Un pessimista per la democrazia
Storia. L’analisi di Canfora: il rischio ricorrente di grandi e piccoli Cesari
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La democrazia da una parte, il cesarismo dall’altra. O meglio, le democrazie — poiché un’espressione pura di questa forma di governo, teorizzata, ma in quanto tale mai storicamente sperimentata, non esiste, bensì varie e spesso ingannevoli espressioni oligarchiche, antiche e moderne, che si autoimpartiscono questo nome. E, al plurale, i cesarismi — poiché da quella “soluzione incompiuta, provvisoria, quasi una rinuncia a scegliere, adottata da Cesare alla fine della sua traiettoria politica”, cui si ispirò Bonaparte, promanano derive che raggiungono i grandi poteri totalitari, o i piccoli cesari, dell’età contemporanea.
Democrazia e cesarismo: tra questi due poli si muove, e si è sempre mossa, la riflessione storico-politica di Canfora. Sono gli stessi tra cui oscillano i brevi, erratici, fulminanti capitoli del suo ultimo libro, “La natura del potere” (Laterza, 99 pp., 14 euro).
Sono due poli poi così distanti? o, nella lunga durata di una storia che non è — per usare le parole di Braudel — quella “vista dai contemporanei al ritmo della loro vita breve come la nostra”, capita a volte di vedere l’oscillazione del pendolo restringersi talmente da rendere inevitabile chiedersi se i due estremi in realtà non si congiungano? e tentare allora di superare il dualismo con spregiudicatezza, mettendo da parte i luoghi comuni di una facile correttezza politica, insieme ai placebo ideologici che ogni epoca sviluppa nel dare conto di sé? studiare dunque la storia in trasparenza, includendo nell’oggetto di studio anche coloro che a loro volta vi si sono applicati? esaminare i meccanismi stessi delle rimozioni e dei lapsus, evidenziare le approssimazioni e le contraddizioni della memoria che ogni epoca lascia di sé, scardinarne le categorie e dissezionarne i preconcetti?
In una storia che sia quella delle onde di fondo e non delle increspature brevi, di superficie, non esiste un metodo di narrazione di per sé obiettivo: la scelta, l’enunciazione dei fatti, è già una filosofia della storia. E’ per questo che Canfora pone in costante raffronto il passato e il presente, attirandosi a volte le critiche di quegli studiosi delle moderne democrazie che ne rivendicano l’irriducibilità alle forme antiche, arroccandosi in uno specialismo che ha però memoria corta, poiché proprio i grandi storici moderni su cui la nozione di democrazia rappresentativa si è formata studiavano la storia nel suo insieme, e non per comparti.
Il rapido e lucido excursus iniziale sulle visioni antiche del potere — Polibio il realista, Epicuro il pessimista e, contrapposto all’“antimperiale” Lucrezio, Virgilio l'opportunista nel “geniale compromesso augusteo” — serve a enunciare il dilemma del rapporto governanti-governati, non certo ad applicare un comparatismo antistorico. Il fatto è che Canfora, nonostante la felicità della sua scrittura e la grande diffusione delle sue opere, ha un’insopprimibile vocazione elitaria. Per questo a volte il suo pensiero, riottoso alla semplificazione, viene, involontariamente o no, mistificato.
Se nel suo penultimo libro, “La storia falsa”, spiccava la denuncia dei metodi del potere di Stalin, anzi, della sua stessa presa del potere, “La natura del potere” non è certo un elogio dei totalitarismi, né, come ci si è addirittura spinti a dire, un libro “contro la democrazia”. E’ invece il libro di un pessimista, che critica le definizioni stesse di democrazia e tirannia e riflette su ciò che le accomuna, col disincanto e insieme lo slancio del poeta-filosofo cui fin dal primo capitolo si ispira: il meno cesariano degli intellettuali dell’età di Cesare e nello stesso tempo il più utopista, Lucrezio.