Gli archetipi. La rivincita delle streghe
La protagonista di 'Outlander' dopo un salto di due secoli si trasforma in pasionaria
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Prendete una donna di oggi, emancipata ma neanche troppo, diciamo una normale figlia del secolo delle donne, il ventesimo, quello che ha visto l’inizio del cammino collettivo di emancipazione femminile. Proiettatela per magia indietro nel tempo e mettetela a vivere nel passato, in un tempo neanche troppo passato, diciamo tre secoli fa, nel diciottesimo. Per prima cosa, sicuramente, sarebbe considerata una strega.
Perché la donna emersa dall’unica rivoluzione non fallita del Secolo Breve, a ben guardare, ha tutti i tratti che un tempo contraddistinguevano la strega e che, se non celati, la qualificavano tale e la consegnavano al sommario processo, al linciaggio o alla tortura, all’imprigionamento e al rogo, come migliaia e migliaia di donne nella storia. Ma nello stesso tempo quegli stessi tratti, se occultati o bene mimetizzati, candidavano queste figure femminili alla leadership, al pubblico riconoscimento di un’autorità carismatica che soggiogava ogni essere dotato di senno, femmina o maschio che fosse, incontrassero sulla loro strada. Pensiamo alla filosofa-sacerdotessa Ipazia, ma anche alle sibille cristiane: a Ildegarda di Bingen, alchimista e guaritrice, pittrice e musicista, scrittrice e oratrice, donna di potere indipendente e indocile alla guida maschile; o a Caterina da Siena, o a Teresa d’Avila, o a tante altre mistiche del passato, per limitarci alla sfera sapienziale del sacro, in cui da sempre, fin dall’antica Grecia, l’eminenza femminile è stata più facilmente accettata. Se queste donne non si fossero schermate con cura dietro la gerarchia ecclesiastica, se non avessero dialogato con papi e imperatori, dissimulato il loro multiforme ingegno in un involucro di ispirazione divina, se non fossero state aiutate anche dal caso, sarebbero state definite dalla storia come la maggior parte delle loro simili: non sante, ma streghe.
E’ questa, fra le tante, l’invenzione più geniale, la più coinvolgente, di Outlander, la serie televisiva tratta dai romanzi di Diana Gabaldon, che tiene milioni di spettatrici e spettatori di tutto il mondo avvinti fino a tarda notte allo schermo e alle avventure di Claire, una trentenne inglese della middle class che all’indomani della seconda guerra mondiale, in cui come tante altre è stata crocerossina e ha così appreso utilissimi elementi di medicina applicata, durante un viaggio nelle Highlands scozzesi, nel 1944, si ritrova gettata indietro nel tempo di esattamente duecento anni. Per venire coinvolta in un’altra, non meno atroce ed epocale guerra, quella che vedrà alla fine sconfitta, nella battaglia di Culloden del 1746, la lega di clan stretti intorno all’antica corona degli Stuart e al celebre quanto inetto Bonnie Prince Charles. Una guerra di cui, venendo dal futuro, Claire conosce il tragico esito; al quale non per questo si rassegna, cercando di mutare il corso della storia per salvare quella gente che lei, inglese e anche per questo inizialmente avversata, impara a comprendere e amare appassionatamente, per esserne presto appassionatamente riamata. Perché Outlander — secondo elemento di fascinazione dei romanzi di Gabaldon e della loro impeccabile ricostruzione televisiva — insegna finalmente a una vastissima audience la storia e l’eccellenza della grande Scozia, la sua antica cultura, le sue tradizioni, le leggi sociali e morali dei suoi clan, di lì a poi definitivamente disperse e schiacciate dalla brutale conquista e dalla sanguinaria rappresaglia inglese.
Si potrà sostenere che gli ingredienti di Outlander siano scontati: un viaggio nel tempo, espediente narrativo usurato; un’eroina femminile che da normale housewife si trasforma in pasionaria, leader di un popolo tanto oppresso quanto amabile; una storia d’amore, quella con il bellissimo Jamie Fraser, nella cui arcaica, statuaria, innocente quanto sapiente e coraggiosa figura si incarna la nostalgia di un passato non ancora contaminato dal progresso — senza il quale tuttavia, in particolare quello della medicina, la protagonista non potrebbe conquistare il suo ruolo di guaritrice dei singoli, cui si aggiunge via via l’ambizione di guarire la società e la storia — e la nostalgia per il maschio: quel maschio autentico, forte, leale, protettivo e nello stesso tempo per nulla castrato, anzi trasportato, anche sessualmente, dalla superiorità intellettuale della sua compagna, che ogni donna oggi cerca, senza più trovarlo.