S. Ronchey, Volti di Bessarione, in Vie per Bisanzio. VII Congresso Nazionale dell'Associazione di Studi Bizantini, Venezia 25-28 novembre 2009, a cura di A. Rigo, A. Babuin e M. Trizio, Edizioni di Pagina, Bari 2012, pp. 539-551
Nessuno Bessarione amò, riamato, più di Venezia e dei veneziani. Eppure in nessuno degli ambienti che frequentò privilegiatamente, e in cui fu noto, venne visto, o comunque ritratto, in modo più spietato: il ritratto oggi approdato alla National Gallery di Londra, dipinto da Gentile Bellini sullo sportello dell’“albergo” del reliquiario della Vera Croce; la copia, dipinta da un suo tardo discepolo, forse Giannetto Cordegliaghi, di un altro suo ritratto, bruciato nel 1546, che lo raffigurava con in mano la stessa stauroteca; il monaco che partecipa ai Funerali di san Girolamo nel telero di Carpaccio conservato alla Scuola degli Schiavoni e identificato con Bessarione da Augusto Gentili. Nei ritratti veneziani di Bessarione sopravvissuti all’arcana maledizione che ha distrutto o disperso la loro maggior parte, è come se una maschera grottesca fosse stata sovrapposta ai bei tratti, da vero Erasmo orientale, prestati invece al suo volto e alla sua figura dai pittori che operarono, quasi contemporaneamente, per le altre corti a lui amiche: la corte pontificia, che ci restituisce il nobile quanto attendibile profilo scolpito, lui vivente, da Paolo Romano nel bassorilievo funebre di Pio II; la corte aragonese di Napoli, da cui proviene il ritratto miniato di Gioacchino de Gigantibus per il codice dell’Adversus calumniatorem Platonis; la corte urbinate, che avrebbe dovuto accoglierlo se una morte annunciata non lo avesse raggiunto sulla via del ritorno dalla missione in Francia e che ci restituisce due o forse tre immagini fondamentali di Bessarione: il ritratto certo di Pedro Berruguete, quello possibile di Giusto di Gand e quello, speculare al profilo del codice aragonese, eseguito sempre intorno al 1472 nello stendardo della Confraternita di San Giovanni Battista.
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