L'ultimo Bizantino nella Flagellazione Di Piero
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Quando nel 1054 venne sancita con reciproche scomuniche la frattura tra chiesa d'occidente e chiesa d'oriente, gli eventi contingenti non fecero altro che suggellare un progressivo estraniamento nel quale si erano affievoliti fino a scomparire non solo i tratti comuni che avevano caratterizzato il mondo cristiano del primo millennio, ma lo stesso linguaggio che li esprimeva. La deriva reciproca cui erano andate incontro la cultura, le modalità di espressione della fede, l'arte, il governo della societas aveva trasformato due universi "fraterni" in soggetti estranei se non ostili.
Non sorprende che, quattrocento anni dopo, l'evento sconvolgente e drammatico della caduta di Costantinopoli in mano ai turchi sia stato vissuto a oriente come un tracollo epocale, mentre l'occidente non solo assisteva impassibile ma vi contribuiva in maniera non marginale. Eppure proprio quell'immane tragedia ripropose all'insieme della cristianità il dramma della divisione delle chiese, che il concilio di Ferrara-Firenze di pochi anni prima era riuscito ad affrontare solo sulla carta. E, come avveniva abitualmente in quell'epoca di cristianità, nuovi disegni di geo-politica e strategie ecclesiali si intersecavano, fecondandosi od ostacolandosi a vicenda.
Quanto siamo oggi lontani da quella particolare capacità di lettura degli eventi della storia, e quanto possa essere prezioso riacquisire almeno in parte quel respiro a due polmoni che caratterizzava ancora la società europea e mediterranea al dischiudersi dell'era moderna, ce lo rivela uno stupendo libro di Silvia Ronchey, acuta bizantinologa dell'Università di Siena. Con rara maestria e abilità narrativa, la Ronchey dà voce a un'insolita eppur attendibilissima interpretazione del dipinto di Piero della Francesca raffigurante la Flagellazione: in realtà in esso si cela il disegno dell' "ultimo bizantino" - Bessarione, legato di Costantinopoli al concilio, fautore dell'unione tra oriente e occidente cristiano e poi cardinale - di liberare la capitale dell'impero cristiano d'oriente dalla dominazione turca attraverso una nuova "crociata" che, nonostante il suo prodigarsi, resterà però "fantasma".
Così, muovendoci tra i personaggi del quadro e le realtà che essi simboleggiano, saltando attraverso agilissimi capitoli di poche pagine dal Monferrato a Costantinopoli, da Roma a Ferrara, da Rimini a Basilea, veniamo a conoscere personaggi storici di fascino tale da non aver bisogno di alcuna finzione letteraria.
L'audace rilettura della Ronchey è documentata con grande serietà: nel volume troviamo un Regesto minore di oltre sessanta pagine, che rimanda alla versione completa disponibile su Internet, un imponente apparato bibliografico, quasi duecento illustrazioni a colori assieme a numerosi alberi genealogici. Eppure la narrazione scorre con scioltezza tra intrighi di corte e citazioni contemporanee, studi prospettici e congetture storiche, ritratti di personaggi e ricerche archivistiche.
Un libro che è un atto di amore per il mondo bizantino, ma che nel contempo ci fornisce un quadro del nostro mondo così variegato nel suo declinarsi a oriente e a occidente, ci offre una scrittura capace di dipingere una sensibilità da noi ormai smarrita ma iscritta nel nostro codice culturale, ci propone lo svelamento di un quadro ma in realtà ci mostra quello che la nostra civiltà era cinquecento anni fa e i tesori di cui potremmo nuovamente godere se solo accettassimo di guardare il mondo anche con gli occhi degli altri, se rinunciassimo a fermarci alle apparenze, se lasciammo spazio alla concretezza che ogni sogno, come quello di Bessarione, porta con sé.