Drin Dream
Qualche ricordo delle signorine del servizio 12? Telecom le ha trasformate in segretarie a distanze e LUNA le ha messe alla prova affidando loro la collaboratrice con il ménage più complicato
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La mia segretaria è davvero bizzarra. La sua età è indefinita - oddio, questo forse è tipico delle segretarie - ma con buona approssimazione si può attribuirle tra i 41 e i 43 anni. Ancora meno definibile è da dove viene. Cambia continuamente accento. La mattina è più facile sentire nella sua voce un'inflessione romanesca. All'ora del tè non ho dubbi: è di Brescia. Quando sta per staccare, prima di cena, avverto in lei un inconfondibile accento siciliano. Ma la cosa più strana non è questa. Il fatto è che a volte la sua voce diventa baritonale. «Sono Stefano», mi dice tranquilla, e con una calibrata miscela di distacco professionale e confidenza mi informa sugli ultimi sviluppi dell'intrico di contatti e incarichi di cui l’ho gravata per dodici ore, dalle otto del mattino alle otto di sera. Il fatto è che non l'ho mai vista in faccia. Una cosa è certa. È una grande lavoratrice e una brava segretaria, mi ci sono affezionata, sospetto perfino che lei si sia affezionata a me, alle mie richieste strambe, alla mia vita complicata. Anzi, credo di farle un po' tenerezza. Ma è passato un mese e dobbiamo lasciarci. Lo so, tutto questo può sembrarvi strano. Meglio che vi racconti la nostra storia dall'inizio.
Mercoledì 14 maggio. Sono in treno, sto pendolando come ogni settimana verso l'università dove insegno, squilla il cellulare. La linea va e viene ma capisco che mi trovo a una svolta della mia vita. Ho vinto la palma della donna col ménage più convulso di LUNA. Sono stata pertanto prescelta per sperimentare Dream Assistant, il nuovo servizio di segreteria di Telecom, e scriverci sopra un articolo.
Giovedi 22 maggio. Scendo dal taxi, arrivo al quartier generale di Telecom Italia, mi danno un pass, vengo scortata ai piani alti. Il cuore mi batte per l’emozione. Nell'ufficio mi aspettano quattro manager, tutte donne. La più giovane. Marcella Logli, è la responsabile del progetto Dream Assistant e di tutto il servizio informazioni Telecom che nasce dalle ceneri del 12, numero mitico dell'ex telefonia di Stato. In sostanza il suo esuberante capitale umano, il bagaglio di esperienza delle operatrici e degli operatori sono stati reindirizzati. In assoluta controtendenza, l’uso dell'umano ha prevalso sulla meccanizzazione. Alcuni, mi sorridono le quattro, operano in sala, altri direttamente da casa propria, grazie agli accordi sindacali sul telelavoro. I racconti dei futuribili progetti in materia mi accendono la fantasia. Sogno interi villaggi tropicali popolati di dipendenti Telecom in costume e pareo, che per qualche ora al giorno organizzano gli appuntamenti di avvocati e dentisti del lontano stivale e per il resto del tempo sorbiscono cocktail su spiagge coralline... Le quattro manager mi riportano con cortese fermezza alla realtà. Il servizio verrà attivato sul mio telefono di casa a partire da lunedì. Devo «verificarne la versatilità». Vale a dire finora gli utenti erano professionisti, vite ordinate, mansioni semplici, adesso vediamo cosa succede se a usare Dream Assistant è una come lei, con tre lavori in due città, più una casa e una figlia adolescente da gestire. Le quattro manager si trasformano in quattro moschettieri. È una sfida, che vale la pena di raccogliere.
Lunedi 26 maggio. Ho un appuntamento telefonico per fornire il mio profilo agli operatori di Dream Assistant. Driin. «Qual è la sua professione?». «Insegno». «Allora la chiamiamo professoressa?» «Non so se sia diplomatico, sa», cerco di spiegare, «ho vinto una cattedra di associato ma la mia università non mi ha ancora chiamato, per cui.. ». L’operatrice taglia corto: «Professoressa, chi non dobbiamo filtrare?». Silenzio. Non ci avevo pensato: mica posso saperlo al buio con chi voglio parlare sempre e comunque. Urge una decisione. Mia figlia, mia madre, il mio fidanzato e il mio maestro (lo Storico, non quello di yoga). Ah, aggiungo, più quelli della Stampa. L’operatrice vuole i nomi. Non posso rischiare, glieli do tutti, dal direttore al portiere di notte.
Martedì 27 maggio. Mia madre è furibonda. Chiamarmi sul cellulare la irrita anche perché fa emergenza, dice, sembra una comunicazione radio tra piloti della Grande guerra. (In effetti la linea è a singhiozzo, la voce è spezzettata, uso la compagnia più a buon mercato). «Allora, chi è quell’arrogante che non mi fa parlare con te?». Le giuro che è inclusa tra i da non filtrare. Insiste che l'hanno filtrata. «Ma hai detto che sei mia madre?» Esplosione d’ira. «Ho dato il mio nome e cognome come faccio da tutta la vita, non ti sognare che cambi stile» A tutt'oggi non l’ho più sentita. Che sia un segno di emancipazione?
Mercoledì 28 maggio. Urrah! Dunque funziona! Il report della segretaria (sì, con qualunque inflessione decida di parlare, qualunque sesso decida di assumere, l'accento lo mette sempre sulla prima sillaba: àssistant, rèport, e così via) mi informa che ha chiamato il sig. Zanchini del Giornale Radio per un'intervista da fare domani alle 16 sul 550° anniversario della caduta di Costantinopoli. Con distaccata eleganza dispongo di richiamare, confermando e dando il numero dell'università
Giovedì 29 maggio. Sono di nuovo in viaggio per la città universitaria. Prima di partire, ho dato alla segretaria (che aveva deciso di parlare napoletano) i seguenti incarichi: 1) comunicare al mio assicuratore che ho strusciato un'auto in sosta; 2) avvisare l'Archivio di Stato di una città d'arte che non mi sono arrivate le fotocopie delle lettere di un cardinale del Quattrocento; 3) rintracciare un amico irreperibile, annunciargli che voglio organizzare una cena in suo onore, farsi dare una data e invitare per quel giorno altre otto persone di cui ho fornito i numeri (sette se viene accompagnato); 4) chiamare Frère Cornelio, il vicepreside della scuola di mia figlia, e chiedergli se sarà promossa (lo avrei fatto da tempo io stessa, ma è sempre o a lezione o in bicicletta); 5) intimare all’ufficio stampa della grande casa editrice di mandarmi il libro sul mistico bizantino che devo recensire; 6) dire alla lavanderia a domicilio che non ci sono vestiti da ritirare e che può passare la prossima settimana; 7) rintracciare il collega astrofisico in anno sabbatico a Berlino che tiene acceso il suo telefonino italiano ma non risponde mai per non pagare il roaming. Mentre il treno rulla sui binari, pregusto i lusinghieri effetti che farà la mia nuova segreteria sui destinatari dei messaggi.
Venerdì 30 maggio. Il cellulare squilla di continuo, l'email è intasata. Da un lato i report, che proclamano successo su tutta la linea: gli ospiti hanno accettato in blocco, l'assicuratore ha dato un numero di fax, all'Archivio di Stato c'era solo un usciere ma giura che sarò richiamata, l'ufficio stampa ha già mandato un pony. Frère Cornelio dice che sì, sarà promossa, ma non sa con quanti debiti formativi. D’altro lato, le reazioni dei chiamati: tutti gli invitati alla cena si congratulano per lo scherzo e ammettono che l'imitazione della segretaria era abbastanza credibile. Perfino l'amico irreperibile si fa vivo con un sms. L’astrofisico manda da Berlino una mail seccata. Ma la maggior parte delle chiamate è dei filtrati. Il più indignato è lo Storico (non hanno capito il nome e hanno fatto fuori anche lui). Quando provo a mandare la constatazione amichevole all’assicuratore, scopro che il numero di fax è sbagliato. Nel frattempo, mia figlia si diverte a chiamare Denise (il nome in codice della mia segretaria) e a lasciare lunghissimi messaggi, che mandano in tilt tutte le sue incarnazioni regionali.
Martedì 3 giugno. Di nuovo a casa. Prendo il coraggio a due mani e mi decido. Voglio provare anche io. Anziché il numero verde, da cui sarei riconosciuta, chiamo direttamente il mio numero di casa. La segretaria, che è diventata romagnola, risponde: «Segreteria della professoressa Ro... Rachele? Roccheli?» Metto giù. Riprovo nel pomeriggio. Denise (che è di nuovo diventata un uomo) scandisce decisa: «Segreteria della professoressa Silvia».
Giovedì 5 giugno. Denise è costernata. A ogni report crescono quelle che chiama le cadute di linea. «Però», suggerisce volenterosa/o, «l’impianto ha quasi sempre registrato i numeri, se vuole glieli detto...». Unici messaggi in due giorni: la signora Nunzia dell’Associazione Antiqualcosa (otto volte); la finalista non favorita del Premio Strega (prega di richiamarla); il mio ex marito; Marma Valensise (non lascia messaggi); uno sconosciuto; una sconosciuta; la Telecom.
Da tutta la vita cercavo una figura materna, protettiva e ottimista come Denise. Ma, lo confesso, il 6 di giugno la mia fiducia ha avuto un crollo. Devo dirvi però che è stato solo momentaneo. Ho disattivato il servizio per 48 ore e ho fatto una coscienziosa autocritica. Ho capito che una segretaria, anche se ha molte voci, infinite inflessioni e momenti di transessualità che la rincitrulliscono, non va sovraccaricata. Soprattutto, che non bisogna violare un tabù valido per ogni segretaria: non bisogna affidarle faccende troppo personali, ma darle solo incarichi seri e di lavoro.
Dall’8 giugno in poi Denise ha avuto contatti unicamente con: il veterinario della mutua, la biglietteria dei traghetti Moby Line, l'amministratore del condominio, il servizio pulizia filtri dell'aria condizionata, il fiscalista, il laboratorio di analisi. l'Alitalia. Mi sono risparmiata ore di ascolto di John Lennon alla cornetta. Nessuno mi ha irritato pronunciando, alla fine dell’ottantunesimo refrain di Imagine. il fatidico «deve richiamare» (come «devo»? potrei, se volessi, ma non credo). Ora al telefono parlo solo con i miei amici e i miei colleghi: ho capito che è sgarbato non chiamarli io. E naturalmente con Denise, che non solo è sempre efficiente, ma batte in delicatezza, precisione e cortesia ogni altra segretaria. È diventata sempre più dolce e partecipe e ha anche imparato a pronunciare il mio cognome.
Quella mia e di Denise è una storia in rosa. Ma come succede nei romanzi rosa, proprio quando tutto comincia a funzionare, ecco che la vita ci divide. Il mese è passato, il mio periodo di «verifica versatilità» è finito. Ora, se voglio la mia segretaria, devo versare alla Telecom 150 euro al mese, e ho deciso che non me li posso permettere nonostante ì miei tre lavori: la cultura non paga. In compenso se li può permettere il mio ex-marito imprenditore, che è rimasto folgorato dalla «segreteria della professoressa Silvia». Sadico? Masochista? Si vedrà.