Il virus che risveglia il mito
L’allarme cinese tra realtà e leggenda
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Esistono momenti nella storia in cui l’intera umanità è percorsa dalla paura. Una paura così grande, così pervasiva, da catalizzare le ansie dei singoli, e anche quelle delle singole società, in un’unica psicosi di scala globale, che attraversa le nazioni e produce quella sindrome psicologica collettiva che gli storici chiamano millenarismo: l’attesa di una catastrofe che segni la fine (allo scadere di un millennio) o la radicale metamorfosi dei tempi (per un ciclo di mille anni — ma, scrive il salmista, “mille anni sono come un giorno, / come un turno di guardia di notte”). Viene annunciata dall’apparire nel mondo di un male imbattibile, che in termini religiosi può chiamarsi “anticristo” ma che molto spesso, in termini concreti, si identifica con una “peste”. Un virus, se guardiamo il passato dell’umanità con la lente dei nuovi studi di storia globale (pensiamo al Destino di Roma di Kyle Harper), dove la storia è letta alla luce dei fattori ambientali ed epidemiologici e dove le grandi battaglie che la determinano sono insieme contro i “barbari” venuti da oriente e contro virus e batteri. All’origine della grande crisi dell’età dioclezianea, che portò allo slittare del baricentro del mondo a oriente, fu la devastante epidemia di peste del III secolo, che, si calcola, ridusse la popolazione dell’impero del trenta per cento.
Il coronavirus che sta infettando la Cina e l’infosfera globale, tra notizie e contronotizie, referenze e reticenze, teorie e dietrologie, non è solo una reale e grave minaccia al corpo fisico dell’umanità, ma anche un assalto al suo corpo psichico — per citare san Paolo—, l’ultimo epigono dei suoi soprassalti apocalittici. Nell’Apocalissi di Giovanni, del resto, il quarto e ultimo cavaliere, in sella al “cavallo verdastro”, finisce di sterminare l’umanità “con la peste e con le fiere della terra”. E la provenienza dei virus dalle specie animali, il loro mutare e passare dal regno delle fiere a quello degli umani, è un altro germe di terrore, di fobia, di tabù.
Non è forse un caso che l’ipotetica trasmissione del nuovo coronavirus da un serpente sia tra le notizie, più o meno mitografiche, diffuse in questi giorni, ancorché smentite dagli scienziati. La migrazione da animale a uomo avviene più spesso tramite mammiferi: con ogni verosimiglianza anche in questo caso. Ma la figura leggendaria del serpente riconduce, oltre che all’iconografia dell’anticristo, all’immagine del dragone, simbolo non solo dell’impero cinese ma di tutti i temibili popoli dagli occhi a mandorla. All’inizio dell’età moderna, in un’altra congiuntura apocalittica, la caduta di Costantinopoli in mano ai turchi venuti dalle steppe dell’Asia, era il vessillo del drago a rappresentarne il demoniaco avvento.
La psicosi millenaristica è regolarmente generata da una congiunzione di eventi archetipici. La pressione alle frontiere — geografiche o commerciali — del proprio mondo da parte di un soggetto ostile e lontano. La percezione della decadenza del mondo occidentale, nel dissolversi del suo ordine — politico, economico, culturale — e nel suo assottigliarsi demografico. E il sopraggiungere di un flagello a minare la “salute” della società, letteralmente ma anche latamente, in senso morale. L’epidemia e paventata pandemia del coronavirus ha traumatizzato anche i giochi della politica e della finanza, a cominciare dai mercati, che notoriamente all’irrazionale reagiscono per primi. Eppure lo spettacolo che il dragone cinese dà di sé è in apparenza più che razionale. Lo spiegamento di forze, l’allestimento del cordone sanitario più colossale a memoria d’uomo, il moto perpetuo delle ruspe al lavoro per nuovi nosocomi, la disciplinata efficienza del sistema si spiegano, commentano gli occidentali, con la forza (e con la propaganda) di un regime totalitario. E’ vero, ma è altrettanto vero che l’ultimo totalitarismo del Novecento, quello sovietico, fu sconfitto proprio dalla catastrofe di Chernobyl. Sarà in grado la Cina di domare una catastrofe di cui ancora nessuno conosce l’entità? Se non lo sarà, il mondo verrà contagiato da un’ancora più grande e motivata angoscia di fine. Ma se lo sarà, se ce la farà, un’altra paura contagerà forse l’occidente: che per la prima volta — stavolta sì — nella storia il barbaro dagli occhi a mandorla affermi globalmente la sua supremazia.