Silvia Ronchey

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Recensioni

Il ritorno del sacro

01/11/2017, Corrado Augias
La Repubblica

Titolo impegnativo: "La cattedrale som­mersa"; richiama i sordi accordi disso­nanti con i quali Claude Debussy apre il suo preludio evocando profondità» sottomarine. Qui invece la metafora rimanda all'immensa civiltà bizantina che l'Occi­dente, Italia in prima fila, ha inabissato racchiu­dendo l'aggettivo "bizantino" nel connotato quasi caricaturale di una burocrazia puntigliosa e ineffi­ciente. Con questa raccolta di saggi Silvia Ronchey vuole porre riparo all'ingiustizia, e alla lacuna, recuperando, come scrive con garbata modestia, «qualche frammento di fregio di archivolto, di colonna». In realtà va molto più lontano come del re­sto rivendica il sottotitolo del vo­lume "Alla ricerca del sacro Per­duto". Come mai la civiltà bizanti­na è in pratica scomparsa dall'o­rizzonte delle nostre abituali co­noscenze? Vi ha contribuito una sorta di censura collettiva della chiesa cattolica e della storiogra­fia confessionale ma anche, dopo l'Unità italiana, la storiografia uf­ficiale poiché l'influenza di Bisan­zio rendeva evidenti le differen­ze di tradizione politico-ammini­strativa in un'Italia che ambiva invece a mostrare un'identità unitaria.
Ciò che si trova, dissotterran­do quelle radici, sono in primo luogo i continui scambi, le reci­proche ibridazioni che hanno ca­ratterizzato la vita delle religio­ni, non solo dei tre monoteismi, tutte sgorgate dal grembo fecon­do dell'Oriente, vicino o estremo che sia. Come afferma Denis de Rougemont (qui citato) proprio questo continuo intreccio e scam­bio di mitologie conferma; «una confusione insensata di religioni mai del tutto morte e raramente del tutto comprese e praticate».
Impressiona per esempio sa­pere dell'iniziale confusione, in alcune regioni dell'oriente, tra le due figure del Buddha e del Cri­sto. Nel Kashmir si trova anche la tomba del Gesù indiano e islami­co. Oppure la diffusione di un sim­bolo quale l'esile falce di luna cre­scente che si ripete sulla bandie­ra turca e sulla cima dei minareti ma anche come emblema di Diana Artemide e, nel cristianesimo bizantino, tra gli attributi della Madonna dalla veste azzurra e dalla corona di stelle d'argento, raffigurata con una falce di luna sotto i calzari. Si tramanda, scri­ve Ronchey, che sia stato l'impe­ratore Costantino dedicando la nuova città da lui fondata sulle ri­ve del Bosforo alla Vergine Ma­dre di Dio ad aggiungere alla mezzaluna di Diana la stella, così fondendo paganesimo e cristia­nesimo.
Esempio ancora più impressio­nante è lo straordinario percorso della croce uncinata, o svastica, ideogramma dell'Eterno Ritor­no, collegata al moto perpetuo nella Grecia pre-ellenica, simbo­lo sciamanico dei nativi america­ni, in altre parole un segno vera­mente universale fino a quando nel 1895 un monaco cistercense austriaco, Adolf Lanz, appassio­nato di occultismo non lo trasfor­ma nell'emblema della sua setta dove si praticava l'esaltazione della razza ariana iperborea e del suo ruolo di purificatrice dell'u­manità contro la degenerazione ebraica. Da quel bric-à-brac esote­rico la trae Hitler, che dall'occulti­smo era affascinato, inserendo nel 1920 la svastica nella bandie­ra del partito nazista.
Un caso forse esemplare, affa­scinante ed enigmatico, è la mi­steriosa composizione inserita nella Bibbia che si chiama Canti­co dei Cantici. Come leggere ver­si di un'audacia erotica che sfiora la pornografia? «Dilectus meus misit manum suam per foramen/ et venter meus intremuit ad tactum eius» è la traduzione latina di Girolamo che così possia­mo riportare in italiano: «Il mio amato infila la mano nel mio grembo, le mie viscere fremono alle sue carezze». Spasimi della passione carnale? Nell'interpre­tazione analogica midrashica quei versi diventano la celebra­zione delle nozze tra Jahvè e Israele, sulla medesima falsariga il cristianesimo li trasforma nell'amore del Cristo per la Chie­sa. Il Talmud però ammonisce che non si deve mai sottovaluta­re la lettera di un testo biblico. Dunque quei versi continuano a galleggiare irrisolti nel vuoto di numerose interpretazioni possi­bili. Il fascino, e la successiva scom­parsa, del dio Mithra è un altro ca­so di commistione; la divinità ha origine dell'India vedica, passa alla profonda Persia mazdea, ar­riva a Roma importata dai legio­nari che rientravano dalle cam­pagne militari. Innumerevoli le coincidenze con Gesù. Il dies na- talis di Mithra si celebrava il 25 dicembre (solstizio d'inverno); lo si diceva nato in una grotta adorato dai pastori, ai suoi fedeli promette la sopravvivenza dell'a­nima e la finale resurrezione del­la carne. Come ha scritto Ernest Renan (qui citato): «Se il cristia­nesimo fosse stato fermato nel suo sviluppo da una qualche ma­lattia mortale, il mondo sarebbe diventato mitraico».

Inquietante la cronaca delle controversie con le quali è stata progressivamente fissata la figu­ra di Gesù qual è oggi, vale a dire "vero Dio e vero uomo". Nesto- rio, patriarca di Costantinopoli, morto in esilio nel 451, vedeva due nature, divina e umana, e due persone in Cristo, non era poi così lontano da quella che di­venterà la posizione ufficiale del­la Chiesa. Alcuni però gli attribui­rono la negazione della natura di­vina e la sua posizione venne con­dannata come eretica dal conci­lio di Efeso (431). Ugualmente condannata la posizione oppo­sta, detta dei monofisiti, secondo i quali la natura umana di Gesù era assorbita dalla sua divinità, dunque in lui rimaneva solo la na­tura divina.
Tra i più diffusi e potenti ele­menti comuni ai tre monoteismi e ad altre religioni della Terra, c'è poi il culto delle reliquie. Il Maqam Ibrahim ovvero la pietra con l'orma di Abramo chiusa in un tabernacolo alla Mecca, la co­lonna della flagellazione di Gesù che si trova invece a Roma. Ma anche, elenca Ronchey: «Il san­gue e il latte di San Panteleimone, la testa di Gregorio di Nazianzo, il piatto dell'ultima cena, il baule dei vestiti della Vergine, i vasi d'oro con i doni dei Magi, la griglia su cui fu arrostito san Lo­renzo» e via di questo passo fino alle schegge di ossa, fiale con il su­dore, resti di capelli o di unghie, il prepuzio di Gesù, ovvero l'infi­nitesimo lembo di pelle che il rab­bino ha escisso dal pene di un bambino di otto giorni, per passa­re, estremo opposto, ai corpi im­balsamati e plastificati di uomini e donne considerati santi.
Le reliquie soddisfano il biso­gno di avvicinarsi, toccare con mano la materia sacrale con riti che accomunano, come ha soste­nuto l'antropologo Ugo Fabietti (qui citato): «I feticci africani, i misteri greco-romani, i culti pre­colombiani andini, il vodu». D'al­tronde anche le religiosità laiche conoscono questo tipo di venera­zione, dai residui corporei di Gari­baldi alla salma imbalsamata di Lenin. Annota Ronchey: «Anche nell'Islam come nel paganesimo greco-romano o nel buddismo, le reliquie si usavano nella fonda­zione di edifici sacri e pubblici, si trasmettevano, si diffondevano con l'avanzata storica e geografi­ca di quella civiltà».
Ho riportato solo qualche esempio nella ricchissima casisti­ca contenuta nel saggio che illu­stra con quali diversi strumenti le varie fedi, cristianesimo com­preso, siano state lentamente co­struite. Quali reazioni potrà susci­tare la constatazione di quanto le religioni debbano l'una all'altra, quanto numerosi siano stati i pre­stiti, le ibridazioni, le imitazioni, quanto affanno e ingegno, quali contrasti, le dottrine, le liturgie, i miti di fondazione hanno richie­sto per essere organizzati, resi più o meno coerenti.
In alcuni forse delusione e di­sincanto, la dimostrazione che non dal cielo sono discese quelle formule di salvazione perché vi si sono applicati uomini mescolan­do alla loro immensa fede errori, lacune, contraddizioni. Per altri invece sarà la conferma che la se­colare dedizione posta nel co­struire intorno alla nostra effime­ra vita una sacralità risponde all'ancestrale bisogno di attenua­re il terrore della morte dando una qualche consolazione alla no­stra fragile umanità.

 


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