Neoumanesimo: la conoscenza ci salverà ancora
Il sapere non è mai stato così accessibile. L’era digitale può trasformarsi in un’occasione
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Guerre e migrazioni di popoli, crollo delle Torri Gemelle, crollo di Wall Street, permanente crisi economica, crescente catastrofe ecologica, e a coronare il tutto il coronavirus. I primi ventun anni del terzo millennio ascrivono alla sua maggiore età un tale crescendo di disastri da far predire ai neomillenaristi l’apocalissi mancata, la fine stessa dell’umanità e del pianeta; e ad altri, ai profeti che normalmente affollano i tempi di cosiddetta decadenza e caduta, l’inizio, proprio come dopo la caduta dell’impero romano, di un nuovo medioevo.
Sentiamo cigolare la ruota della storia. L’umanità, come si dice, è a un bivio, anche se chiamare medievali i secoli bui nei quali temiamo di sprofondare fa torto a quegli antichi tempi verdeggianti, illuminati dai capilettera degli scribi nella penombra dei chiostri. Quei secoli penetrati dai cosiddetti barbari, dai popoli il cui perpetuo movimento segna di fatto ogni divenire storico, produssero una sintesi di civiltà, a oriente ma anche a occidente del mondo mediterraneo, e perpetuarono la trasmissione dell’antica cultura.
Quella che molti di noi oggi temono, invece, è la fine della cultura. La rivendicazione, mascherata da controcultura, della pura tabula rasa; la negazione di ogni autorità ai saperi collettivi, l’ostilità verso ogni competenza individuale, la revoca di ogni intermediazione nell’accusa mossa alla conoscenza stessa di essere privilegio di pochi, ennesima ineguaglianza espressa da un sistema sociale, o semplicemente umano, ingiusto e discriminatorio. Quello che ci spaventa, quando parliamo di medioevo prossimo venturo, è l’anarchia feudale di un mondo in cui la combinazione di individualismo, superstizione e rancore, che già ora vediamo riflessa nel grande specchio collettivo della Rete, unita alla proliferazione delle fake news e al loro inevitabile sopravvento, renda l’umanità incapace di distinguere il vero dal falso, l’interesse comune dal particolare, il beneficio dal danno. Di qui il timore di involuzione, recessione o addirittura estinzione.
Ma, come nel mito di Eracle, non c’è bivio senza scelta. E l’alternativa nasce dal nuovo paradigma che proprio l’ultimo e forse più grande dei disastri del XXI secolo, la pandemia, ha introdotto nella nostra vita e nel nostro sentire. L’altro sentiero che si biforca nel devastato giardino del mondo possiamo chiamarlo non medioevo ma rinascimento.
Come nasce una rinascenza? Come si rinasce? La storia, certo, non si ripete mai. Esistono però delle costanti, dei segnali, degli elementi traccianti. Per esempio, ogni rinascita culturale, nella storia, è preceduta da una rivoluzione mediatica. Il passaggio dalla scrittura maiuscola alla minuscola, nel IX secolo, permise una stesura molto più veloce e dunque una disponibilità molto maggiore di codici manoscritti, dando vita alla prima delle rinascenze che scandiscono la storia dell’impero bizantino (e parallelamente, in occidente, alla cosiddetta rinascita carolina). L’invenzione della stampa, nel XV secolo, fu la premessa di quello che chiamiamo “il” rinascimento: i codici manoscritti, riprodotti dai tipografi quattro e cinquecenteschi, ampliarono esponenzialmente il bacino di utenza della cultura trasmessa dai copisti medievali, perseguendo un’ideale di universalità della lettura che coi secoli avrebbe abbattuto confini sociali, e geografici, sempre più vasti.
Perché un altro degli elementi distintivi di una rinascenza è il cosmopolitismo culturale, la diffusione e disseminazione dei saperi. E’ dalla circolazione quattrocentesca di uomini e testi che il rinascimento europeo trae le sue basi concrete. Lo scambio tra oriente e occidente, il flusso continuo di idee, il trasferimento armi e bagagli (stipati di libri) degli intellettuali bizantini in Italia alla vigilia della caduta di Costantinopoli restituirono alla conoscenza degli umanisti europei i grandi del pensiero greco. Il platonismo dell’ultima scuola filosofica bizantina, quella di Gemisto Pletone, portò l’aristotelismo medievale a recedere dinanzi a quella “filosofia dell’eversione europea” (Garin) che nutrirà il rinascimento. Legata al platonismo, una nuova visione dell’“uomo cosmico” (Zolla), della natura umana connessa a quella del cosmo naturale che la circonda, si affermò in antitesi all’antropocentrismo cristiano medievale. La visione del mondo come immenso organismo in cui tutte le parti sono vincolate fra loro nel Timeo di Platone, l’anima mundi di Plotino, la riflessione sull’inestricabilità dell’anima umana individuale da quella animale e vegetale di tutti gli esseri viventi di cui l’anima del mondo partecipa, rivivono nell’accademia di Ficino a Careggi.
Il rinascimento è un’epoca di conflitto religioso e di guerre di religione: il contrasto con l’islam, che con la conquista della Seconda Roma rivendica l’eredità giuridica della Prima; la scissione più netta tra cristianesimo orientale e occidentale, instaurata dalla migrazione dell’ortodossia nel nuovo impero russo della Terza Roma; lo scisma di Lutero, che proprio l’invenzione di Gutenberg contribuì a nutrire, permettendo con la diffusione a stampa una lettura diretta e personale della Bibbia nel mondo protestante. Eppure, o forse proprio per questo, è nel rinascimento che si afferma una nuova visione, più inclusiva e tollerante, della religiosità: il De pace fidei di Cusano, come il pensiero di Pio II e di altri esponenti della curia umanistica del tempo, è una proposta di “concordanza fattibile” (facilis) tra le religioni nel nome di una visione filosofica del divino che unisca i tre monoteismi, anzi i quattro, se contiamo quello del tardo platonismo. Quando, al concilio di Firenze del 1439, a Gemisto Pletone fu chiesto chi avrebbe vinto, se Cristo o Maometto, la risposta fu: nessuno dei due, perché una nuova religione universale si affermerà, che ammetterà e includerà le altre, contemporanee o precedenti, compresa quella cosiddetta “pagana” degli antichi elleni e della tradizione indoiranica. Anche questo, l’affacciarsi di un’esigenza di sincretismo religioso proprio in concomitanza dell’acuirsi di guerre e conflitti di religione, è un tratto rinascimentale. Che non si riproduce mai identico, come nulla nella storia, ma i cui segnali possono riconoscersi anche oggi.
Dopo Gutenberg, pur nel progressivo diffondersi delle biblioteche pubbliche, dell’alfabetizzazione, della pubblica istruzione, restavano barriere, sociali e geografiche. Oggi la rivoluzione digitale ha abbattuto anche quelle. La globalizzazione ha reso per la prima volta nella storia lo scibile universale accessibile universalmente in senso letterale: in tutto il globo, come in un’utopia umanistica. I classici della letteratura di ogni epoca e lingua, i trattati fondamentali del pensiero; il repertorio della musica di tutti i tempi, in una molteplicità di esecuzioni; i tesori dei musei, esplorabili in dettagli che superano la visione dell’occhio nudo. Il bambino di uno sperduto villaggio del Bangla Desh può ascoltare decine di esecuzioni delle variazioni Goldberg, leggere i romanzi di Dumas o i frammenti dei presocratici o le poesie di Donne, guardare negli occhi gli autoritratti di Rembrandt, girare intorno a un Prassitele o a un Bernini. Gli archivi dei millenni umani hanno perso la loro polvere e si dischiudono dovunque e a chiunque. A chiunque lo sappia, e lo voglia.
Ma qui sta il punto. Più forte del richiamo della bellezza e del sapere è spesso quello, assordante, del possesso e del consumo. Più forte del piacere della ricerca dell’oggettività è, nell’essere umano, il compiacimento dell’ego, l’affermazione violenta delle proprie opinioni, quand’anche arbitrarie o soggettive. Ogni nuovo medium — a partire da quello inventato da Gutenberg — invita gli umani a un suo cattivo se non pessimo uso. Ma ogni rinascenza chiama a una nuova riflessione sulla natura umana, e a una sua nuova educazione allo spirito critico.
La dimostrazione della falsità della donazione di Costantino, la colossale fake news su cui si basò nel medioevo il potere temporale del papato, fa di un altro grande umanista, Lorenzo Valla, l’icona della cultura rinascimentale. Ci volle più di mezzo secolo perché il De falso credita et ementita Constantini donatione fosse pubblicato. Nella sua storia politica, quello che chiamiamo “il” rinascimento fu un periodo travagliato, pieno di violenza e di sofferenza. Se anche oggi sentiamo di attraversare un’epoca simile, non trascuriamone i segnali. Perché il genio del rinascimento è in fondo il nostro genius loci. Marsilio Ficino, Nicola Cusano, Lorenzo Valla e tutti gli altri che li accompagnarono o li seguirono — architetti, pittori, scrittori, filologi, filosofi, Leon Battista Alberti e Piero della Francesca, Leonardo e Michelangelo, Poliziano e Pico della Mirandola, Machiavelli e Guicciardini, fino a Giordano Bruno — abitavano qui.