L'enigma dell'imperatore
Gialli storici. Di chi è il volto misterioso che ritorna nelle miniature di Apollonio di Giovanni, nella Flagellazione di Piero della Francesca e nel Corteo dei Magi di Gozzoli? Secondo studi recenti l’ultimo erede al trono bizantino
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La caduta di Costantinopoli, quella specie di 11 settembre che ha impresso alla nascente età moderna il sigillo di ciò che oggi chiamiamo “scontro di civiltà”, con l’ingresso dell’islam nella storia politica dell’Europa, non ha lasciato solo una scia di testimonianze letterarie, dirette o indirette, del trauma che l’evento era stato per i suoi contemporanei. Ha lasciato soprattutto una lunga traccia visiva, una sorta di cometa iconografica che fino a poco tempo fa era rimasta tuttavia offuscata, dopo l’eclissi, con la definitiva caduta dell’impero di Bisanzio e il fallimento del progetto di un suo salvataggio occidentale da parte dei papi umanisti, della “metà bizantina del cielo”: la rimozione della memoria stessa non solo di ciò che Bisanzio era stata per undici secoli, lungo quello che l’occidente chiama medioevo, ma anche di ciò che i suoi intellettuali e i suoi politici avevano portato materialmente e fisicamente, nei loro viaggi, al nostro umanesimo, ossia alla cultura moderna tout court.
Questa rimozione collettiva dalle molte cause ha reso indecifrabile la quasi totalità dei capolavori artistici che rispecchiavano quel fatale frangente politico riproducendo anche visivamente tratti, costumi, memorie del mondo perduto. Coi secoli, quei messaggi visivi, che dovevano essere ben chiari ai loro contemporanei, sono diventati altrettanti enigmi.
Uno dei maggiori e più clamorosi, un mistero che da sempre tormentava i paleografi e gli storici della miniatura, è il cosiddetto Virgilio Riccardiano. Si tratta di un manoscritto miniato di straordinaria qualità e bellezza, contenente, a fianco del testo virgiliano, quasi cento miniature in cui è stata riconosciuta la mano di un grande maestro, Apollonio di Giovanni, ma di cui finora non si decrittava a fondo il significato. La storia di Enea e della sua fuga da Troia, che le miniature illustravano, era stranamente raffigurata. Non solo per l’enfatizzazione, rispetto all’Eneide, delle scene di atrocità bellica, ma soprattutto per l’intrusione, nel racconto classico, di costumi, fogge, armamenti, oltre che oggetti e architetture, a prima vista del tutto incongruenti.
Troia conquistata dai greci è popolata di principesse dai costumi rutilanti ma anche da monache nerovelate. Gli achei brandiscono scimitarre ricurve e praticano sgozzamenti. Anziché gli elmi e gli scudi dell’iconografia classica, compaiono alti copricapi a tronco di cono, tabarri stretti in vita e sottili babbucce. Ovunque, lunghe barbe. Soprattutto, nella città martire, il palazzo di Priamo ostenta un’insegna bizzarra: un’aquila nera su fondo giallo, identica a quella raffigurata da Piero della Francesca nel ciclo di Arezzo, sulle bandiere della battaglia di Costantino contro Massenzio. Non solo. Da dietro le mura di Troia, insidiate dal grande cavallo di legno, si intravede un edificio non certo classico, con una grande cupola centrale e delle cupole laterali più piccole; e si distinguono perfino le rovine di un ippodromo.
Ci sono poi altri misteri a circondare il codice, di cui non si riusciva fino ad ora a stabilire né la destinazione né la committenza. Il fatto, ad esempio, che fosse rimasto incompiuto. O che sul suo primo foglio campeggiasse un giovane biondo, dai lunghi riccioli, affiancato da un levriero bianco, con sgargianti calze di porpora calate sotto le delicate ginocchia ma per il resto quasi del tutto spogliato, in contrasto con l’evidente aristocraticità dei lineamenti e della postura, decisamente spaesato nel paesaggio bucolico sul cui sfondo s’intravedono però un porto con una nave a vela greca e un impiccato. La collocazione al centro della prima carta, secondo le regole, dovrebbe indicarlo come il destinatario del manoscritto. Ma che razza di destinatario poteva mai essere un ragazzo bellissimo e seminudo, nella seconda metà del Quattrocento? Perché è alla fine degli anni 50 del XV secolo, poco dopo cioè la caduta di Costantinopoli, che la stesura dell’opera sembra collocarsi, in contemporanea con la costruzione del Palazzo Mediceo, oggi Medici-Riccardi, nella cui biblioteca è appunto conservata, e soprattutto con l’affrescatura, da parte di Benozzo Gozzoli, della sua meravigliosa cappella con il Corteo dei Magi.
L’enigma è stato ora sciolto da Giovanna Lazzi, direttrice della Biblioteca Riccardiana, proprio confrontando il misterioso giovane aristicratico dalle calze purpuree con quello raffigurato da Benozzo nel suo Corteo e identificato, secondo una recente proposta, con Tommaso Paleologo: l’ultimo erede al trono bizantino, designato, nei progetti di papa Pio II Piccolomini, ad essere futuro sovrano della “Nuova Bisanzio” riconquistata dalla crociata che veniva programmata al concilio di Mantova nel 1459. Proprio lo stesso anno in cui venivano ultimati gli affreschi di Benozzo a Palazzo Medici-Riccardi.
E’ stato così che Giovanna Lazzi, da sempre attenta studiosa del codice, ha riconosciuto, sotto il travestimento virgiliano, i protagonisti della vicenda politica dell’epoca: i bizantini, appunto, sconfitti dai turchi come i troiani dagli achei, costretti a fuggire da Costantinopoli verso l’Italia proprio come Enea. Che infatti è rappresentato con lo stesso copricapo imperiale bizantino dalla visiera appuntita, lo skiadon, con il quale Pisanello, e dopo di lui Piero della Francesca e molti altri, raffigurarono il basileus di Bisanzio riparato in occidente. Nelle scene di guerra e sangue delle miniature scorre come in un film, per riprendere l’espressione di Giovanna Lazzi, una storia parallela a quella dell’Eneide, ma in realtà diversa, come ogni storia contemporanea è dai precedenti antichi scelti per esserne allegoria.
E’ così che ogni dettaglio “enigmatico” dell’opera d’arte trova non solo una spiegazione, ma un puntuale riscontro nelle testimonianze epistolari della caduta di Costantinopoli. Una città denominata Troia nelle scritte illustrative delle miniature, ma dove l’affiorare della cupola di Santa Sofia, delle rovine dell’antico ippodromo, della bandiera di Bisanzio, a celebrare nell’ultimo erede Paleologo un secondo Enea: il rifondatore di una nuova Seconda Roma destinata a riunirsi alla prima, dopo la separazione, voluta da Costantino e durata undici secoli, tra il titolo di cesare e il soglio di Pietro.
Una scoperta che apre grandi e suggestivi scenari. il salone di Luca Giordano del Palazzo Medici Riccardi era gremito non solo dagli intellettuali intervenuti - da Franco Cardini a Gerhard Wolf, da Anna Padoa Rizzo e Concetta Bianca a Peter Bell - ma da un pubblico vario per età, nazionalità, interessi, quando Giovanna Lazzi l’ha annunciata, giovedì scorso, nella giornata di studi organizzata nell’ambito delle manifestazioni del “Genio Fiorentino”, in collaborazione con il Kunsthistorisches Institut in Florenz e con l’Università degli Studi di Firenze, con il titolo “La stella e la porpora. Il corteo di Benozzo e l’enigma del Virgilio Riccardiano”.