La guerra civile. Giulio Cesare come "maestro" di Bush | Le sette mogli di Barbablù. Anatole France risuscita Gilles de Rais | Questioni naturali. Il tranquillo Seneca tra fulmini e terremoti
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"E se George W. Bush si mettesse a scrivere la storia-verità della sua guerra santa contro Saddam Hussein e Bin Laden, così come Cesare, più di duemila anni prima, aveva fatto 'commentando' la guerra a Pompeo? Bush, come Cesare, dimostrerebbe che fu costretto ad armarsi per difendere le libertà repubblicane", scrive Roberto Andreotti nella brillante prefazione alla "Guerra civile" di Gaio Giulio Cesare, ora pubblicata da Einaudi nella traduzione di Antonio La Penna, con testo latino a fronte e con un'introduzione storica di Adriano Pennacini (487 pp., 13 euro). La storiografia moderna su Cesare è dominata dai "pessimisti repubblicani" razionalmente avversi al mito del primo "dittatore democratico", per usare la definizione di Luciano Canfora: gli illuministi critici, i liberali scettici, i marxisti indignati, da Ronald Syme a Bertold Brecht. Al lettore di oggi stabilire se è vero che, secondo la frase di Goethe, "siamo diventati troppo umani per non dover sentire ripugnanza ai trionfi di Cesare".
"Barbablù aveva un po' di baffi e la mosca, le guance sembravano blu ma, non ostante tutto, l'aspetto di quel buon signore non era alterato e non impauriva per questo". Ne "Le sette mogli di Barbablù", uno dei racconti ora pubblicati da Donzelli nella traduzione di Paola Verdecchia (152 pp., 18 euro), l'implacable penna di Anatole France, il più grande dei minori della letteratura francese dell'Ottocento, risuscita, per assolverlo, il protagonista di una delle fiabe più note e più nere della corte di Francia. L'ultima, beffarda ipòstasi del leggendario Gilles de Rais è un signorotto abbiente quanto sprovveduto, vittima di avventuriere coquettes quanto avide. L'ultima, infedele moglie gli sarà fatale: per impadronirsi della sua eredità, riuscirà a farlo uccidere a tradimento. Lo scettico Anatole France, in questo volterriano, irridente omaggio alla storia patria, riduce il mito gotico-romantico del sanguinario compagno d'armi di Giovanna d'Arco a prosaica, materialistica storia borghese.
Secondo Seneca la facoltà che distingue gli esseri umani dagli animali è l'ansia. Diceva Seneca: strepiti pure tutto fuori di me, purché non ci sia strepito dentro di me, purché non facciano rissa tra loro il desiderio e la paura. Ripeteva Seneca: non avrai più paura se avrai cessato di sperare. La paura e la speranza sono legate tra loro dalla stessa catena che unisce la guardia al prigioniero. L'una e l'altra ci distolgono dal presente. Nessuno è infelice solo per il presente. Nessuno meglio di Seneca, nel mondo romano, seppe trasmettere la conoscenza dell'anima dell'uomo. Nelle "Questioni naturali", opera della vecchiaia ora pubblicate nella BUR con testo latino a fronte, traduzione e introduzione di Rossana Mugellesi (592 pp., 14 euro), Seneca volle raccogliere anche quella dell'anima del mondo. Il fuoco, i temporali, la grandine, il fulmine, l'acqua, la neve, i terremoti, il vento, le comete, le nubi sono non meno di noi parti di un tutto. Occorre ringraziare la natura se ci concede di vedere questo. E occorre abbattere gli orizzonti umani, annullare i confini che l'ignoranza degli uomini innalza, tra specie e specie come tra popolo e popolo, e "che suscitano", scrive Seneca, "solo il riso".