Leon Bloy. La moda bizantina in Francia | Agostino. Dare del tu al mistero | Casanova. L'awenturiero «filosofo» | Talmud. Trattato delle Benedizioni | Junger. Tra politica e guerra | Giamblico. Il più grande neoplatonico
TTL - Zig Zag tra i Cl@ssici
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"Mi atterrisce pensare a quanto è necessario apprendere per mettersi in condizione di dichiarare con competenza che non si sa nulla o quasi nulla degli eventi che ci si è messi a raccontare", scriveva Léon Bloy in Costantinopoli e Bisanzio, un libro che è all'origine della moda bizantina esplosa in Francia, ma anche in Italia, a cavallo tra i due secoli: la cosiddetta "France byzantine", la "Roma bizantina" di D'Annunzio e delle Cronache di Sommaruga. In realtà, appunto, Bloy non sapeva nulla o quasi nulla di Bisanzio. Ma questo classico libro, ispirato a uno dei capolavori della bizantinistica, l'Epopée byzantine di Gustave Schlumberger, e finalmente tradotto in italiano (Medusa, 135 pp., 15,50 euro), resta il massimo omaggio mai reso dal mondo dei letterati a un periodo storico e a un ambito scientifico che ancora oggi ignora quasi del tutto.
Gli uomini, si stupiva Agostino, vanno ad ammirare le vette dei monti e trascurano l'infinita, vertiginosa complessità della propria psiche. La casa della coscienza gli appariva piccola. Scoprì nell'anima umana l'esistenza di un Mistero, di qualcosa di altro dalla coscienza, "qualcosa che è nella memoria anche quando l'anima non prova più nulla". Al mistero Agostino diede del tu. "Ma come posso trovarTi, se di Te non ho memoria? sorpasserò la mia memoria?". La memoria rimossa si apriva al di sotto della coscienza, scriveva Agostino, "come un santuario enorme, sconfinato, una cripta piena di sale e corridoi colmi di terribili tesori". Gli scritti di Agostino, massimo filosofo della fine dell'impero romano, Sull'anima (a cura di Giovanni Catapano, Bompiani, 448 pp., 11 euro), precorrono per alcuni versi quelli del massimo pensatore della finis Austriae, Freud.
"Gli avventurieri che portavano a spasso per il mondo lo spettacolo della nostra vergogna attestavano che la vecchia Italia irrideva, vendeva e prostituiva tutto, gli eroi antichi e i santi nuovi, i monumenti e le ville, le sue donne, i suoi ragazzi acconciati per la musica, la gloria, l'arte, l'ingegno", scriveva Carducci alludendo a Giacomo Casanova. Come in molti altri casi, anche in quello dell'autore della Storia della mia vita la percezione comune non ha ancora abbandonato del tutto il pregiudizio carducciano. Gioverà adesso al buon nome di Casanova la traduzione dal francese della sua tarda e finora inedita in italiano Analisi degli Studi della natura e di Paolo e Virginia di Bernardin de Saint-Pierre (a cura di Gianluca Simeoni, Pendragon,184 pp., 17 euro)? Forse sì, ma non basterà a collocarlo, come azzarda il curatore, "nella schiera dei pensatori più arguti ed efficaci del suo tempo".
La parola "tradizione" viene dal latino tradere, che significa trasmettere. E' singolare che dalla stessa radice derivi anche la parola "tradimento. Trasmettere tradizione è anche sempre tradire, a fin di bene, un segreto. Il vero Testo, come diceva Elémire Zolla, "è comunque occulto, che si tratti degli Oracoli Sibillini o della Bibbia oppure del Testo Assente con cui la nostra Civiltà della Critica ha abolito l'antica Civiltà del Commento". Il Trattato delle Benedizioni (Berakhot) del Talmud Babilonese, qui ristampato nella classica traduzione di Eugenio Zolli, a cura di Sofia Cavalletti (UTET, 469 pp., 24, 50 euro), è uno degli esempi della perduta civiltà del commento e delle magnifiche interpretazioni che i più visionari tra gli esegeti, i rabbini, seppero dare al più noto fra i testi sacri, la Bibbia.
Ernst Jünger aveva combattuto entrambe le guerre mondiali e assistito a nascita e morte delle due ideologie totalitarie del 900, nazismo e comunismo. Alla prima era stato più vicino per nascita e cultura. Della seconda aveva profetizzato molti aspetti concreti in Der Arbeiter, "L'Operaio". Da entrambi gli schieramenti, nella grande guerra civile europea, Jünger sembrava aver goduto di quella stessa immunità e invulnerabilità che anche il tempo gli aveva garantito nella sua vita più che centenaria. Leggendo ora il primo volume dei suoi Scritti politici e di guerra (LEG, 189 pp., 16 euro), raccolti e commentati da Sven Olaf Berggötz, e soprattutto, come suggerisce nel suo competente e partecipe scritto introduttivo Quirino Principe, la sequenza di articoli su rivoluzione, metodo della rivoluzione, reazione e tradizione e il saggio su Nietzsche dell'autunno del '25, possiamo capire perché.
"Poiché l'anima ha una doppia vita, l'una col corpo, l'altra separata da tutto il corpo, durante la maggior parte della nostra esistenza, nella condizione di veglia, noi ci serviamo per lo più della vita che è in comunione con il corpo. Nel sonno, invece, ci liberiamo completamente dai legami che ci sono stati imposti e viviamo quella vita separata che costituisce la conoscenza. E poiché l'intelletto considera quello che esiste e l'anima possiede dentro di sé i principi razionali di quello che è nel divenire, è assolutamente logico che conosca in anticipo le cose che saranno: le conosce secondo la causa che le contiene. Per questo spesso, dormendo, noi raggiungiamo mediante il sogno gli avvenimenti futuri". Così scrive Giamblico, il più grande dei neoplatonici, il divino, nel terzo libro del trattato su I misteri degli egiziani (a cura di Claudio Moreschini, BUR, 465 pp., 12,50 euro). Ed è, come sempre, inconfutabile.