Giustiniano unisce Occidente e Oriente
Il nostro mondo nasce e può sopravvivere intorno al logos, unendo pensiero greco e tradizione biblica
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Lo ha detto anche il papa a Ratisbona: il nostro mondo nasce e può sopravvivere solo nel logos, mescolando pensiero greco antico e tradizione biblica. Per sopravvivere culturalmente al cosiddetto scontro di civiltà, per capire la nostra ma anche quell’altra, con cui nel passato la mediazione e la convivenza sono stati possibili e proficui, bastano alcuni libri. Che ci mostrano come non sempre il mondo islamico e quello cristiano si siano irriducibilmente opposti e come anzi, nella storia passata, si trovino innumerevoli esempi di ibridazione e contaminazione.
Questi esempi passano sempre per quella parte del globo in cui la formidabile alleanza tra pensiero filosofico greco e tradizione politico-amministrativa romana si protrasse ben oltre la caduta dell’impero romano d’occidente, e per undici secoli garantì un’interfaccia di dialogo con l’oriente: Bisanzio. A rifondare l’impero romano sul Corno d’Oro, nell’istmo tra oriente e occidente, fu Costantino. Ma a costruire Santa Sofia e a rendere quell’impero il simbolo stesso della civiltà nei secoli bui dell’Europa medioevale fu Giustiniano. La sua moneta, il solido aureo, è chiamata dagli storici “il dollaro del medioevo”, e in effetti l’Europa guardava a Costantinopoli come noi oggi all’America, nell’epoca che ci racconta il più aggiornato e appassionante libro sull’imperatore bizantino che fondò le basi del diritto moderno: Giustiniano. Il tentativo di rifondazione dell’impero di Georges Tate, appena tradotto in Italia da Salerno (1022 pp., 78 euro).
Certo, dopo il tentativo di riconquista globale del Mediterraneo compiuto da Giustiniano, arrivarono gli arabi. Che l’Islam si sia affermato nella violenza e nel sangue è uno dei tanti pregiudizi che un’ideologia desueta, già romantica e prima ancora medievale, sembra trasmettere oggi ai nuovi crociati Teocon. In realtà nessuno storico si sognerebbe di affermarlo, neppure da parte ecclesiastica. Più tardi, si dice, con la conquista selgiuchide, l’Islam cambiò e si incrudelì: un po’, in parte. Se vogliamo decidere come e quanto non con gli occhi della propaganda storiografica ma con quelli di una fonte coeva, dobbiamo leggere lo straordinario diario di viaggio di un giovane islamico dallo sguardo penetrante e imparziale: Ibn Battuta, che percorse l’intero mondo di allora con tutti i mezzi di trasporto, dal cavallo al dromedario, dal carro alla nave, per guardare e descrivere il mosaico di civiltà del 1300, dal Medio Oriente alla Cina passando per Costantinopoli. Centoventimila chilometri raccontati in 888 pagine che per la prima volta sono consultabili in italiano, in un’edizione pregevolmente critica curata per Einaudi da Claudia M. Tresso (85 euro).
La convivenza tra Islam e Cristianesimo fu culturalmente feconda, fino al sultanato di Iconio e allo straordinario sincretismo che vide sbocciare, in quella corte, i fiori di tre mistiche: cristiana, islamica e giudaica. Fu lì che nacque la straordinaria avventura dell’occidente, l’esicasmo bizantino, poi russo. In realtà la pratica della preghiera del cuore e il controllo della respirazione attraverso il diaframma come fonti di esychìa, ossia di quiete interiore se non di estasi quotidiana, probabilmente erano già arrivate dall’induismo all’oriente ellenistico. Ma furono reimportate proprio dai turchi, attraverso le steppe dell’Asia Centrale. All’importanza del sincretismo orientale-occidentale nella storia del misticismo è dedicato Il Dio dei mistici, un’introduzione preziosa in cui grandi esperti, da Enzo Bianchi e Pietro Citati, spaziano da Rumi a Angelus Silesius, dalla gnosi greca a Ildegarda di Bingen (Medusa, 173 pp., 29 euro).
C’è anche chi esagera, nel sopravvalutare l’influsso culturale dell’islam sul pensiero filosofico cristiano. L’iconoclasmo, la contesa sulle immagini, la teologia dell’icona, uno dei dibattiti peraltro più fertili e affascinanti della tradizione di cui ci stiamo occupando, hanno meno a che fare con l’aniconismo islamico, peraltro già giudaico, che con Platone. Lo dimostrano due saggi essenziali, Immagine, icona, economia. Le origini bizantine dell’immaginario contemporaneo di Marie-José Mondzain, appena uscito da Jaca Book (301 pp., 24 euro) e L’icona, l’idolo e la guerra delle immagini di Graziano Lingua (Medusa, 245 pp., 25 euro).
L’idea che la religione sia una, e sempre monoteista anche quando la chiamiamo pagana, la argomentava già Nicola Cusano e la metteva in pratica, nella sua azione culturale e politica, uno dei grandi della chiesa cristiana, Enea Silvio Piccolomini, che non a caso arrivò a scrivere, a questo proposito, una quanto mai attuale lettera al sultano turco. Su questo grande personaggio, avventuriero, poeta, prima consigliere dell’imperatore tedesco Federico III e poi, in rapida successione, cardinale e papa col nome di Pio II, è uscito ora un volume monumentale e indispensabile, Enea Silvio Piccolomini. Arte, storia e cultura nell’Europa di Pio II (Shakespeare and Company – Libreria Editrice Vaticana, 518 pp., 84 euro), dal quale emergono affinità sorprendenti tra la nostra contingenza odierna e quella della metà del Quattrocento, quando, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, si profilò la minaccia di un’islamizzazione del Mediterraneo.
In quegli anni cruciali, all’alba dell’età moderna, il filosofo-guida degli umanisti, il bizantino Giorgio Gemisto, seguace di Platone al punto da ribattezzarsi Pletone, sosteneva che tutto il mondo entro pochi anni avrebbe accolto “una sola religione con un solo animo, una sola mente e una sola predicazione”. “Cristiana o maomettana?” gli avevano domandato. “Nessuna delle due”, aveva risposto, “ma non diversa da quella dei pagani”, degli antichi greci, dei platonici. Se è vero che il primo monoteismo fu quello platonico, se è vero che del platonismo, prima che di ogni altra fede o dottrina, furono seguaci Pio II e i suoi cardinali così come gli artisti e gli intellettuali che li circondavano, la lettura migliore, a sigillare il nostro percorso, sarà quella di un piccolo, singolare libro curato da Silvio Raffo negli Oscar Mondadori: Platone, L’anima (81 pp., 7 euro). Perché “l’anima non sarà mai morta, come non sarà mai pari il tre, né sarà mai gelido il fuoco”. Quale miglior pensiero natalizio?