Velate o veline non fa differenza purché la donna non sia violata
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Cara Fiorenza,
come non essere dalla parte di Giuliano Amato? come non essere dalla parte della Pollastrini? Davanti alla Consulta giovanile per il pluralismo religioso, Amato ha suscitato scandalo difendendo le tranquille eppure tanto deplorate ragazze islamiche in foulard e gonna lunga, “tutelate” dal loro abito, contrapponendole alle occidentali travestite da pin up, secondo la provocatoria omologazione che vige in occidente ma in cui sembra primeggiare proprio l’Italia (secondo il Financial Times, che ha descritto il nostro come il paese delle donne nude e delle veline). Altrettanta simpatia va al ministro Barbara Pollastrini, che nella stessa occasione ha tenuto a precisare che una minigonna è dignitosa come una tunica e la dignità femminile non passa attraverso il vestito. Come non dare ragione anche a lei, sapendo oltretutto che era appena uscita da una riunione con gli avvocati della povera Hina, la ragazza pakistana ammazzata dal padre perché troppo emancipata?
Mi sento di fronte a un’impasse. Non entro nella discussione sul velo, che è delicata e complessa anche all’interno del mondo islamico e delle sue correnti femminili più avanzate, ed è tanto più dissennata quando la si strumentalizza per sostenere una presunta inferiorità della religione islamica rispetto alla cristiana. Le nostre nonne si sono sempre coperte il capo, e non è il Corano ma San Paolo a dire che se una donna non si vela è meglio che si rada i capelli. Ma non si può non pensare che ciò che resta del femminismo occidentale, anziché insterilirsi nella difesa a oltranza del diritto del corpo femminile a mostrarsi, dovrebbe insegnare invece, in una società sempre più multiculturale, la necessità di un sano relativismo. L’eccesso di dogmatismo rende un cattivo servizio alle nuove generazioni di giovani donne, specialmente ai soggetti più deboli, quelli maggiormente esposti alle più primitive reazioni maschili. Velate o veline, purché non violate.