Questo non è un paese per vecchi
James Hillman rilegge il mito della nascita della dea. E la traduttrice del saggio racconta come tutto è iniziato: da una conferenza, ispirata come la trance di un vate
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"Questo non è un paese per vecchi" sorride ironico James Hillman, da poco sbarcato a Capri con la moglie, la bionda, sofisticata pittrice newyorkese Margot McLean. Due anglosassoni alti e pallidi, Margot in nero minimalista, James in bianco, la sottile cravatta di Prada decorata da un volo di farfalle: in greco psyche, la stessa parola che significa anche "anima".
Il grande pensatore americano, il più eretico e geniale degli allievi di Jung, ha riportato nella cultura del Novecento e nella moderna psicologia lo studio dei miti classici, del mondo e dell'anima stessa degli antichi."No Country for Old Men". Prima di fare da titolo al film dei fratelli Coen, la frase apriva una memorabile poesia di Yeats, Verso Bisanzio. Hillman la cita seduto sotto l'Abandonnée di Savinio, uno dei quadri della collezione d'arte contemporanea del Palace di Anacapri, di cui è ospite. Studiando la mappa dell'isola, si è accorto che per raggiungere l'Arco naturale dalla libreria La Conchiglia, dove sarà tra poco, dovrebbe arrampicarsi molto più di quanto le sue pur lunghe gambe desiderino.
Così, nella luce dorata di settembre, Ausilia Veneruso e Riccardo Esposito impugnano i cellulari. Sono loro gli organizzatori di Capri, i luoghi della parola, le parole degli dèi, la manifestazione che ogni anno riunisce nell'isola intellettuali di tutto il mondo per parlare dei miti antichi. Insieme librai e editori, sono gli eccentrici animatori della vita culturale caprese. Ma anche gente pratica. In pochi minuti, prima che la luce settembrina diventi rosata e cominci il tramonto, si materializzano tre diversi, bizzarri, mezzi di locomozione: il primo è un minuscolo vagoncino elettrico, unità mobile di proprietà del Comune, capace di affrontare il restringersi della strada; i seguenti, ai due bivi successivi, sono carrelli portabagagli che spericolati guidatori autoctoni lanciano per i sentieri scoscesi.Quando il sole è calato e la luce celeste è diventata color cenere, lo stesso carrello porta a tutta velocità gli Hillman dalla Conchiglia fino alla terrazza fiorita del ristorante che sorveglia l'abisso dell'Arco naturale. Il cielo è così limpido che le stelle sembrano formare una rete. "Afrodite è anche questo" mormora Hillman.
"Vive nel cosmo non solo come astro, mattutino o vespertino, ma anche nei segni zodiacali, nelle combinazioni che avvolgono la vita terrestre e i cui rapporti numerici sono un'altra manifestazione, come sapevano bene i neoplatonici, degli archetipi della nostra psiche, gli antichi dei".Al ritorno, le mura bianche di Capri sfiorano le spalle di Hillman da tutti e due i lati. Ride: gli sembra di essere tornato alle giostre della sua infanzia di Atlantic City. Nel buio, i rami che si protendono dai giardini delle ville gli fanno chinare continuamente il capo.
Gli sembra, scherza, "un safari notturno nella giungla". Una giungla civilizzata però, come l'antico mondo greco-latino di cui è esploratore, anzi speleologo. Una giungla dolce e profumata come Afrodite, che Hillman, in questi giorni di settembre, è venuto a evocare e invocare.Con una preghiera era cominciata infatti, poche ore prima, nel chiostro della certosa di San Giacomo, quella che difficilmente il folto e vario pubblico presente avrebbe ricordato come una normale conferenza. Una performance, piuttosto, quasi una trance oracolare, in cui l'anziano filosofo, dritto come un antico vate nel chiostro medievale, aveva pronunciato parole tanto toccanti quanto complesse, lo sguardo azzurro spalancato verso il cielo azzurro, oltre la platea.
"Secondo la Teogonia di Esiodo" aveva ricordato "le prime a salutare Afrodite al suo emergere dalla spuma del mare sono state le Horae. Erano figlie di Themis, la "legge di natura", e i loro nomi erano Eirene, "pace", Dike, "giustizia", Eunomia, "giusto ordine" o "buon governo". Quando la dea esce nuda dalle onde, sono le Horae ad accoglierla, a metterle una corona sul capo, e orecchini e intricati fiori di rame e oro intorno al collo e sui seni, come è scritto nel secondo inno omerico ad Afrodite".Le Horae, le Ore appunto, "sono le naturali scansioni del tempo, che procede attraverso il giorno e la notte, il ciclo delle stagioni e le attività che le seguono: le migrazioni degli uccelli, gli accoppiamenti tempestivi fra le creature e così via.
Dunque la bellezza della dea è anche l'espressione del dispiegarsi del giusto senso nella giusta ora, nel giusto momento".La giustizia di Afrodite si esercita in molti modi, che Hillman declina e coniuga fra loro in un discorso la cui architettura ora si alza fino all'astrazione, ora si curva fino a terra. Ma Afrodite, il genius loci dell'isola, la cui protezione e clemenza è stata fin dall'inizio ritualmente, quasi teatralmente, invocata, è soprattutto la dea del momento opportuno.
Del combinarsi di armonia esteriore e interiore, dell'interazione tra l'anima individuale e quell'anima esterna in cui siamo immersi, che Hillman chiama, con parole antiche, Anima del Mondo. Una sola anima in cui tutti gli ascoltatori, immobili, coi loro sandali e i loro foulard, nei loro lini stropicciati, sembrano assorbiti, mentre il silenzio del chiostro fa risuonare lente le parole.Nessuno, forse neanche l'oratore, poteva prevedere che dall'ispirazione di quel momento, così legato alla sacralità del luogo monastico e della dea pagana, protettrice dell'amore ma anche della bellezza e della giustizia, sarebbe scaturito uno dei più fulminanti e articolati saggi di James Hillman, La giustizia di Afrodite, ora pubblicato dalle Edizioni La Conchiglia.
O, forse, qualcuno sì: Lei, la protettrice di quell'ora, la custode di quel giorno: "Perché quando Lei trionfa in tutta la Sua sublimità" aveva annunciato Hillman "allora la sconfinata confusa chiarezza del cosmo stesso è in perfetto ordine".