Uffizi, se i quadri vanno incontro alle persone
Il piano degli Uffizi per diffondere le opere ed evitare assembramenti
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Si narra che di notte, negli orari di chiusura dei musei, i quadri escano dalle loro cornici e conversino tra loro. Che all’Ermitage il figliol prodigo di Rembrandt si alzi in piedi e si intrattenga con gli emaciati apostoli di El Greco. Che al Louvre perfino la Gioconda scavalchi il recinto del mondo estremo che Leonardo l’ha costretta a presidiare ed eserciti i piccoli piedi sul parquet della Salle des Etats, schiudendo finalmente le labbra a un vero sorriso. Sembra che questo accada anche agli Uffizi, specialmente nelle notti di plenilunio che accendono l’Arno di argento. La Venere e la Primavera di Botticelli danzano insieme alla Venere di Urbino di Tiziano sotto gli sguardi guizzanti di Battista Sforza e Federico da Montefeltro, finalmente evasi dal dittico di Piero della Francesca, e anche i guerrieri della battaglia di San Romano di Paolo Uccello si prendono una pausa per ammirarle.
Ma quando è l’ora di apertura tornano tutti al loro posto, con corsetti e panneggi perfettamente ricomposti, anzi (ma di questo pochi si accorgono ed è forse uno dei motivi per cui ogni volta che si guarda un quadro sembra diverso dalla volta prima) spesso leggermente spolverati, ad aspettare con gioia i visitatori. Come gli animali degli zoo, le opere d’arte dei musei soffrono della cattività cui sono costrette: quelle esposte, per non parlare di quelle rinchiuse negli scantinati dei depositi, o in fila nei laboratori in attesa di restauro. Ma, proprio come gli animali degli zoo, non sanno fare a meno di essere guardate. Se non le si visita, cadono in depressione.
Durante il primo lockdown della primavera scorsa, nella reclusione degli esseri umani, sono stati gli animali a circolare liberi riprendendosi gli spazi abbandonati dall’uomo. Ora, in questa seconda fase di confinamento fiduciario, di autosegregazione affidata al senso di responsabilità individuale (cioè al senso del collettivo), potrebbe essere l’arte a prendere il posto che era stato della natura. Non è in fondo un triangolo vitruviano, quello uomo-arte-natura? Se viene meno uno dei vertici, la base resta comunque assicurata dagli altri due.
Così, agli Uffizi hanno avuto l’idea di far circolare alcuni dei loro quadri. Per esempio le opere della cerchia neoplatonica del Quattrocento fiorentino dovrebbero tornare alla Villa Medicea di Careggi, sede dell’Accademia di Ficino. Per quelle del periodo di Ferdinando I e Cosimo III de’ Medici si ipotizza un soggiorno nella Villa Medicea Ambrogiana di Montelupo Fiorentino. Un piccolo gruppo di Madonne — Neri di Bicci, Antonio del Ceraiolo — potrebbe prendere la via di Pescia. Ad Anghiari sarebbe destinata, fra le altre, la Tavola Doria della battaglia lì combattuta. Il Dante di Andrea del Castagno potrebbe ricevere i suoi ospiti al Centro visite del Parco Foreste Casentinesi. E così via.
Sarebbe bello. Perché se agli esseri umani sono interdetti gli assembramenti, anche ai quadri fa bene disseminarsi in luoghi più appartati e pacifici, dove si respira aria migliore e si instaurano rapporti più confidenziali. Se dobbiamo cercare, per la salute del nostro corpo e del corpo sociale, il distanziamento dai nostri simili, riavviciniamoci alla loro versione migliore e più alta, quella data dall’arte: un altro modo, forse il più efficace, certamente il più sicuro, ma altrettanto vero, di frequentare l’essere umano.
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