La Stamberga dei Lettori
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"C'era una donna quindici secoli fa ad Alessandria d'Egitto il cui nome era Ipazia." Fu matematica e astronoma, sapiente filosofa, influente politica, sfrontata e carismatica maestra di pensiero e di comportamento." Fu bellissima e amata dai suoi discepoli, pur respingendoli sempre. Fu fonte di scandalo e oracolo di moderazione. La sua femminile eminenza accese l'invidia del vescovo Cirillo, che ne provocò la morte, e la fantasia di poeti e scrittori di tutti i tempi, che la fecero rivivere. Fu celebrata e idealizzata, ma anche mistificata e fraintesa. Della sua vita si è detto di tutto, ma ancora di più della sua morte. Fu aggredita, denudata, dilaniata. Il suo corpo fu smembrato e bruciato sul rogo. A farlo furono fanatici esponenti di quella che da poco era diventata la religione di stato nell'impero romano bizantino: il cristianesimo. Perché? Con rigore filologico e storiografico e grande abilità narrativa, Silvia Ronchey ricostruisce in tutti i suoi aspetti l'avventura esistenziale e intellettuale di Ipazia, inserendola nella realtà culturale e sociale del mondo tardoantico, sullo sfondo del tumultuoso passaggio di consegne tra il paganesimo e il cristianesimo. Partendo dalle testimonianze antiche, l'autrice ci restituisce la vera immagine di questa donna che mai dall'antichità ha smesso di far parlare di sé e di proiettare la luce del suo martirio sulle battaglie ideologiche, religiose e letterarie di ogni tempo e orientamento.
La Recensione
Su Ipazia sono fiorite molte leggende, e si sono sbizzarriti anche i poeti. È giusto che una bizantinista, che sa lavorare sui documenti, ci racconti la vera storia — che non è meno affascinante delle leggende. Umberto Eco Ipazia è un nome che contiene il suo destino già nell'etimologia: significa infatti 'altissima, sublime' e tale è stata, nel bene e nel male, la storia della sua vita, come anche la leggenda che dalla sua morte orrenda ha avuto origine. Il suo martirio - viene letteralmente fatta a pezzi con dei cocci di ceramica - a opera di fanatici cristiani delle milizie del metropolita Cirillo, i parabalani, ricorda da vicino la barbara ignominia della lapidazione praticata ancora oggi in molti paesi con la legittimazione della sharia; la sua santificazione e la trasformazione in mito progressista-femminista nei secoli a seguire assomiglia in qualche modo a un ulteriore stupro della sua identità, attraverso l'uso strumentale della sua figura di intellettuale e filosofa. Sembra dunque che costituisca una sorta di risarcimento del destino, il fatto che a fare giustizia della morte indegna e dello scippo della sua memoria, operato dal travisamento, più o meno voluto e consapevole, dei posteri di varie epoche, sia una figura femminile, che unisce alla dote dell'acribia tecnica e filologica la troppo rara capacità di divulgare senza perdere in profondità, guidando il lettore tra le pieghe intricate dei primi secoli dell'era cristiana e dell'eterodossia delle Chiese orientali, fino alle più recenti evoluzioni storiografiche della vicenda di Ipazia. Con grande onestà e senza strizzare l'occhio a certe visioni romanzate contemporanee - mi riferisco al film Agora di Alejandro Amenabar, che, anche comprensibilmente, adatta la vicenda storica della filosofa di Alessandria alle esigenze del grande schermo - Silvia Ronchey procede a ricostruire la fisionomia storica di Ipazia per sottrazione, eliminando, come da una statua ripescata dagli abissi mare, tutte le incrostazioni e le scorie che il tempo ha depositato su una superficie in origine geometricamente e rigorosamente pura. La paziente, certosina, opera di diminuzione e decostruzione del mito illuminista di Ipazia agisce quasi come una sorta di teologia in negativo - quella che secondo pseudo Dionigi Areopagita cerca di indagare la natura divina per quello che non è, più che per quello che è - e restituisce al lettore l'immagine di una donna, forse meno patinata ma più vera, come avverte il titolo del saggio: sicuramente la dotta alessandrina è stata una filosofa e matematica ben introdotta tra gli intellettuali del suo periodo, maestra di Sinesio di Cirene, che la ricorda sempre con affettuosa nostalgia; probabilmente faceva parte dei livelli più alti tra gli accoliti delle confratenite platonizzanti di Alessandria, la metropoli del tardo antico paragonabile per storia e cultura alla moderna Londra; quasi certamente subì un martirio, a opera di talebani ante litteram, che fu l'effetto collaterale dello scontro tra il prefetto augustale Oreste e un vescovo demagogo con ambizioni politiche, Cirillo, discusso santo di Romana Chiesa, la cui invidia veniva aizzata dalla stima e dal credito che la donna riscuoteva presso il governatore civile. Se anche il tema ostico e il presupposto di conoscenze indispensabili per seguire il filo di questo saggio narrativo non sono affatto scontate, Silvia Ronchey crea una ricostruzione drammatica della vicenda, attraverso un uso disinvolto e affatto pedante delle varie fonti, che vengono introdotte come dei discorsi diretti riportati, e uno stile sobrio, filologicamente corretto e soprattutto onesto da un punto di vista intellettuale. Molto utile anche la scelta di raggruppare tutti i riferimenti in un'ampia ed esaustiva rassegna bibliografica finale, per chi volesse approfondire i temi, evitando di appesantire il racconto con le note a pie' di pagina.