Scoprire il trash di Bisanzio | I souvenirs di Gobinau | La preziosa saggezza di Eraclito
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Le Novelle bizantine del titolo di questo ammiccante volumetto curato da Fabrizio Conca sono un luminoso esempio della vena deteriore della letteratura di Bisanzio: quella di maniera. Un po' come certi stucchevoli epigrammi dell'Antologia palatina, che per troppi decenni sono passati come "la" poesia bizantina, questi racconti di origine persiana, tradotti nell'XI secolo dal siriaco e prevedibilmente rimaneggiati, provengono dal popolarissimo ciclo della storia di Sinbad e cioè da quell'immenso calderone orientale cui a volte i bizantini attingevano per gusto del gioco di società. Ma a differenza dell'altro celebre pastiche orientale bizantino, il cosiddetto "romanzo" di Barlaam e Ioasaf, remake cristiano e criptoiconoclasta della vita del Buddha, il nostro Syntipas - questo il vero titolo dell'operetta - non nasconde dietro lo stereotipo nessun pamphlet politico. Detto questo, Bisanzio è sempre Bisanzio e anche la sua letteratura più trash è meglio di tanto trash contemporaneo.
Pochi quanto questo razzista che si proclamava "il più persiano dei persiani" hanno amato l'oriente. In questi tre racconti, pubblicati dalla benemerita Medusa, il fascino di quelle terre si incarna nella bellezza irresistibile di tre donne. A Nasso la greca Akrivía strega il comandante di una corvetta militare inglese: ha "occhi brillanti come zaffiri blu, capigliatura folta, ramata, abbondante, più fine della seta". A Cefalonia c'è Sofia, "mani e piedi da fare gridare al miracolo e denti come due fili di perle". Ma la più fatale è una selvaggia danzatrice, celebre in tutto il Caucaso, ossessionata dal ricordo della sua tribù massacrata dai russi. Mai un romantico è stato più realista o un realista più romantico.
"Non è possibile entrare due volte nello stesso fiume" e "il sole è nuovo ogni giorno", perché la mente, come ogni cosa, nasce e si rinnova a ogni istante e tutto è sua rappresentazione. "Pólemos è padre e re di tutte le cose", perché il cosmo naturale e il microcosmo della psiche sono dominati dal conflitto perenne. "Per quanto lontano tu vada, non scoprirai i confini dell'anima", perché l'anima dell'uomo è parte dell'anima del mondo, del flusso infinito del cosmo. "Il tempo è un bambino che gioca, muovendo i pezzi sulla scacchiera". "Se non speri l'Insperabile non lo scoprirai". Sono molti e tutti bellissimi i frammenti famosi di Eraclito, "sferza del folgo, l'Enigmatico". La traduzione di un poeta come Angelo Tonelli dà nuova luce anche ai meno noti. Il suo commento, nel solco del suo maestro Giorgio Colli, ricostruisce un Eraclito orientale, anche troppo a volte, ma pienamente comprensibile. Unico difetto di questo libro prezioso, da leggere, come volevano gli antichi, "non in fretta", un po'di hybris: troppe espunzioni e una numerazione nuova rispetto sia a Diels-Kranz sia a Colli.