Perché Teodora fa paura agli uomini
Prostituta e imperatrice, femme fatale incarnata da Sarah Bernhardt. Ma nel 900 le grandi intellettuali l'hanno riscoperta politicamente
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Tutto era cominciato con un ballo in maschera dai coniugi Lebaudy. Una giovane principessa rumena, Marthe Bibesco, era appena arrivata a Parigi. Aveva sedici anni, non aveva un costume e nemmeno troppo denaro per comprarlo. Così aveva usato i gioielli di famiglia, dopotutto simili ai modelli bizantini, e si era presentata travestita da Teodora. Fece il suo ingresso all'hôtel della rue Pierre Charron “portando le insegne, la dalmatica, la corona, i gioielli e le babbucce di porpora di Teodora tale e quale la vediamo nel famoso mosaico di Ravenna”, scriverà rievocando in seguito quell’episodio cruciale della sua vita. Molti invitati la ammirarono e arrivarono a vedere in lei un'impressionante somiglianza con l'imperatrice bizantina non solo nell'abbigliamento ma nell'ovale del viso, nel taglio degli occhi e nel portamento.
A rovinare la festa arrivò uno zio paterno della Bibesco, anziano e compassato erudito anche lui presente al ballo, che la rimproverò accusandola di avere dato scandalo assumendo i panni di un personaggio storico di dubbia reputazione: i panni di una donna perduta, di una “gourgandine”. Sua nipote, al suo debutto nel bel mondo parigino, presentarsi come una poco di buono, come una prostituta! Marthe Bibesco, che sarebbe diventata una brava scrittrice, dedicherà decenni della sua vita a riscattare quella macchia originale nel suo ingresso nella buona società europeo-occidentale, e a ribadire la giustezza della sua scelta e la bontà del suo intuito di adolescente.
Facciamo un passo indietro di quattordici secoli e passiamo a un altro evento diciamo così sociale che si svolse nell’anno 518 dopo Cristo sul palcoscenico di un teatro di Costantinopoli. Una ragazzina si spoglia sotto gli occhi del pubblico fino a rimanere nuda sulla scena, portando solo un minuscolo perizoma. Si stende per terra, supina, a gambe larghe. Gli aiutanti le gettano chicchi d'orzo sul pube e oche opportunamente ammaestrate li beccano uno a uno. E' Teodora, futura sposa dell'imperatore Giustiniano. Così racconta lo storico bizantino Procopio di Cesarea, contemporaneo ai fatti.
Una volta sul trono, Teodora governò a fianco di Giustianiano e meglio di Giustiniano. Mostrò un carattere di ferro e un autentico talento politico. Gli storici hanno sempre riconosciuto la sua influenza determinante sulle decisioni di stato — almeno, su quelle migliori. Spesso, per i due, si è parlato di diarchia. In politica interna, per esempio, Teodora capì meglio di Giustiniano e dei suoi consiglieri i complicati equilibri di correnti all’interno delle cosiddette fazioni del circo, i Verdi e gli Azzurri, in realtà veri e propri, complessi partiti politici (li conosceva bene, fin da bambina, anche perché era in quell’ambiente che aveva esordito nel “mestiere”). In politica estera, altro esempio, fu Teodora a gestire magistralmente la questione del secessionismo monofisita copto-siriaco: una secessione religiosa (hairesis) ma anche politica delle province nordafricane nazionaliste, in particolare Siria ed Egitto, strategicamente cruciali.
Fine del flash back. Torniamo agli ultimi anni del Diciannovesimo secolo. I dossier di Procopio erano stato tradotti e annotati da François André Isambert nel 1856 e da quella traduzione un famoso commediografo dell’epoca, che aveva grande intuito sui gusti del grande pubblico, Victorien Sardou, lesse la storia di Teodora e decise di farne una pièce teatrale. Ai suoi occhi, il personaggio era perfetto per incarnare la figura di femme fatale tanto cara al pubblico dell’Ottocento.
Scelse così come protagonista, ancora prima di scrivere la pièce, una donna che era l’incarnazione vivente del mito della femme fatale: Sarah Bernhardt. La storia di Sardou, rispetto alla narrazione di Procopio, è semplificata, quando non a tratti mistificata o inventata. I costumi sessuali di Teodora sono rappresentati in termini più soft che in Procopio. Ne fa una sorta di Nanà, l’eroina di Zola. Ciononostante sarebbe stato furiosamente attaccato dal moralismo perbenista della nuova bizantinistica petit-bourgeoise, che si distaccherà dalla spregiudicata saggezza degli storici illuministi (Montesquieu, poi Gibbon), i quali avevano bene inteso Procopio. In particolare uno dei padri di questa bizantinistica fin de siècle, Charles Diehl, che aveva assistito alla prima della Théodora, polemizzerà violentemente con Sardou. A torto. Sardou non avrebbe dovuto essere contestato per avere mostrato la promiscuità sessuale di Teodora, ma per avere sottratto alla figura della prima e più celebre imperatrice di Bisanzio la dimensione più importante: appunto, quella politica.
La bizantinistica moderna comincia con questa negazione — e la negazione è rivelatrice di una rimozione, e la rimozione è tout court quella della realtà di Bisanzio. Una realtà che non si vuole o non si può vedere. Bisanzio entra nel Novecento sotto l’immagine di Teodora, ed è un’immagine imbavagliata dal moralismo. Il fatto è che gli stereotipi dell'irrazionalità e di una prepotente quanto frivola passionalità mascherano ed esorcizzano la realtà di un potere femminile bizantino che in realtà non aveva avuto alcun carattere irrazionale né arbitrario. Era stato spregiudicato, crudele, sanguinario, tinto di erotismo nella letteratura che ne parla. Ma, se ci atteniamo a un'analisi attenta dei testi bizantini oltreché agli studi recenti, fu effettivo, ed ebbe un peso politico senza pari nella storia occidentale.
I termini sessuofobici e moralistici della polemica dei bizantinisti contro la pièce di Sardou avevano dato forma definitiva all’immagine stereotipa della corte di Bisanzio come regno esclusivo di intrighi femminili o effeminati e quindi vacui e insensati. Da quest’immagine, fantasticata dalla cultura decadente tardottocentesca e accreditata dagli storici borghesi di inizio secolo, proviene l'opinione distorta che di Bisanzio ha avuto il Novecento. Il senso spregiativo che diamo tutt'oggi all'aggettivo “bizantino” e anche l'irragionevole percezione della storia bizantina come “decadenza indefinitamente protratta” hanno radice nell’attrazione-repulsione della cultura decadente, con cui alla fine dell’Ottocento si era incontrata la pruderie del partito borghese degli eruditi.
Ora, viene da chiedersi: non sarà forse proprio a causa dell’importanza e legittimità che vi ha avuto il potere femminile? Non sarà stata la realtà di questo potere a spaventare — questo potere femminile ma legalmente ratificato che proprio in Teodora sembra trovare il suo simbolo? l’idea maschile archetipica di un potere incontrollabile, uterino, connotato, anche quando si esprime in atti positivi, dai tratti, per il mondo maschile sconvolgenti, dell’isterismo?
E però, nel momento in cui l’immagine di Teodora valica la fin de siècle e approda al Novecento, nelle fasce più alte ed emancipate della società e della cultura abbiamo una fantastica, inaspettata metamorfosi. L’imperatrice indossa nuovi vestiti. Dopo che il fascino-incubo dell’emancipazione femminile aveva tenuto in scacco l’immaginazione dell’Ottocento, entriamo ora nel secolo delle donne. E le donne di genio cominciano a specchiarsi nel personaggio di Teodora, prescindendo completamente dai moralismi della passata letteratura, scientifica e non. Fin da giovanissima, si specchia in Teodora un’intellettuale raffinata come Vanessa Bell, la grande pittrice sorella di Virginia Woolf. Il transfert femminile con Teodora si ritrova soprattutto nei ritratti in posa delle grandi donne di mondo dell’epoca. Già nel 1897 Jennie Jerome, la futura Lady Randolph Churchill, la bellissima ereditiera americana poi madre di Winston Churchill, si fa disegnare da Jean-Joseph Benjamin Constant un costume da Teodora, poi confezionato dal grande sarto Worth, molto simile a quello di Marthe Bibesco. Jennie continuò a indossarlo in altri balli, feste mascherate e tableaux vivants fino al 1911.
Che non cesseranno nel decennio successivo, quando l’americana Ruth Saint Dennis si esibirà, nel 1922, nella sua indimenticabile Dance of Theodora. Indossare i panni di Teodora diventa prerogativa della donna emancipata, spregiudicata, che può farsi, se vuole, anche femme fatale, ma nell’accezione novecentesca di “donna dandy”. Come Marthe Bibesco. Che non a caso, dopo avere vestito da adolescente i panni di Teodora, verrà ritratta da Boldini.
La stessa Marthe Bibesco che nel 1953, esattamente cinquant’anni dopo il ballo dell’Hôtel della rue Charron, scriverà un libro che è un autoritratto nei panni di Teodora: Théodora, le cadeau de Dieu. L’ormai matura principessa, divenuta nel frattempo regina dell'alta società cosmopolita, la accosta esplicitamente a un’altra sua incarnazione novecentesca: Evita Peron. “Eva Peron”, scrive Marthe Bibesco, “ha rinnovato il mito di Teodora”.