Con Goodwin l'epopea ottomana si fa romanzo
"I signori degli orizzonti" di James Goodwin
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“Un libro dev’essere un buon articolo di trecento pagine", diceva Julien Benda già negli anni 30. E un buon articolo, si sa, deve unire la narrazione all’informazione. Sarà stato l’esempio della letteratura giornalistica, che nell’ultimo secolo ha mutato le leggi della scrittura, ma non è un caso se fin dalla metà del Novecento i veri bestseller, ossia i buoni libri amati sia dagli addetti ai lavori sia dal grande pubblico, si stanno progressivamente avvicinando a una formula mista, in cui l’abilità letteraria non è fine a se stessa ma porta con sé informazioni che una volta si sarebbero dette saggistiche. Dalle Memorie di Adriano della Yourcenar al Nome della rosa di Eco, arrivando a fenomeni più popolari ma non meno significativi come il Codice da Vinci di Dan Brown, la narrativa e la saggistica vanno convergendo sempre più in un unico e nuovo genere. Se la letteratura, assediata dai media, può salvarsi, la via è questa.
Jason Goodwin è l’esempio vivente del fenomeno in atto. Nei bestseller in cui narra le indagini del detective eunuco Yashim — dall’Albero dei giannizzeri alla Carta dei Bellini, tra poco in uscita da Einaudi — questo bizantinista di Cambridge dissimula con noncuranza la sua erudizione di storico, senza far pesare ai lettori la complessità e il rigore dello studio della Costantinopoli ottocentesca in cui ambienta i suoi gialli. Apparentemente leggeri, ma dove nessun dettaglio è arbitrario e soprattutto emerge una riflessione, implicita ma propriamente storica, sul passato e sul presente della nostra civiltà.
La controprova di quest’ottima qualità di studioso è ora offerta ai lettori italiani dalla sua storia dell’impero ottomano, appena tradotta da Einaudi: I signori degli orizzonti (355 pp., 32 euro). Un libro di grande spessore saggistico, ma già appassionante come un romanzo, in cui il viaggio nel tempo, dal XIV al XIX secolo, non solo non affatica il lettore ma ne approfondisce lo sguardo, accendendo di maggiore vita storie, descrizioni, aneddoti. Dalle origini turcomanne nella grande steppa eurasiatica, passando per Bisanzio e la sua conquista, fino all’incontro-scontro con la Mitteleuropa asburgica, la Persia e la Russia, arrivando allo scacco geopolitico e alla bancarotta dell’impero sotto l’ultimo sultano Mahmud II, il viaggio di Goodwin negli orizzonti ottomani brulica di paesaggi e architetture, luci, colori, musiche, sapori, odori, costumi e infiniti nomi e innumerevoli caratteri umani, descritti in una sferzante, autoironica prosa e a volte disegnati in piccole illustrazioni.
Insomma, in Goodwin l’avvicinarsi dei due generi fin quasi a sovrapporsi è verificabile su entrambi i versanti. E il suo atteggiamento verso il lettore è antitetico a quello di tanti intellettuali di retroguardia, che celano dietro la cortina fumogena di un linguaggio artificiosamente specialistico la mancanza di vere cose da dire, e poi deplorano l’indifferenza del pubblico.