Storia e memoria. Perché il passato oggi fa tendenza
Antico è spesso sinonimo di vecchio, inutile. Non per Silvia Ronchey, classe 1958, bizantinista e cattedratica all’Università di RomaTre, collaboratrice di “La Repubblica”, con alle spalle una tv di qualità che molti rimpiangono (“L’Altra Edicola”, RaiDue), saggi tradotti in molte lingue e un’intensa opera di divulgazione culturale. E grazie a lei, ad esempio, se gli italiani hanno conosciuto e apprezzato il pensiero dello psico-analista-filosofo James Hillman. Oggi è in libreria con “La Cattedrale sommersa. Alla ricerca del sacro perduto” (Rizzoli, 2581 pag., 19 euro).
Lei sostiene che non esiste il “Medio Evo”, né i secoli bui: esiste solo l’antico con le sue rinascenze. Perché?
Mi sono posta l’obiettivo di dissipare i pregiudizi o malintesi nati da interferenze nella trasmissione dei saperi o da vere falsificazioni. La tradizione antica è sempre viva in noi, anche se ignorata o rimossa. Scriveva Borges che siamo in un punto imprecisato della decadenza dell’Impero romano. L’epoca che stiamo vivendo ricorda molto da vicino il Tardo Antico.
Come sì spiega questo ritorno?
Da storica ho una visione ciclica delle epoche e credo che in questo momento il baricentro della storia si stia spostando verso Est. Era accaduto proprio nel Tardo Antico: nel IV secolo, Costantino, seguendo le tendenze del suo tempo, si spostò a Costantinopoli. Prima ancora c’era stata una ciclicità in senso opposto, che aveva portato dall’Oriente alla civiltà Greco-Romana.
L’incontro tra Oriente e Occidente e il passato visto con gli stimoli del presente sono al centro del libro.
Quello che manca ai politici e agli osservatori è la profondità del tempo. Questo, secondo me, è un appiattimento provocato da un discredito gettato sul passato, che è figlio degli anni ’70.
Nel libro lei ricorda l’emarginazione di pensatori come Elemire Zolla.
Io sono cresciuta con questi “fratelli maggiori” che erano i sessantottini. Quella cultura lì apparteneva a una certa sinistra che condannava come borghese lo studio del passato.
A quali conseguenze ha portato?
L’onnipresenza del presente ci ha portato a guardare a un’attualità senza lo spessore passato. Tucidide ci ricorda che, senza l’anamnesi della storia, non si possono fare diagnosi del presente e prognosi del futuro.
Come ha maturato la scelta di dedicare la vita allo studio dell’antico, in particolare, della cultura bizantina?
Non è stata una scelta ideologica, ma personale. Frequentavo il liceo Visconti al centro di Roma ed c’erano sempre assemblee, collettivi, scioperi. Una moda borghese, tutto sommato; un modo per non far nulla da parte degli studenti e dei professori. Così io passavo il mio tempo nelle biblioteche, dove il mio spirito di ribellione verso quel conformismo era finalmente appagato. Girare con i testi dei poeti latini, era eccentricità giovanile e insieme una sfida. Studiando, ho scoperto che l’antichità non finisce. Esaurita la letteratura greca più nota c’erano altri 11 secoli di cultura bizantina. Il Rinascimento segna il rinchiudersi di questa ellissi di cultura classica.
Cosa pensa della chiusura dell'Europa nei confronti della Turchia?
Quando c’è stata l’idea di fare entrare la Turchia nella UE, ero d’accordo. Il Paese che ci aveva consegnato Ataturk era brulicante di cosmopolitismo. Oggi vedo che va verso l’integralismo, per colpa nostra. Sul tema di “cosa sia Europa” ricordo una discussione che ho avuto qualche anno fa con il celebre storico francese Jacques Le Goff: sostenevo che l’Europa storicamente si estende dove fu esercitato il diritto romano, cosa che a Bisanzio avvenne fino al XV secolo. Le Goff, dal canto suo, negava che l’Italia facesse parte dell’Europa...
Tra le mistificazioni che lei denuncia c’è quella nei confronti dell’IsIam.
L’Isis ci ha dato una rappresentazione per così dire “barbarica” dell’Islam con mezzi narrativi occidentali (stragi, orrore, esecuzioni). Le prime vittime del fondamentalismo terrorista sono gli stessi musulmani.
Trascuriamo la contemporaneità dell’antico. Però serie tv come “Trono di spade” hanno successo con un mix di passato, futuro, Oriente e Occidente.
Penso che questa serie televisiva (di Sky, ndr) sia proprio la spia del bisogno di passato che abbiamo. Ed ecco che spunta un mondo reinventato, che non è solo medioevale, anzi. Colpisce la coesistenza di memorie onomastiche, linguistiche, culturali di un passato pre medievale, classico. In “Game of Thrones” c’è moltissimo studio, in una sceneggiatura di impronta pop.
Tra i pregiudizi sul passato che lei ci fa superare, c’è anche quello che le donne non abbiano lasciato una letteratura fino al 1600.
Solo da poco la storiografia ammette che Caterina da Siena non era analfabeta. In effetti, come poteva esserlo una donna che scriveva una lingua paragonata, da Nicolò Tommaseo, a quella di Dante.