S. Ronchey, Bisanzio veramente ‘volle cadere’? Realismo politico e avventura storica da Alessio I Comneno al Mediterraneo di Braudel, “Quaderni di Storia” 52 (luglio/dicembre 2000), pp. 137-158.
Traendo spunto da un dibattito tra Fernand Braudel e Hélène Ahrweiler circa l’irriconciliabilità tra Occidente e Bisanzio, il contributo evidenzia l’inefficacia della lunga e altrove fruttuosa tradizione “realpolitica” bizantina, quando applicata allo scacchiere occidentale. E conferma che, se si guarda all’onda lunga della storia di Bisanzio, i latini e non i pur bellicosi “barbari” orientali furono i veri nemici dell’impero e la causa della sua caduta. La concessione dei privilegi commerciali a Venezia nel celebre crisobollo di Alessio I Comneno portò Bisanzio, da sempre e per così dire connaturatamente estranea al baudelairiano “infame spirito del commercio”, a subire la brutalità del protocapitalismo: dopo l’occupazione latina nel 1204, fu irreparabilmente indebolita dalla guerra mercantile tra Genova e Venezia, che si svolse lungo le sue coste e nei suoi territori. Il topos storiografico occidentale di una Bisanzio in perenne decadenza e vinta dai turchi “per stanchezza” viene demistificato non solo, in generale, dalla constatatazione dell’estrema vitalità culturale e ideologica dell’ultima rinascenza paleologa — e della radice direttamente bizantina del pensiero anche politico del Rinascimento europeo, influenzato anzitutto dal revival platonico della scuola di Giorgio Gemisto Pletone —, ma anche, in particolare, dall’analisi del processo di passaggio del suo allievo Bessarione all’ala unionista durante il concilio di Firenze. La cosiddetta Kehre di Bessarione fu la scelta di un Realpolitiker. L’alleanza con la curia romana, funzionale al finanziamento e all’organizzazione di una crociata antiturca in difesa di Costantinopoli, non poteva essere ottenuta se non a prezzo di una nominale resa dogmatica al papato romano. Ma la “malafede teologica” di Bessarione, già in quanto allievo di Pletone naturaliter palamista, appare evidente dal testo, dai contenuti e dalla struttura stessa del suo cosiddetto Discorso d’Unione: la Oratio dogmatica sive de unione si rivela ricalcata sulle Epigraphai di Giovanni Bekkos, opuscolo risalente al Concilio di Lione e già ampiamente screditato oltreché confutato per iscritto dallo stesso Palamas. Il “plagio” bessarioneo dei Titoli di Bekkos, tanto smaccato da apparire quasi un messaggio in codice lanciato al clero costantinopolitano, sancì la virtuale ed effimera Unione di Firenze e consentì l’ultima crociata antiturca, che, partita dall’Ungheria, vide tuttavia il suo tragico epilogo a Varna nel 1444, compromessa dagli implacabili interessi della guerra commerciale tra Genova e Venezia: gli stessi che consegneranno definitivamente Costantinopoli ai turchi nel 1453. A quel punto, un ultimo esempio di Realpolitik bizantina può in effetti ravvisarsi nell’attitudine turcofila degli ultimi burocrati costantinopolitani: prova non già del fatto che Bisanzio “si diede” o “volle cadere”, ma atto di vendetta verso gli occidentali. Fu anche grazie alla spregiudicatezza “realpolitica” di parte almeno dell’ultima élite di Bisanzio che gli ottomani poterono almeno in parte assumerne l’eredità, assorbendo alcune delle strutture, anzitutto amministrative, del millenario impero cui subentrarono.
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