazia? A pagina 175 l’autrice ci sorprende. Schiacciate le pratiche pagane, distrutto il Museo, uccisi o banditi gli ebrei, sarebbe stato normale per il tempo che Cirillo tollerasse residui di filosofia pagana inoffensivi per il suo potere. Dell’uccisione di Ipazia, insomma, non vi era necessità. E allora perché? Si evince dalle fonti, secondo l’autrice, che Cirillo cedette a un «madornale e irrazionale accesso di frustrazione», a quel sentimento che gli antichi chiamavano ftonos, all’invidia per il carisma e il prestigio della pagana. Esperta di civiltà bizantina, Silvia Ronchey ha restaurato l’icona di Ipazia. Molte delle incrostazioni accumulatesi nei secoli sono state tolte. Soprattutto, l’Ipazia di Silvia Ronchey è collocata nel suo contesto: nella «millenaria integrazione» di paganesimo e cristianesimo; in una Bisanzio che rifiutò il potere temporale di Cirillo e dei papi e preservò la libertà di Ipazia fino all’Umanesimo e al Rinascimento. Fino a noi.
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ADN Kronos | 23/12/2010 | Ipazia. La vera storia, viaggio nel pens…
LIBRI: 'IPAZIA.LA VERA STORIA', VIAGGIO NEL PENSIERO DELLA FILOSOFA PAGANA = NEL SAGGIO DI SILVIA RONCHEY LE OSTILITA' DEL VESCOVO CIRILLO E LA LOTTA PER LA LIBERA RICERCA Roma, 23 dic.
(Adnkronos) - La verita' sulla filosofa del IV secolo uccisa dal fanatismo dei cristiani e divenuta un'icona del libero pensiero contro l'intolleranza. Il libro di Silvia Ronchey, 'Ipazia. La vera storia' (Rizzoli, pp. 200, euro 18,00 ) mostra il trionfo (anche violento) del cristianesimo sul paganesimo antico nella vicenda esemplare della donna che resta simbolo della liberta' intellettuale e della ricerca della verita'. Ipazia (370-415 d.C.), filosofa, matematica e astronoma dell'antica accademia platonica di Alessandria d'Egitto, fu una martire pagana, uccisa e fatta a pezzi dai cristiani che da poco rappresentavano la religione ufficiale dell'impero romano. Di recente, il film campione d'incassi dello spagnolo Amena'bar, 'Agora'', ha fatto molto discutere per aver presentato il vescovo (e santo) Cirillo di Alessandria come un fanatico terrorista, un violento e un assassino, e i suoi adepti come antesignani degli attuali integralisti islamici. Con rigore storiografico e abilita' narrativa, Silvia Ronchey, docente di Civilta' bizantina all'Universita' di Siena, ricostruisce in questo libro la vita e l'avventura intellettuale di Ipazia, raccontando la realta' culturale e sociale del tardo impero romano. All'origine dell'ostilita' del vescovo di Alessandria, Cirillo, c'era, piu' che la misoginia o l'odio confessionale, l'invidia per l'influenza politica di Ipazia. Nella capitale egiziana si giocava infatti una partita a tre per il potere, tra l'antica e'lite pagana, stretta alla rappresentanza del governo imperiale, i dirigenti cristiani che volevano soppiantarla e la comunita' giudaica, prima lobby dominante, ora gruppo di pressione rivale. Attraverso una vicenda esemplare, queste pagine illustrano il cruciale (e non indolore) passaggio di consegne tra il paganesimo e il cristianesimo.
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Hiram | 01/01/2011 | Guanti bianchi per Ipazia, M. Neri
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Il Giornale | 13/01/2011 | Silvia Ronchey sulle tracce della vera I…, G. Conte
Silvia Ronchey profonde in questo suo libro le qualità che ne fanno una figura rara tra i saggisti italiani di oggi. Da un lato, Silvia Ronchey è animata da un energico, brillante spirito di militanza culturale, con un occhio attento alla attualità e ai suoi aspetti meno ovvii e meno conformistici, quell’occhio acuto con il quale condusse, con Beppe Scaraffia, una delle più intelligenti trasmissioni culturali della Rai, L’altra edicola, che nessuno è più stato capace di resuscitare. Ma dall’altro lato, Silvia Ronchey è una studiosa di primordine, grecista, bizantinista, autrice e curatrice di volumi dottissimi. I lettori di questo suo ultimo libro troveranno tutte le ragioni per le quali Ipazia, la filosofa di Alessandria d’Egitto massacrata dagli uomini del vescovo Cirillo quindici secoli fa, diventa oggi un simbolo formidabile di femminismo, laicità, libertà di pensiero e di parola contro ogni fanatismo religioso e ogni macchina del potere. La figura di Ipazia si erge contro oppressioni, lapidazioni, censure, prevaricazioni, discriminazioni che ancora oggi pesano sul mondo femminile. Esce dall’universo di nicchia del dibattito intellettuale per diventare una icona di dignità del sapere e di libertà dai dogmi che influenza anche il costume contemporaneo. Ma ai lettori Ronchey offre anche una ricostruzione meticolosa oltre che affascinante della tragedia di questa donna-filosofo, condotta attraverso testi rari e di prima mano, e documentata storicamente con un arco molto ampio di posizioni. Dunque Ipazia, figlia di Teone, filosofo della scuola di Alessandria, segue il padre ma lo supera, eccellendo anche in campi come l’astronomia e la matematica, e sviluppando a sua volta doti eccelse nell’insegnamento. Sa parlare in modo fluente, è bravissima nella dialettica, e profonde i suoi discorsi nel cuore della città. Poco incline alla frivolezza, è nondimeno una donna bellissima, equilibrata e austera, ma anche capace di seduzione. Si racconta che a uno studente perdutamente innamorato di lei mostrò un giorno una pezza bagnata del suo sangue mestruale, per colpirlo e indurlo a passare dalla bassezza carnale dell’amore umano a quello spirituale. Naturalmente una donna così non passa inosservata. Per i cristiani, come testimonia con i suoi scritti Giovanni di Nikiu, è piuttosto l’autrice di sortilegi, di inganni satanici. E trova come suo nemico implacabile il patriarca di Alessandria, quel Cirillo la cui santità suona davvero controversa. Prepotente, fanatico, innamorato del potere, Cirillo ha come suo obiettivo polemico l’establishment pagano, di cui Ipazia è figura preminente. Dopo un pogrom antiebraico e l’attacco al prefetto Oreste, Cirillo, mosso dall’invidia del vescovo verso il filosofo, dal sospetto del chierico verso la donna di mondo, ordina l’assassinio di Ipazia. Se ne incarica Pietro il Lettore, capo delle milizie fondamentaliste dei parabalani, eredi degli zeloti. Ipazia viene aggredita mentre torna a casa, trascinata giù dalla sua carrozza, spogliata, straziata con cento ferite. Ancora viva, le vengono cavati gli occhi. Poi il suo cadavere è fatto a brandelli e bruciato. Siamo di fronte a un delitto atroce, tanto più grave perché commesso in nome di una religione il cui fondatore ha predicato mitezza. Cirillo ha il volto fosco dell’intolleranza spinta sino alla ferocia. Non ci stupisce quindi che la figura di Ipazia sia riscoperta, come Ronchey mostra in una interessantissima sezione del libro, dagli Illuministi e dai deisti settecenteschi, da Diderot a John Toland, per poi essere anche riletta da autori di matrice cristiana come Chateaubriand, Péguy o Barrés. E che sia diventata protagonista nei versi di poeti che vanno dalla dimenticata gentildonna romantica Diodata Saluzzo Roero,(autrice del celebre proclama anticlassicista «vate scorda gli Achei scorda le fole») sino al nostro grande Mario Luzi. Un libro, dunque, che offre diversi piani di lettura, e tutti brillantemente risolti in una prosa saggistica chiara, capace di raccontare, di commentare e di prendere posizione. Dovunque rispunti un Cirillo, dovrebbe essere citata l’obiezione solo apparentemente leggera che gli muove l’illuminista per eccellenza, Voltaire: «quando si spogliano nude le belle signore non è per massacrarle». E dovunque rispunti il fanatismo barbarico e maschilista, si deve essere, come conclude con una appassionata perorazione Silvia Ronchey, «dalla parte di Ipazia».
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Il Messaggero | 17/01/2011 | Ipazia, né santa né strega, R. Minore
Il suo assassinio fu uno scandalo che, in quindici secoli, in fondo non si è mai spento. E, a distanza di quindici secoli da quel marzo del 415 dopo Cristo, in cui Ipazia fu fatta a pezzi, dilaniata dai cocci aguzzi armati dal fanatismo della prima chiesa cristiana, non ha mai smesso di far parlare di sé la sua storia «non finita con il suo essere accaduta»: così ha scritto Mario Luzi che, sulla sapiente filosofa alessandrina, ha messo in scena un dramma teatrale, intenso e avvolgente, quello della ragione contro le sanguinose conseguenze di ogni assenza di tolleranza. La figura di Ipazia ha continuato a proiettare la luce del suo martirio sulle battaglie ideologiche religiose e letterarie mosse in tempi diversi, e sulla scia di diversi orientamenti. Con grande fortuna “critica”, ha diviso il mondo antico, è risorta nel Settecento illuminista e nell’Ottocento liberale come cavallo di battaglia dei laici anticlericali, martire del primo pensiero proto- femminista. Anche se i laici hanno esagerato nel trasformarla «in una specie di Giordano Bruno», ha detto Eco nel presentare qualche mese fa il bel film di Amenàbar su questa donna da cui è stata accesa la fantasia di poeti e scrittori. Con un giudizio assai lusinghiero, lo stesso Eco ora accompagna il saggio-biografia (Ipazia, Rizzoli, 315 pagine, 19 euro) di Silvia Ronchey che racconta la sua «vera storia», decongestionando le “visioni” e scrostando le “maschere” che l’hanno accompagnata e camuffata da illuminista e romantica, parnassiana, socialista, protestante, massone, agnostica, vestale pagana e santa cristiana. Il tratto felice della narrazione si muove tra ipotesi e confutazioni, scavando dentro i testi che hanno raccontata Ipazia, come su un doppio registro che, in un centinaio di pagine di appendice, organizza con sapienza la «documentazione ragionata», garantendo una seconda lettura più specialistica. «Bizantinista che sa lavorare sui documenti», la Ronchey mette in scena i protocolli indiziari e congetturali di una vera inchiesta che, con «metodica diffidenza», smantella il mito di Ipazia e la sua reinvenzione politico-ecclesiastica e storiografica. E’ un serrato corpo a corpo con le fonti e i documenti che non aggiungono mai tratti, ma semmai sottraggono «ai pochi che la tradizione antica tramanda, quelli che l’analisi dell’esile fascicolo di testimonianze originarie rimaste ci suggerisce falsi o distorti» su questa carismatica maestra di pensiero e comportamento, vittima del papismo per i protestanti, «maga e strega» per i cattolici. Il percorso indiziario narrativo costruisce con piccoli strategici assestamenti l’immagine di una «composta insegnante», morigerata nella vita e nei sentimenti, diretta o quasi brutale nel modo di fare e di parlare, icona di tolleranza e senso di inclusione. Agnello sacrificale dell’ultimo paganesimo, Ipazia cade sotto i colpi del «moto irrazionale dell’invidia» da cui è divorato il suo nemico, il collerico e umorale vescovo Cirillo, poi santo e Padre della Chiesa. Un brutale eccesso di pulsioni mascherato «da programmatico atto di lotta confessionale o - da ipotetica, comunque sommaria - applicazione delle sanzioni imperiali contro stregoni e maghi». Dopo le molte prove della decostruzione dei testi per arrivare a un «nucleo di verità», l’approdo a ciò che Barthes chiama «la soggettività senza prove» è un cuore caldo di forte germinazione nella appassionata scrittura della Ronchey. Una fonte irradiante da cui può essere felicemente illuminata e rigenerata l’intera storia di una «sacerdotessa laica imperturbabile» che amava il dubbio e detestava la manipolazione come Ipazia, vista nei tempi e nelle continue identificazioni-interpretazioni della sua figura.
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Io Donna | 22/01/2011 | La Filosofa che impauriva gli uomini, A. Benini
«Nel quinto secolo dopo cristo una donna fu assassinata. Non sappiamo molto di lei, se non che era bella ed era una filosofa». Sappiamo anche che siamo e saremo sempre dalla sua parte, scrive Silvia Ronchey in questa inchiesta appassionante, in cui cerca di ricostruire una storia piena di segreti e di battaglie che, via via, hanno provato a cucire addosso a Ipazia, facendone ogni volta il simbolo di qualcosa, manipolandole fonti per adattare quello scandalo al presente. Lei se le è sempre scrollate di dosso, come respingeva gli allievi che faceva innamorare. Non era una protofemminista e non fu la prima strega bruciata sul rogo dell’inquisizione ecclesiastica: era una donna, una ragazza carismatica che cercava la verità e che è stata spogliata nuda e dilaniata con cocci aguzzi (ma è solo l’inizio di quella terribile morte). Fatta uccidere dal vescovo di Alessandria d’Egitto, che era frustrato dal suo prestigio. Massacrata dall’invidia per la forza delle sue parole e del suo sguardo. Ipazia muore, ma passa la fiaccola: da lei nascerà molto altro ancora, e un fascino immortale perle storie di libertà.
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La Gazzetta di Parma | 25/01/2011 | Saggistica a Parma
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Anna | 27/01/2011 | Viva le eroine, Barbara Alberti
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Gazzetta del Sud | 28/01/2011 | Ipazia, martire della scienza , M. G. Scuderi
Ipazia, martire della scienza Geniale e brillante, suscitò l'invidia fatale del meschino vescovo Cirillo
La pulsione alla conoscenza, fondamentale nutrimento dello spirito, rappresenta quell'interna sollecitazione che spinge a superare la personale limitatezza nel contatto con le fonti del sapere, le sole in grado di fornire gli strumenti per realizzare un'evoluzione dell'Io verso livelli superiori di relazione con se stessi e con gli altri. Chi del sapere si ciba nella maniera giusta possiede quindi i mezzi idonei per orientarsi con più sicurezza nel mondo, ed intervenire in maniera più incisiva sugli eventi, affermando la propria idealità. La cultura diventa così un vero privilegio. L'accesso agli strumenti del pensiero è stato, nelle passate età della storia, considerato esclusivo appannaggio del sesso maschile, e quindi assolutamente precluso alle donne, educate ad esprimere le loro potenzialità più col corpo che con l'intelletto. La storia tuttavia, anche quella della conoscenza, evolve grazie ad "agenti di rottura" che, portando caos e disordine nella complessità degli eventi, favoriscono l'evoluzione del cambiamento. È il conflitto tra vecchio e nuovo a fare la storia, tanto più affascinante nelle sue vicende quanto più centrata su individui capaci di abbattere attraverso le loro azioni qualsiasi schema precostituito. Sconvolgendo ogni aspettativa legata ai ruoli femminili, una donna di nome Ipazia, vissuta nel quinto secolo dopo Cristo, grazie alla fertilità del suo ingegno, acquisì un tale potere in Alessandria d'Egitto da suscitare grande rispetto e considerazione nei suoi concittadini, ma anche marcato risentimento e odio nei potenti. Tanto si è detto di lei e tanto forse si è taciuto, al punto che non è stato mai facile distinguere, nelle varie storiografie, la verità dalla menzogna. L'unica certezza è che Ipazia è stata contraria a qualsiasi forma di mistificazione e manipolazione, e amante della verità sopra ogni cosa. Figlia del filosofo Teone, non si limitò agli insegnamenti tecnico-matematici da lui praticati, ma si diede alla filosofia pura, arrivando a un tale livello di saggezza e di capacità dialettica da superare tutti gli altri studiosi della cerchia. La sua vicenda si colloca in un periodo storico di guerriglia civile e religiosa, corrispondente alla fase di trapasso dal paganesimo al cristianesimo, asceso a religione di Stato. Una delle conseguenze della supremazia del nuovo credo rispetto al vecchio fu il passaggio di potere politico dal filosofo al vescovo, accompagnato dal diffondersi di un sentimento di intolleranza verso la "hellenike diagoge", ossia il tipo di educazione ellenica cui la classe dirigente pagana si ispirava: punto d'incontro tra ideale classico e impegno nella vita pubblica, in rispetto dei valori del pluralismo e del dibattito, tipici dell'antica "agorà". Ipazia incarnò così la superiorità del paganesimo, con il suo pluralismo e la sua apertura, rispetto alla dogmatica chiusura dei monoteismi; ma pagò con la vita la fedeltà a tali ideali. Con la scrupolosità e il disincanto tipici di chi si accosta ai fatti storici consapevole delle inevitabili trasfigurazioni operate dalle diverse mediazioni interpretative, Silvia Ronchey, docente di Filologia classica e Civiltà bizantina all'università di Siena, nel libro "Ipazia. La vera storia"(Rizzoli, pp. 318, euro 19), cerca di «istruire un'inchiesta» sulla figura dell'eroina della conoscenza, per ricostruirne il profilo e leggere la storia del suo sacrificio in maniera autenticamente laica e, per quanto possibile, vera. La descrizione della personalità di Ipazia rimanda l'immagine di una donna non più giovanissima ma bella, poco incline alla frivolezza e dalla natura ascetica. Ai discepoli, alcuni dei quali pervasi da sentimenti d'amore nei suoi confronti, era solita spiegare che l'eros intellettuale e la passione fisica erano sollecitazioni dell'animo distinte e separate. Tuttavia quanto Ipazia era morigerata nella vita e nei sentimenti, tanto era diretta, quasi brutale, nel modo di fare e di parlare. «Lo stile dei suoi discorsi era così franco da essere secondo alcuni elegantemente insolente», scrive la Ronchey. Ma la sua «elegante insolenza» e il largo consenso che riscuoteva presso i giovani di Alessandria finirono per suscitare un sentimento di rivalità malevola in coloro che consideravano ormai legittimato dalle leggi il loro potere temporale. Sia Socrate Scolastico, storico cristiano, che l'enciclopedista bizantino Suida parlano di "phthonos personificato" che si levò in armi contro di Ipazia. Letteralmente il termine greco traduce una «gelosia per l'eccellenza altrui»: quel sentimento quasi ossessivo di invidia che colpì e infiammò il vescovo Cirillo nel momento in cui constatò di persona il prestigio di cui Ipazia godeva. I sentimenti d'invidia del vescovo trovarono esatta rispondenza nel "pericoloso zelo" di gruppi di monaci cristiani e parabolanti che concepirono – secondo sia Socrate Scolastico che Suida – un piano criminale contro la "donna di mondo". Così un giorno di marzo del 415 dopo Cristo, nel quarto anno dell'episcopato di Cirillo, mentre Ipazia tornava a casa da una delle sue pubbliche apparizioni, fu tirata giù dalla carrozza e trascinata nel Cesareo, da poco trasformato in chiesa cristiana. Lì fu spogliata delle vesti, massacrata con cocci aguzzi, e i suoi resti trasportati al cosiddetto Cinaron, per essere dati alle fiamme. Ben diverso è il racconto dei fatti riportato nella "Cronaca" del vescovo Giovanni di Nikiu – vissuto nel settimo secolo e schierato con Cirillo – per il quale l'uccisione di Ipazia fu un'esecuzione legittima, quasi un titolo di vanto per il popolo dei fedeli che l'avevano compiuta: secondo la sua versione, i giustizieri non agirono nella clandestinità, ma raggiunsero la vittima nella sua stessa dimora, luogo in cui "ipnotizzava" i suoi studenti con la magia, ed esercitava la "satanica" scienza degli astri. Emblematicamente è dalla cattedra, non dalla carrozza, che Ipazia venne trascinata via. Più romanzata e meno cruenta la versione della morte nella trasposizione cinematografica del film "Agorà" di Alejandro Amenàbar, ove viene messo in primo piano quel fascino esercitato dalla donna sui discepoli, che non le risparmiò la morte, ma le diede una fine meno dolorosa: Ipazia, sarebbe morta per mano di Davo, suo ex schiavo nonché allievo, che l'aveva strangolata prima che gli zelanti la lapidassero. Il film inoltre, lascia anche intendere che se Ipazia non fosse stata assassinata dai cristiani, sarebbe stata capace di anticipare di ben dodici secoli il modello astronomico di Keplero, avendo avanzato già da allora l'ipotesi eliocentrica, sulle orme degli esperimenti di Aristarco. Tuttavia, l'esame delle fonti, purgato degli elementi di forzatura ideologica, sembra smentire lo stereotipo razionalistico e illuministico del "Galileo in gonnella", mentre conferma che furono proprio la figura carismatica e il ruolo politico di Ipazia a causare la sua morte, come effetto dell'eccesso di frustrazione di Cirillo. Ma la fiaccola di cui l'eroina della conoscenza è stata portatrice non si è spenta con la sua morte: molti uomini e donne hanno continuato a passarla. Attraverso loro, la philosophia di Ipazia e degli antichi pensatori di Alessandria arriverà all'Umanesimo e al Rinascimento e, tramite questo, all'Illuminismo e a quelle correnti d'opinione che hanno fatto di Ipazia il simbolo della libertà di pensiero. Nel mondo occidentale moderno, che forse non ha mai conosciuto abbastanza Bisanzio, la vicenda di Ipazia, non sempre compresa nei suoi corretti termini storici, è stata talvolta "attualizzata" ed adattata ai tempi. Il conflitto tra un Cirillo ed un'Ipazia si è così più volte riproposto nei secoli, e certamente tenderà a riproporsi. Ma ogni volta che ciò dovesse accadere, non si potrà fare a meno di essere dalla parte di Ipazia.
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Reset | 01/02/2011 | Ipazia. politica e filosofia, E. Cantarella
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Corriere della Sera.it | 06/02/2011 | Le classifiche. Il punto della settimana, Colombo Severino
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Gazzetta del Mezzogiorno | 17/02/2011 | Ipazia, dietro l'icona di martire pagana, G. Annabaldis
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Laicità | 01/03/2011 | Ipazia. La vera storia, F. del Luise
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Avvenire | 01/03/2011 | Ipazia fu «martire» come Caterina? Forse…, Alessandro Zaccuri
Dalle note a piè di pagina ai cartelloni del cinema: quello compiuto da Ipazia di Alessandria è stato un balzo prodigioso e non privo di rischi. Si è trattato, anzitutto, di un viaggio accelerato nel tempo, dalla complessità tardo-antica del IV-V secolo d. C. alla confusione postmoderna del Terzo millennio. Tutto grazie a un film, il discusso Agorà di Alejandro Amenábar, che aggiorna e semplifica il contesto storico, così come ammoderna e rielabora la vicenda della pensatrice neoplatonica facendone, di volta in volta, un Galileo in peplo o un Odifreddi glabro. Operazione che ha suscitato, da subito, la diffidenza di esperti come la romanista Ilaria Ramelli (i lettori di Avvenire ricorderanno le numerose puntate della sua rubrica, «Colombario», dedicate alla morte della filosofa) e la bizantinista Silvia Ronchey, che ora pubblica il documentato e anticonformista Ipazia: la vera storia. Un libro che ha avuto origine dalle controversie suscitate da Agorà, ma nel quale il film non è mai citato. Per snobismo? No, per amore di chiarezza. L’avventura umana e intellettuale di Ipazia, lascia intendere l’autrice, è troppo importante per essere piegata alle polemiche dell’ultimo momento. La posizione di Silvia Ronchey non è conciliante nei confronti della Chiesa: nella sua interpretazione, la responsabilità dell’orrenda uccisione di Ipazia ricade comunque sul patriarca Cirillo, ma è depurata da tutti gli elementi ideologici successivamente stratificatisi. Quella contro la geniale matematica, figlia di Teone ed estrema rappresentante della tradizione culturale della Biblioteca, non fu una persecuzione religiosa ai danni del paganesimo, né tanto meno l’esito di una campagna oscurantista contro i progressi della scienza (sull’effettiva portata delle scoperte di Ipazia, del resto, le notizie certe scarseggiano). Anche il movente della misoginia risulta, da ultimo, anacronistico e irrilevante. Il motivo del dissidio va piuttosto cercato, secondo Ronchey, nell’influenza che Ipazia esercitava sul prefetto della città, Oreste: un legame che Cirillo avrebbe considerato come un ostacolo sul piano politico e che avrebbe indotto i più accesi sostenitori del vescovo, i cosiddetti «parabalani», a togliere di mezzo la donna. Un episodio a suo modo semplice, che nel corso del tempo è stato più volte rimaneggiato così da trasformare Ipazia in un’anticipatrice dell’Illuminismo (è la posizione, spesso acriticamente citata, di Voltaire). O addirittura in Caterina, la martire di Alessandria nella quale la bizantinista riconosce più di un tratto della vicenda di Ipazia. Identificazione forse discutibile, ma comunque degna di rispetto per l’eleganza e la misura con cui è proposta.
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Il Resto del Carlino | 13/03/2011 | Ipazia, quella musa di libertà uccisa in…, L. Luminati
Sono passati 16 secoli da quando Ipazia, filosofa, matematica, astronoma, docente all’Accademia platonica di Alessandria d’Egitto, donna di particolare fascino e bellezza, venne trucidata per le sue idee da una folla di monaci cristiani infervorati dalla convinzione di dover spazzar via tutto ciò che rappresentava l’antica sapienza pagana. Di questo parla “Ipazia, la vera storia” (Rizzoli, sei edizioni in un mese), l’ultimo libro di Silvia Ronchey, docente all’Università di Siena. Perché un libro per raccontare la “vera storia” di Ipazia? «Perché a tanti secoli di distanza, Ipazia rimane una ferita aperta. Per la Chiesa, che pure si è profusa tante volte in scuse per il suo passato, ma non ne ha chieste finora per l’assassinio di un’innocua e pacata intellettuale. Fin dall’epoca bizantina sussiste un senso di colpa dei cristiani, testimoniato dalla creazione della fantomatica Santa Caterina d’Alessandria». Una figura simmetrica e inversa di filosofa cristiana, martirizzata dai pagani... «Che il martirio di Santa Caterina d’Alessandria e la sua stessa esistenza storica fossero un falso viene sostenuto nel Settecento dal dotto Jean Pierre Défois, tanto che la festa in suo onore venne abolita dal Brevario di Parigi. I dubbi furono tali e tanti da indurre Paolo VI nel ’69 ad escludere la santa dal calendario liturgico. Significativamente a reintrodurla ci penserà Papa Benedetto XVI, che secondo me dovrebbe invece valutare la permanenza di Cirillo d’Alessandria tra i santi». L’attuale pontefice lo ha citato più volte e senza biasimo. «Mentre ne meriterebbe eccome. Lo studio delle fonti antiche, anche quelle cristiane, rileva inequivocabilmente che fu il mandante dell’omicidio. In tutto il periodo di Bisanzio sarà condannato per Ipazia ma anche per il distacco della chiesa d’Egitto. Solo il papato continuerà a giustificare il suo operato». Un personaggio controverso. «Le sue azioni miravano a un’ingerenza diretta e violenta della gerarchia ecclesiastica nella politica dello Stato: ebrei espulsi; chiese dei novaziani chiuse; prevaricazioni sul prefetto imperiale. La condanna di Cirillo nelle fonti bizantine, contrapposta alla sua difesa nella Roma dei papi, è la cartina al tornasole del dibattito sulla laicità dello Stato». Ipazia è tornata all’attenzione con il film “Agorà” di Amenabar. Lei sembra mettere in dubbio il mito della sua bellezza. «No, ma cerco di spiegare che il suo immenso fascino doveva essere legato a una bellezza interiore, carismatica. In realtà di Ipazia non sappiamo molto, non abbiamo sue opere. Sappiamo per certo che venne trucidata da fanatici cristiani. Fu spogliata nuda e dilaniata con cocci aguzzi. Sappiamo che un filone storiografico — dal pagano Damascio passa per Diderot e Voltaire, e conduce a Gibbon, fino al discusso film di Amenabar — ha fatto di lei la musa di un atteggiamento illuministico, storicamente forzato, che vede il cristianesimo come fattore di imbarbarimento e caduta dell’impero romano; e l’ascesa della Chiesa come causa del decadere progressivo della politica».
Scontro di idee che si ripropone. «E’ semplicistico considerare lo scontro tra paganesimo e cristianesimo alla base dell’assassinio. Ci fu anche una sorta di “invidia” da parte del giovane e umorale vescovo». In sostanza la morte di Ipazia pare un incidente collaterale. E le sue idee? «La fiaccola di cui Ipazia è stata portatrice non si è spenta. La filosofia di Alessandria d’Egitto è arrivata attraverso Bisanzio e Gemisto Pletone fino al nostro umanesimo, poi all’illuminismo ed alle altre correnti di idee che hanno spezzato l’omertà della Chiesa cattolica e fatto di Ipazia simbolo della libertà di pensiero».
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La provincia di Cremona | 03/04/2011 | La vera storia di Ipazia filosofa bella …, E. Lavezzini Stagno
«Nel quinto secolo dopo Cristo una donna fu assassinata. Non sappiamo molto di lei, se non che era bella e che era una filosofa. Sappiamo che fu spogliata nuda e che fu dilaniata con cocci aguzzi. Che le furono cavati gli occhi. Che i resti del suo corpo furono sparsi per la città e dati alle fiamme. E che a fare tutto furono dei fanatici cristiani». E’ l’introduzione a ‘Ipazia. La vera storia’ (ed. Rizzoli) di Silvia Ronchey, professore di Filologia classica e Civiltà bizantina all’Università di Siena, curatrice e autrice di opere colte e scrupolosamente documentate. Nelle trecento pagine la Ronchey ricostruisce la fi- gura della filosofa alessandrina (nata presumibilmente nel 370) tentando di restituirla alla realtà storica e al suo ambiente. Dal libro traspare la passione dell’autrice per la giovane cattedratica che faceva pubbliche apparizioni nel centro di Alessandria per spiegare Platone, Aristotele e altri filosofi. La nota bizantinista esprime inoltre indignazione dolorosa per l’assassinio atroce eseguito dai parabalani del vescovo Cirillo, gli stessi che vent’anni prima avevano distrutto e saccheggiato il Serapeo per ordine di Teofilo, zio di Cirillo.
Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
«Su Ipazia ho svolto e pubblicato ricerche da decenni. Mi ha sempre affascinato questa figura di donna intellettuale, tanto affascinante e spregiudicata quanto poco incline alla frivolezza, che respinge duramente chi si innamora di lei, che si considera una persona pubblica e si vuole in privato ineccepibile. Il padre Teone, filosofo della scuola di Alessandria, educa la figlia fin dall’infanzia allo studio. Ipazia supera il padre, facendosi una fama universale tra gli intellettuali del suo tempo, che vengono da ogni parte ad ascoltare le sue lezioni. Il suo pensiero è profondo, perfino ieratico, ma lo stile dei suoi discorsi è così franco da farla sembrare, scrivono le fonti antiche, elegantemente insolente».
Com’è Alessandria d’Egitto al tempo di Ipazia?
«Alessandria è la New York, la Parigi, la capitale culturale del mondo mediterraneo, e naturalmente dell’Impero che da romano è appena diventato bizantino. All’epoca è una metropoli multietnica e multireligiosa».
Come convivono cristiani e pagani?
«Nel 313 l’editto di Costantino dichiara cessate le persecuzioni contro il cristianesimo e lo ammette tra i culti dell’Impero. Ma negli anni della prima giovinezza di Ipazia l’editto di tolleranza diventa intolleranza, con i decreti teodosiani (391-392), che dichiarano il Cristianesimo religione di stato dell'impero romano e proibiscono i culti pagani. Il gruppo socialmente dominante è costituito dagli elleni, molti dei quali stanno passando al cristianesimo. Ipazia, che appartiene a questo gruppo sociale, non è cristiana. Ma fra i suoi allievi ci sono anche cristiani, come Sinesio, il fu turo vescovo di Tolemaide, che su di lei ha lasciato appassionate testimonianze scritte».
Veniamo al vescovo Cirillo, che nel libro è ben ‘fotografato’. Perché dovrebbe essere il mandante dell’assassinio?
«Ipazia è una donna di potere oltre che un’intellettuale: oltre alle conoscenze astronomiche, matematiche e filosofiche ha un’intelligenza politica, una vocazione filosofica alla tolleranza e una capacità dialettica di mediazione che fa sì che i governanti e gli altri maggiorenti della città vadano a casa sua e ascoltino i suoi consigli. È l’invidia del vescovo, insieme all'assurda pretesa d’ingerenza del potere religioso in quello politico, che motivano l’assassinio di Ipazia. Cirillo, fatto santo, e nell’Ottocento dottore della Chiesa cattolica, incarna un’ideologia — quella di sovrapposizione del potere spirituale a quello temporale — che ha poi preso campo nel mondo occidentale, quello dei papi, ma mai a Bisanzio».
Nei testi di filosofia non si parla di Ipazia. Perché?
«Non se ne parla per l’imbarazzo della chiesa cristiana sulla sua fine, ma anche perché non ci sono arrivate opere scritte da lei. E’ una lacuna enorme, ed è il motivo per cui è stato comunque importante e meritorio il film ‘Agorà’ che tra interpretazioni storiche e finzioni sceniche ha fatto conoscere molte cose. Alcune erano giuste, altre inverosimili. Suscitando un dibattito accanito, non basato tuttavia su dati esatti. Ho trovato urgente scrivere questo libro anzitutto per fornire al pubblico i termini corretti del problema, su cui ragionare e poi se mai discutere»
Ci sono corpi celesti col nome Ipazia, Lei ne parla a pagina 121...
«Gli astronomi l’hanno talmente amata che dall’Ottocento in poi hanno dato il suo nome a vari corpi celesti: un asteroide, un cratere lunare non lontano dal punto di allunaggio dell’Apollo 11 e altro ancora. Una specie di rivincita, come se avessero voluto trasformare il corpo straziato della filosofa in una pluralità di corpi senza tempo, che non periscono, nei quali il corpo di Ipazia rivive».
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Il giorno | 26/04/2011 | Prendiamo esempio da Ipazia, filosofa li…, A. Mangiarotti
Università degli Studi di Milano-Bicocca, consegna dei diplomi ai nuovi 154 neodottori di ricerca. Oltre al rettore Marcello Fontanesi e ai docenti togati, come prescrive la cerimonia, una pacifica professoressa che si dilettava di astronomia e di aritmetica nel V secolo dopo Cristo, anche filosofa esperta di dottrina politica, si aggiunge a ricordare al giovane pubblico l’unica virtù legittimante lo status di chi sembra aver superato l’ignoranza: saper esercitare il dubbio. Ipazia, scienziata riscoperta recentemente persino al cinema, si configura nella lectio di Silvia Ronchey, che a lungo l’ha studiata, e viene a rivelarne il vero volto, anche a rischio di spogliarla. Via le vesti improbabili che varie scuole di pensiero non hanno mai smesso di imbastirle addosso: «Non una criptocristiana, non una protofemminista, non una scienziata perseguitata dalla Chiesa per le sue scoperte astronomiche. Nulla sappiamo delle teorie di colei che fu figlia del grande matematico Teone, e che si vorrebbe anticipatrice del sistema copernicano. Crederla Galileo in gonnella è uno stereotipo illuminista». Cavallo di battaglia dell’anticlericalismo di Voltaire, la ghiotta vicenda della donna «agnello sacrificale» dell’ultimo paganesimo, assassinata dai monaci cristiani parabolani su mandato del vescovo Cirillo. E non è casuale la sua nuova popolarità. Il film «Agorà», Rachel Weisz nel ruolo di Ipazia, distribuito con un certo ritardo in Italia, nel 2010, sembra girato sull’onda delle polemiche sollevate dal discorso di papa Ratzinger all’Università di Ratisbona, nel 2006. Benedetto XVI, affermando la necessità d’interrogarsi su Dio per mezzo della ragione, fa una citazione sulla direttiva di Maometto a diffondere la fede per mezzo della spada. Violente le reazioni nel mondo islamico. E il regista Alejandro Amenábar racconta che, i talebani, anche i cattolici li hanno avuti. Si fa sempre storia del presente, diceva Croce. Ma ancor prima, Tucidide spiegava che lo studio del passato consente d’individuare il male del presente, e fare una prognosi per il futuro. «I neo dottori di ricerca facciano tesoro del metodo della storia e della filologia, scienze morbide», Ronchey indica nella liceità della critica applicata anche al testo più sacro, nel dubbio che non si possegga la verità, nella tolleranza o capacità di capire gli altri, gli elementi del vero straordinario carisma della cattedratica all’Accademia platonica di Alessandria, la più grande università del tempo: «Ascoltata dai suoi studenti, dall’aristocrazia e dal prefetto romano della provincia d’Egitto. Non aveva nulla contro i cristiani. Un suo allievo, Sinesio di Cirene, diventerà vescovo e burocrate della classe dirigente (necessariamente cristiana, quando il cristianesimo diventa religione di Stato). Ipazia include tutte le religioni nel suo insegnamento, tutte le scienze unite in un’unica disciplina di vita, etica e politica. E in faccia ai potenti rivendica la parresia, il diritto di dire la verità, senza reticenze, con eleganza e compostezza. Il suo mettersi di traverso, non prendere partito per gli uni o per gli altri, ostacola l’ingerenza della giovane Chiesa nell’establishment pagano. Perciò sarà eliminata». Ma la sua fine non è la fine della cultura ellenistica. Nel V secolo incomincia il perfezionamento dell’impero romano nel bizantinismo, che dominerà per secoli l’ecumene mediterraneo. Poi, con la caduta di Bisanzio, e l’emigrazione di uomini e di libri a Occidente, anche con l’approdo a Venezia, alla Biblioteca Marciana, del commento critico di Teone, padre di Ipazia, all’astronomia tolemaica, incomincerà il Rinascimento italiano.
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Qui libri | 01/06/2011 | Ipazia, la storia di un mito, Andrea Marchesani
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Mangialibri.it | 06/06/2011 | Ipazia - La vera storia, Gian Paolo Grattarola
Tra la fine del IV secolo e gli inizi del V secolo d.C. ad Alessandria d’Egitto fiorisce una scuola filosofica che intende riportare il neoplatonismo alla purezza delle sue origini, contro le deviazioni magiche e teurgiche di Giambico e della sua scuola. Tra i maggiori rappresentanti di questo indirizzo vi è una donna sommamente bella e raffinata, colta e virtuosa, che si mantiene casta e coltiva con assiduità l’amore per la sapienza. Il suo nome è Ipazia, ed è figlia dell’insigne matematico Teone. Ella gode di largo prestigio presso gli ambienti culturali e politici del tempo in virtù della sua straordinaria saggezza e della disinvoltura con cui si addentra per le strade della città per portare l’insegnamento della dottrina filosofica tra la gente. Fino a quando la sua eminenza culturale e la condizione femminile divengono un ostacolo fastidioso per le frange estremiste e intolleranti del cristianesimo egiziano. Alessandria rappresenta in quegli anni la più imponente e prestigiosa metropoli cristiana d’oriente e il vescovo Cirillo è intento a portare a termine la violenta opera di colonizzazione religiosa avviata dal suo predecessore Teofilo.
Silvia Ronchey docente di Filologia classica e Civiltà bizantina presso l’Università di Siena, giornalista e scrittrice, ricostruisce in questo suo nuovo testo la vera storia di Ipazia, martire del pensiero che fu uccisa, tra orrendi supplizi, nel V secolo d.C. dall’intollerante fanatismo cristiano istigato dal vescovo Cirillo. Denso di informazioni, aneddoti e dettagli ricavati da un approfondito sforzo di ricerche condotte sulle testimonianze di antichi cronisti, il volume ha il pregio indiscutibile di fare giustizia di una vulgata storiografica troppe volte piegata a esigenze di carattere strumentale. Nonché di bizzarre trasposizioni letterarie che hanno di volta in volta rievocato l’immagine di un personaggio più vicino all’umore degli autori che non alla realtà storica. Articolato in una sequenza di capitoli brevi ma incisivi e corredato da un nutritissimo apparato bibliografico di oltre cento pagine, il libro ci restituisce con un approccio chiaro e rigoroso il profilo di una donna vera, ma non meno appassionante di quella leggendaria. Ne testimonia il valore intellettuale e l’impegno coraggioso entro l’orizzonte di un pensiero improntato all’amore per la conoscenza. Ma anche la sua tragica incompatibilità con il nuovo quadro religioso del tempo.
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www.lafrusta.net | 11/08/2011 | La Frusta Letteraria, Antonio Crivotti
Nella breve introduzione del suo libro Ipazia - la vera storia Silvia Ronchey ci avverte subito che della filosofa di Alessandria “non sappiamo molto”, che “siamo certi, o quasi, di ciò che quella donna non è stata”, che “un’altra cosa è quasi certa: cercava la verità, amava il dubbio, detestava la manipolazione”, ma che “se, nella storiografia è stata strumentalizzata, nella letteratura è stata trasfigurata e tradita”, e per cercar di capire meglio che cosa si cela dietro tutto quello che si è scritto di lei e voluto vedere in lei occorre “non aggiungere tratti ma se mai sottrarre, ai pochi che la tradizione antica tramanda, quelli che l’analisi dell’esile fascicolo di testimonianze originarie rimaste su di lei ci suggerisce falsi o distorti”. Dopo questa premessa, il lettore potrebbe domandarsi come sia riuscita l’Autrice a riempire le successive 178 pagine di testo dedicate alla narrazione della vera storia di Ipazia (seguite da altre 110 di non meno interessante “documentazione ragionata” e bibliografia). Ci è riuscita, in modo avvincente e con accademico rigore, perché la storia di Ipazia che ci viene offerta non è tanto, o soltanto, una biografia (né potrebbe esserlo, per la riconosciuta carenza di materia prima): la vera storia che il libro ci offre è, di fatto, soprattutto la storia di un mito e del suo intreccio con la Storia. Per quel che rappresenta dei ricorrenti e diversificati comportamenti umani nei conflitti ideologici e nelle lotte per il potere in ogni epoca, l’origine e l’evoluzione di questo mito non sono meno illuminanti di quanto lo sarebbero se il ritrovamento di qualche documento nascosto fosse venuto a dissipare la nebbia nella quale sono rimasti avvolti i dettagli di quella vita sicuramente tanto eccezionale nel suo svolgimento quanto tragica nella sua conclusione. Alessandria d’Egitto era stata per molti secoli uno dei principali centri della cultura dei paesi del Mediterraneo, con la sua Biblioteca e il suo Museo, istituzioni che fin dalla loro fondazione nel terzo secolo a.C. avevano attratto i più grandi studiosi, tramandando e facendo progredire, in particolare, il pensiero filosofico e le conoscenze matematiche e astronomiche ereditati dall’antica Grecia. Lo era ancora negli ultimi decenni del quarto secolo, quando Ipazia si è formata sotto la guida del padre Teone, rinomato sapiente, in un ambiente di studio che era stato per secoli pluralistico e caratterizzato dalla dialettica e dalla tolleranza. Ma dopo l’editto dell’Imperatore romano Teodosio che stabiliva l’adozione, nel 380, del cristianesimo come religione di stato, e la nomina, nel 384, di Teofilo alla cattedra vescovile di Alessandria, poi passata alla sua morte, nel 412 al nipote Cirillo, l’ambiente in quella città è andato rapidamente degenerando fino all’instaurazione di un vero clima di terrore, proprio negli anni in cui per la sua opera (poi andata dispersa) e con il suo insegnamento Ipazia raggiungeva universale rinomanza e rispetto. Teofilo inizia ad Alessandria la persecuzione del politeismo, e ordina la distruzione dei monumenti della civiltà greca, in particolare del tempio e della biblioteca di Serapide. Cirillo (poi canonizzato, considerato dai cattolici romani così grande teologo da essere elevato al rango di dottore della Chiesa da papa Leone XIII nel 1882, e lodato per la sua “grande energia” da Benedetto XVI nel 2007), in aperto contrasto con il prefetto imperiale Oreste rappresentante dell’autorità civile, piuttosto che cercar di convertire con la predicazione e le argomentazioni teologiche, trova più efficace e sbrigativo affermare la propria concezione del cristianesimo scatenando i parabalani, una sorta di milizia di monaci le cui orde, dopo aver perpetrato massacri per scacciare gli Ebrei dalla città e sopraffare i Novaziani (Cristiani che Cirillo considerava eretici) appropriandosi dei beni degli uni e degli altri, nell’anno 415 si rendono responsabili del selvaggio linciaggio di Ipazia. Di Ipazia non sarebbe probabilmente rimasta memoria se due suoi contemporanei, entrambi cristiani ma appartenenti al ramo tollerante del Cristianesimo che si stava affermando a Costantinopoli, non avessero scritto e parlato di lei. Il primo, Sinesio di Cirene, l’ha conosciuta personalmente e frequentata a lungo essendo stato per anni suo allievo ad Alessandria. La sua testimonianza si desume dal suo ampio epistolario. I riferimenti a Ipazia nelle sue lettere le manifestano sempre immenso rispetto, quasi venerazione. A lei direttamente scrive: Credimi, io ti considero, insieme alla virtù, l’unico bene che nessuno mi può togliere. E poco prima di morire le rivolge i seguenti versi: Se anche l’oblio tocca ai morti nell’Ade, anche laggiù ricorderò l’amata Ipazia. Sinesio. originariamente pagano, si convertì al cristianesimo e divenne vescovo di Tolemaide. Ma sembra lecito supporre che la sua conversione sia stata determinata più da opportunismo politico che da autentica convinzione, come denotano espressioni di scetticismo contenute in alcune sue lettere riguardo a credenze fondamentali della fede cristiana. Scrive ad esempio: Riguardo alla resurrezione, di cui tanto si parla, sono ben lontano dal conformarmi alle opinioni del volgo. Il secondo, Socrate Scolastico, anch’egli cristiano e contemporaneo di Ipazia, era uno storico e viveva a Costantinopoli. Sebbene la sua conoscenza di Ipazia fosse indiretta, non vi sono motivi di dubitare dell’attendibilità del suo ritratto: C’era una donna allora ad Alessandria, il cui nome era Ipazia. Era figlia di Teone, filosofo della scuola di Alessandria, ed era arrivata ad un tale vertice di sapienza da superare di gran lunga tutti i filosofi della sua cerchia. Aveva ricevuto in eredità l’insegnamento della scuola platonica da Plotino, ed esponeva a un libero uditorio tutte le discipline filosofiche. Da ogni parte accorrevano a sentirla quelli che volevano darsi alla filosofia. E ancora: Non aveva paura di apparire alle riunioni degli uomini: per la sua straordinaria saggezza, tutti i maschi le erano deferenti e la guardavano, se mai, con stupore e timore reverenziale. Questi sono i tratti prevalentemente ripresi e tramandati, con integrazioni e inevitabili distorsioni, dagli storici bizantini nei secoli successivi. Si può dire che con Ipazia muore ad Alessandria la cultura ellenica (anche se la chiusura ufficiale della scuola avverrà solo nel 529), ma la sopravvivenza del mito di Ipazia, assieme al perdurante rispetto della cultura da lei rappresentata, passa da Costantinopoli, dove il suo ricordo rimane vivo per tutta la durata dell’Impero Bizantino. La figura di Ipazia affiora in Europa occidentale soltanto a partire dal diciassettesimo secolo, quando finalmente scrittori, filosofi e scienziati osano criticare e sfidare il dogmatismo e l’intolleranza religiosa. Il mito permea l’Illuminismo che se ne vale prima di tutto proprio per stigmatizzare intolleranza, fanatismo e persecuzioni, e anche per esaltare il culto della ragione e per affermare i meriti e le potenzialità intellettuali delle donne. Ripetutamente evocata da Voltaire, accolta con un articolo nell’Encyclopédie di Diderot, introdotta nella storiografia moderna da Gibbon in The history of the decline and fall of the Roman Empire (1776), e più tardi accolta nell’opera di eminenti storici della filosofia quali Friedrich Ueberweg, Karl Praechter e Bertrand Russell, Ipazia è diventata un’icona dell’anticlericalismo, della massoneria e del femminismo, spesso manipolata con diversi livelli di esagerazione, fantasia, distorsione o deliberata falsificazione.
Per farsi un’idea del tono della polemica suscitata dal suo ricordo nel XVIII secolo, vale la pena di leggere i titoli di due pamphlet contrapposti, che prendiamo in lingua originale da una conferenza di J. Thorp (The search of Hypatia, www.acpcpa.ca/documents/Thorp.html): Hypatia, or the History of a Most Beautiful, Most Virtuous, Most Learned and in Every Way Accomplished Lady; who was torn to Pieces by the Clergy of Alexandria to Gratify the Pride, Emulation and Cruelty of the Archbishop, Commonly but Undeservedly titled St. Cyril, (John Toland, 1720) History of Hypatia, a most impudent School-Mistress of Alexandria. In Defense of Saint Cyril and the Alexandrian Clergy from the Aspersions of Mr. Toland. (Thomas Lewis, 1721). Nel testo, Toland sostiene tra l’altro che Ipazia continuerà sempre a rappresentare la Gloria del suo Sesso e l’Infamia del nostro, parere che verrà ripreso da molti e, naturalmente, esaltato dai movimenti femministi. Lo scontro non si è limitato alla contrapposizione tra cattolici e liberi pensatori. Viva è stata la partecipazione di protestanti, quale Johann Christian Wolf nel Settecento, e di anglicani, quale Charles Kingsley nell’Inghilterra vittoriana. Il libro di cui si parla ci dà un esauriente resoconto delle varie posizioni, diversificate anche all’interno del mondo cattolico. Accanto alle contrapposizioni ideologiche, la figura di Ipazia ha stimolato anche la sensibilità di artisti, romanzieri e poeti. Il fascino, la sapienza e la bellezza di cui sembra aver goduto in vita, uniti alle cause e alle modalità del suo martirio, agli ideali che si presta a rappresentare e, non meno importante -come sottolinea Thorp nella citata conferenza- al mistero che continua ad avvolgere la sua vita reale, hanno fatto di lei la perfetta eroina romantica. Nello struggente inno Hypatie (in Poèmes antiques), Leconte de Lisle le rivolge versi memorabili:
L’homme en son cours fougueux t’a frappée et maudite, mais tu tombas plus grande ! Et maintenant, hélas ! Le souffle de Platon et le corps d’Aphrodite, sont partis à jamais pour les beaux cieux d’Hellas !
La mort peut disperser les univers tremblants
mais la beauté flamboie, et tout renaît en elle, et les mondes encore roulent sous ses pieds blancs.Analoghe acclamazioni si leggono, con toni diversi, in Chateaubriand, Gérard de Nerval, e più tardi Péguy. Ma neanche tra i letterati manca il deciso dissenso, e il cattolico oltranzista Paul Claudel esclama sprezzantemente (in La Sainte Catherine d’Alexandrie, 1937):
Que le Païen Garde son bien, George Sand et Hypatie !
Negli ultimi anni, alla ripresa di popolarità del mito di Ipazia sembra aver molto contribuito la fondazione, nel 1986 negli U,S.A., di una rivista intitolata Hypatia: a Journal of feminist Philosophy, seguita, anche in Europa, da articoli, saggi e libri significativamente numerosi anche se spesso di scarsa attendibilità. La parola “Hypatia” rinvia a oltre due milioni di siti Internet), e il personaggio è giunto al grande schermo nel 2009, con un film di successo nonostante le sue evidenti forzature e discutibili licenze. Come si addice alla sua figura, Ipazia non ha mai smesso di essere fonte di impegnate discussioni e appassionati dibattiti e idealizzazioni. Ma anche di esagerazioni e distorsioni più o meno strumentali, e di tendenziose falsificazioni. Con la sua narrazione e la presentazione critica di una sconfinata documentazione, Silvia Ronchey ci accompagna in questo lungo e ramificato percorso con il rigore della studiosa, ma senza nascondere le proprie simpatie. Il testo si conclude con una riconferma delle perduranti incertezze sulla reale personalità di Ipazia, e al tempo stesso manifesta una decisa presa di posizione sul valore del suo mito (pag. 193): Ma su un punto non si può non essere concordi: a qualunque cosa Ipazia sia somigliata di più, a una studiosa o a una sacerdotessa, a una composta insegnante o a un’aristocratica eccentrica e trasgressiva, che sia stata giovane o no, che abbia fatto davvero innamorare i suoi allievi, che abbia o no –non è escluso- scoperto qualcosa di nuovo; che l’insegnamento iniziatico da lei impartito con tanto successo all’inquieta aristocrazia ellenica offrisse o no già la rivelazione che a un livello alto la teologia platonica inglobava quella cristiana e che gli improbabili dogmi di quest’ultima andavano tollerati, praticando l’arte platonica della “nobile bugia”, perché utili al popolo quanto ogni antica superstizione pagana; che sia stata risoluta nello sbarrare il passo all’ingerenza della chiesa nello stato, e troppo ingombrante nello sfidare la strategia di Cirillo con la sua parrhesia, o che la morte sia stata solo un incidente dovuto al subitaneo isterismo di un influente prelato cristiano ottenebrato dall’emulazione e dall’ambizione, oltreché al momentaneo disorientamento di un prefetto Augustale romano messo in difficoltà da un vuoto di potere imperiale; in ogni caso, ogni volta che nella storia si ripropone, e si ripropone spesso, il conflitto tra un Cirillo e un’Ipazia, una cosa è certa: siamo e saremo sempre dalla parte di Ipazia. “Siamo e saremo”: una prima persona plurale che forse ci comprende in tanti, ma oggettivamente sembra rappresentare solo una piccola minoranza dell’umanità se si considerano i comportamenti prevalsi nei sedici secoli di Storia che ci separano da Ipazia, e persistenti nel mondo di oggi.
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| 01/01/2012 | In memoria di Ipazia, R. Negrini
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Imperobizantino.it | 26/08/2013 | Ipazia, la vera storia, Isabel Giustiniani
Il 2010 fu l’anno di Ipazia, almeno nelle televisioni e nei rotocalchi italiani. L’anno precedente era stato presentato a Cannes il film Agorà di Alejandro Amenábar che raccontava il martirio della filosofa di Alessandria descrivendo la lotta fra i monoteismi del V secolo. Il tema del film, ossia la denuncia del fanatismo della prima Chiesa cristiana, unito alla mancata immediata distribuzione della pellicola nelle sale cinematografiche italiane, aveva dato adito ad innumerevoli sospetti e “teorie del complotto” su presunte interferenze di autoritarismo ecclesiale. Una petizione su internet raccoglieva f irme denunciando un supposto caso di censura. Ma la censura, quella del mercato, cadde naturalmente quando l’alto costo per i diritti di un film da cinquanta milioni di dollari si abbassarono con il passare del tempo permettendo così agli italiani di godere tranquillamente del film. Residui brontolii continuarono a permanere a causa di scene mancanti rispetto alla prima versione, taglio effettuato però dallo stesso regista, come da lui stesso spiegato, allo scopo di portare la pellicola da due ore e mezza a due ore togliendo qualche scena di battaglia e incentrare il focus ancor di più sulla figura di Ipazia. Ma chi era veramente Ipazia? Di lei ci parla Silvia Ronchey, nota bizantinista che insegna all’Università di Siena. Il suo libro, uscito alla f ine di quell’anno, reca già nel titolo l’intenzione chiarificatrice sulla figura storica di questo personaggio che affascina da secoli molti studiosi. Ripreso e ampliato da un precedente volume miscellaneo uscito diciassette anni prima, il testo della Ronchey presenta un’appendice di un centinaio di pagine (ben un terzo dell’opera quindi) dove trova posto una accurata documentazione che aiuta a capire la complessità del contesto storico in questione. La stessa autrice ci spiega che:“ Era un quadro complesso non riducibile a uno scontro ideologico fra cristiani e pagani. Da Diderot in poi ha preso campo la posizione illuminista che legge l’assassinio di Ipazia come l’uccisione del libero pensiero da parte di una Chiesa. Arrivando anche a vedere in Ipazia una proto-illuminista. Dal punto di vista storico, però, non possiamo trascurare che Ipazia era un’autorevolissima caposcuola di una confraternita platonica, dunque una teurga.” È in una capitale egiziana dove si scontravano i poteri dell’elite pagana con i nuovi dirigenti cristiani e la lobby dominante ebraica che si snoda la tragica vicenda di questa donna. In quanto portatrice di libertà di pensiero e di parola Ipazia è stata di volta in volta fatta icona del laicismo, del protofemminismo, del libero pensiero contro f edi e ideologie, martire pagana, prima strega bruciata sul rogo dell’inquisizione ante litteram. Cosa del tutto comprensibile se si pensa al pluricitato assunto di Croce, secondo il quale non si f a storia del passato se non leggendolo (e manipolandolo) con gli occhi del presente. Di Ipazia, anche se purtroppo non ci resta nulla delle sue opere se non allusioni nei testi di contemporanei, sappiamo che fu figlia del grande matematico Teone, matematica lei stessa e astronoma. Visse ad Alessandria d’Egitto e lì trovò la morte nel 415 d.C. su mandato del vescovo Cirillo. Fu anche una filosofa neoplatonica che insegnava le dottrine di Platone e Aristotele nell’Accademia. Instancabile ricercatrice di verità il suo pensiero si caratterizzò dalla libertà da infrastrutture ideologiche di qualsiasi credo. Il suo discepolo Sinesio, lo storico cristiano Socrate Scolastico, ne elogia la sapienza e il carisma. Bella, coraggiosa, aristocratica e colta, Ipazia godeva di un prestigio sociale nonché potere politico enorme nella società del tempo. Questa sua influenza doveva scontrarsi con le mire del vescovo Cirillo. All’origine dell’ostilità di Cirillo ci sarebbe stata, più che la misoginia o l’odio confessionale, l’invidia – come specifica il bizantino Suida – per la sua influenza politica e i suoi rapporti con il prefetto imperiale Oreste, anch’egli di fede cristiana ma legato ad Ipazia. Un umano quanto meschino senso di frustrazione trova terreno fertile nelle frange estremiste del nuovo culto cristiano (parabalani) conducendo la filosofa ad una terribile morte in f orma di esecuzione rituale: smembramento per quanti accusati di stregoneria o scorticamento destinato gli eretici. Alla benedizione della Chiesa di Roma, che ne farà successivamente un Doctor Incarnationis fino alla recentissima dichiarazione di santità, si contrappone invece la pesante condanna di Cirillo nelle fonti bizantine (e, per contro, assunzione di Ipazia allo status di martire), dove invece permane la divisione tra Stato e Chiesa. Le diverse versioni sulla modalità dell’assassinio di Ipazia mettono in luce come fossero opposti gli atteggiamenti, e di conseguenza le interpretazioni, nei confronti del ruolo e del conf ine tra i due poteri, temporale e spirituale. Il testo è certamente consigliabile per conoscere quanto ci è pervenuto sulla figura storica di Ipazia perchè, come af f erma la Ronchey, “Se vogliamo davvero renderle omaggio non dobbiamo perdere l’occasione di leggere la sua storia in modo non settario, ma autenticamente laico.”
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The Mathematical Intelligence… | 19/07/2014 | Ipazia. La vera storia, Ana Millan Gasca
The time is now past when the figure of Hypatia could be molded to fit into a preconceived scheme of the fate of ancient mathematics, women in mathematics, or the role of religion in the history of science, because sources exist and they speak clearly to us about her. The Greek manuscript 28.18, conserved in the Laurentian Library in Florence, offers the image of a learned woman poring over Greek mathematics texts (in the title of the third book of Ptolemy’s Almagest, within the comment by Theon of Alexandria, we find the wording ‘‘edition revised by my daughter, the philosopher Hypatia’’); through the tradition of the Orthodox church the echo has come down to us of the general esteem and authoritativeness in which this teacher was held in her native city Alexandria; and we have the testimony of the love and respect of her pupils, including the nobleman Synesius of Cyrene, who later became a bishop. ‘‘We can know about Hypatia’’ is the fundamental message running through the book by Silvia Ronchey, professor of classical philology and Byzantine civilization at the University of Roma Tre. As a teacher, Hypatia succeeded in involving—almost ‘‘bewitching’’ as it were—not only those who knew her in her lifetime but many others during the 16 centuries that have passed since her violent death in 415 AD. The constant fascination she has exerted has to some extent clouded over her real figure, owing to the medley of rumors aimed at interpreting her destiny as a confirmation of various theories on the course of intellectual history. The extraordinary explosion of her literary legend has even become slightly asphyxiating and has partly betrayed the facts in a way that doesn’t stand up to careful analysis, as the Polish historian Maria Dzielska pointed out in her essay (Dzielska 1995). As Ronchey stresses, both an interpretation of Hypatia as a martyr of a radical conflict between Christianity and the Greek paideia, and a consideration of her death as a consequence of the ecclesiastical persecution of a rationalist scientist, are factual distortions. Indeed, such distortions are commonly found in many history-of-mathematics textbooks in which the few lines customarily dedicated to Hypatia serve the purpose of bringing to an end, amid admiration and dismay, the glorious period of Greek mathematics—a complex episode in the history of science whose accurate description is often laid aside and reduced to a spectacular murder and destruction of books, the blame for which is laid, according to the standard phrase appearing in dozens of books, on ‘‘a fanatical Christian mob.’’ The religious life in Alexandria was violent, indeed. The people of Alexandria similarly slew two of their bishops: George in 361 and Proterius in 457. However, most often in textbooks of the history of mathematics, the cultural and religious context of the city of Alexandria is not even roughly outlined—and yet what would Hypatia have been without Alexandria? Ronchey therefore urges mathematicians and historians of science to engage in betterinformed writing about the complex interactions between science, philosophy, religion, and politics during that particular historical period. She also advises against a preconceived gender studies approach overemphasizing an alleged concealing of Hypatia’s achievements by malevolent males. In her opinion, a more careful appreciation of Hypatia’s intellectual legacy as a part of our common heritage would be an important contribution to reinstating female thinking in the history of culture at large—and, let me add, also to integrating the history of mathematics in the general history of culture. Ronchey’s book sets out to participate in such an undertaking, addressing a wide reading public in an appealing style based on exhaustive documentation ranging from ancient sources to later historical-literary tradition concerning Hypatia to the most recent research on late antiquity and the world of Byzantium. The cultural life of the educated groups and the activity of the Neoplatonists in Athens and Alexandria are not necessarily doomed to be the object of study reserved for philologists venturing into centuries of decadence and ‘‘byzantinism’’ in the pejorative sense of the term. Quite the contrary. A book such as City and School in late antique Athens and Alexandria (Watts 2008) successfully brings to life the vibrant atmosphere of centuries rich in emotions and intellectual undertakings. Ronchey includes in her investigation the ongoing debate on Hypatia’s mathematical work (Deakin 2007). The documentation on which her book is based takes up more than one third of its volume and is set out in such a way as to support the discourse without interrupting it. The historical investigation is divided into three parts (clarifying the facts, betraying the facts, interpreting the facts) and has the ambition of establishing a historical truth that is also a judicial truth (because the core of the matter is a woman’s murder). Nevertheless it is precisely Ronchey’s analysis in the second part that reconfirms Hans-Georg Gadamer’s illuminating statement that there cannot be human understanding without prejudice (Gadamer 1975). All the main figures and witnesses are examined and assessed, in particular, Cyril of Alexandria. The book analyzes the relations between Eastern and Western traditions of the Christian Church in Hypatia’s times, and explains how Cyril’s political-religious project was quite the opposite of the project dominant in the Byzantine world in which Hypatia may be most naturally situated. The figure of Hypatia stands out clearly among the numerous Platonist, Neoplatonist, and Christian ‘‘philosophizing women’’ in the ancient and late antique world, devoted above all to an understanding of the divine. ‘‘The intellectual nucleus of which she is incorrectly viewed as the ‘last’ exponent is actually that from which for eleven centuries the brightest flower of Byzantine culture was to blossom […] Through them, the philosophia of Hypatia, Synesius, and ancient, more or less eclectic, philosophes of Alexandria was to come down to our Humanism and the 2014 Springer Science+Business Media New York DOI 10.1007/s00283-014-9469-x Author's personal copy Renaissance’’ (pp. 191–192). The initiatory Neoplatonic tradition to which she belonged was permeated with Pythagoreanism and astrological wisdom, and thus also with technical knowledge of arithmetic and geometry. Ronchey convincingly describes Hypatia as a priestess and theurgist, and therefore both as a public teacher (of mathematics) and as a private teacher (of the mysteries of the divine). On the other hand, as Synesius writes in his epistolary, ‘‘geometry is a sacred matter.’’ The Byzantine scholar Ronchey reminds us of the ties between mathematical thought, theology, and the knowledge of the divine. Attempts are sometimes made to ignore this link when considering figures such as Galileo and Newton, who were actually ‘‘lay theologians,’’ as Amos Funkenstein called them (Funkenstein 1986). The link between scientific and religious speculation in the history of mathematics can be traced back to Pythagoreans, and it reaches down to the twentieth century as far as, for instance, the work of the Russian priest and scholar Pavel Alexandrovich Florensky (Graham and Kantor 2009; see also some essays in Emmer 2010). Such instances highlight the primordial role of mathematics in culture.
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La Voce di New York | 13/03/2015 | Daesh e violenza cristiana: quando i fan…, Luigi Troiani
Nell'anno 415, Ipazia, medico, matematico e pagana, fu aggredita da un gruppo di cristiani, denudata e lapidata a morte. Una storia che fa riflettere sulla condizione femminile, sul rapporto tra fede e scienza e sulle violenze di un cristianesimo che oggi condanna i taglia gola Daesh.
Alessandria d’Egitto, alla metà di marzo del 415, è teatro di scontri tra cristiani e adepti dei culti pagani. Il loro referente carismatico è una donna intorno ai 45 anni, Ipazia, filosofo neo-platonico, pagana, medico, matematico e astronomo. Sta tornando a casa, quando è aggredita da una folla di cristiani, sembra guidati e aizzati da monaci parabolani, manipolo al servizio del vescovo Cirillo. È su una carrozza: viene costretta a scendere e trascinata in una chiesa. Qui è denudata e aggredita a morte con cocci aguzzi. I resti sono bruciati. Cirillo, vescovo della città, protegge gli autori dell’efferatezza, mancando, in un sermone che evoca l’accaduto, del rispetto dovuto all’avversario, donna inerme e sapiente: “È stata fatta tacere l’Egizia” si rallegra in pubblico, consapevole che, nonostante lo sforzo del prefetto di Alessandria, l’autorità imperiale si asterrà dall’intervenire.
L’egizia, dai suoi colti allievi e amici era abituata a ricevere rispetto a affetto. Sinesio, in una lettera, così a lei faceva riferimento: “Abbraccia per me la venerabilissima e piissima filosofa”, aggiungendo “beato il coro che gode della divina sua voce…”. Altrettanti stima e affetto sembra, dalle testimonianze che la storia ha tramandato, andassero a Ipazia da ogni uomo di scienza e saperi che entrasse in contatto con lei, che aveva avuto la forza (ai suoi tempi!) di contestare le teorie tolemaiche, ritenendole non fondate sul vero. La scuola alessandrina, grazie anche al lascito intellettuale e morale di Ipazia (e di suo padre, e dei loro allievi), con acutezza e libertà di ricerca, avrebbe alimentato il rinascimento italiano ed europeo, in particolare nei settori della geometria piana e solida, trigonometria, algebra, calcolo infinitesimale, astronomia.
Il tragico destino di Ipazia, tenendo anche presente quanto ne scrive Silvia Ronchey in un recente libro, stimola riflessioni molto vicine a questioni con le quali il nostro tempo deve fare i conti.
La prima riguarda la condizione della donna colta e carismatica in società impregnate del potere intellettuale maschile. La sapienza in una donna provoca, con l’ammirazione e la devozione di taluni, meraviglia invidia e maldicenze dei più. Accade oggi, figurarsi milleseicento anni fa!
La seconda considerazione tocca il rapporto tra scienza e fede religiosa: salvo i rari casi nei quali uomo di religione e di scienza coincidono, l’ignoranza fideistica tende a considerare come avversario chi si affidi alla ragione per interpretare il mondo e l’universo. Toccò a Ipazia il destino che spetta ad ogni persona ragionante e ragionevole quando incrocia il fanatismo religioso.
La terza considerazione riguarda l’incapacità di ricordare che i cristiani hanno sì sofferto l’assalto dei pagani e versato il sangue dei martiri, ma quando poi sono stati favoriti dal corso della storia, hanno a loro volta utilizzato la forza per imporre la loro religione, fondando sul cesaropapismo il diritto a percuotere gli adepti di altri riti, i non credenti, gli eretici. Più tardi le nazioni cristiane avrebbero fatto di peggio, attraverso i roghi inquisitori e colonizzazioni equivalenti allo sterminio degli autoctoni. La condanna dei taglia gola Daesh, non autorizza a dimenticare le stragi compiute dalla civilizzazione cristiana. Anatema alle milizie Daesh che abbattono i monumenti del culto preislamico, ma quante opere dell’ingegno pagano sono state distrutte dai proto cristiani?
Cirillo e i suoi monaci istigarono il crimine contro Ipazia. La versione odierna di quel comportamento sta in certi imam, studenti religiosi talebani, ayatollah e guide supreme. C’è da augurarsi che anche questa versione del fanatismo religioso finisca nella spazzatura della storia.
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Byzantina Symmeikta | 18/12/2022 | Βιβλιοκρισία:S. RONCHEY, Hypatia. The Tr…
ΚΑΡΛΑ Γ. (2022). Βιβλιοκρισία:S. RONCHEY, Hypatia. The True Story. English translation by Nicolò Sassi. With the collaboration of Giulia Maria Paoletti, Berlin - Boston: De Gruyter 2021. Byzantina Symmeikta, 32, 531–534.
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