Tre uomini (e una donna) nella misteriosa locanda Serny
"Il mistero della locanda Serny" di Marco Fabio Apolloni
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Nel 1839 a Roma ci sono due alberghi. L'Hotel de Russie, fondato da un reduce delle campagne napoleoniche che ha fatto affari nelle salmerie e nel traffico delle antichità. E un altro a piazza di Spagna, angolo vicolo del Bottino, chiamato Serny. Sul muro del vicolo c'è un Cristo dipinto, considerato miracoloso perché una volta, pur essendosi spento il lumino a olio, ha continuato a illuminarsi. Si scoprirà che un cadavere nascosto dietro il muro produce idrogeno solforato. Non diremo altro, perché questo è II mistero della locanda Serny, che dà il titolo al primo, fantasmagorico romanzo di Marco Fabio Apolloni. Tre uomini, e successivamente una donna, si ritrovano nella locanda, in apparenza casualmente: un mago italiano, un diplomatico francese e uno scrittore russo esperto di gastronomia. La donna, un mezzosoprano, amoreggia col francese, parla in dialetto meneghino e imbastisce durante una seduta di mesmerismo, in realtà recitata per scoprire l'assassino, un virtuosistico gossip intorno alla morte di Bellini. In realtà l'italiano è anche carbonaro e spia e ha da vendere al francese dei documenti. Il russo conosce attraverso un amico pittore la strana famiglia romana al centro degli intrecci di vere e false piste che befferanno il lettore fino allo scioglimento del mistero. Per scrivere questo falso perfetto, quest'ironico credo, quest'ambiziosa sciarada, questa parabola metaletteraria, bisognava avere anzitutto sulla punta delle dita la cronologia di mezzo secolo. I più anziani tra i protagonisti hanno vissuto l'ultima avventura napoleonica. Nelle storie che raccontano, altri personaggi da loro incontrati l'hanno vissuta tutta intera. Bisognava avere presente nei minimi dettagli l'epoca che va dalla campagna di Russia a Carlo X, dalla Santa Alleanza alla monarchia di Luglio, con qualche profezia o allucinazione fino a Napoleone III, Cavour o addirittura la Comune di Parigi. Non era facile, in un libro così debordante e magmatico, non dare adito al più piccolo anacronismo. Eppure, il maniacale congegno funziona alla perfezione. Sembra davvero che Apolloni abbia vissuto i primi quarantacinque anni della sua vita nell'Ottocento. E infatti l'italiano, il russo e il francese sono tre vecchie conoscenze che l'autore sembra avere personalmente incontrato e che ringrazia alla fine per essersi rese disponibili a sussurrargli all'orecchio: il mago Bosco, Gogol e Stendhal. I tre quarti del libro sono il verbale della loro conversazione, o meglio dei racconti che si scambiano e dei pensieri che a questi si intersecano. Qui Apolloni utilizza, lavorandole fino a renderle irriconoscibili, antiche leggende romane, storie praghesi e anche un po' lo Sciascia del Consiglio d'Egitto, nella magnifica storia della Santa Merla. Quando Apolloni spedisce i tre fuori dall'albergo, a qualche festa rigorosamente storica e perfettamente ricostruita, non è per civetteria o passatempo, ma per farli interagire o deviarli su falsi binari. E in questa fase chi muove tutto è Bosco, il prestigiatore-provocatore. Con il suo accorato cinismo, il suo amaro giudizio sugli italiani, la sua conoscenza dell'arte e del mercato antiquario, il mago è l'alter ego dell'autore. Laico e smaliziato, uscirà vincente. Come dalla sua fatica letteraria è uscito, a noi sembra, Apolloni.