Agostino diede del tu al Mistero e lì il suo tormento trovò pace
TTL - Cl@assici | Conobbe i rovi delle passioni, divenne un grande enigma a se stesso e prese a domandare alla sua anima perché fosse così triste, lo ossessionò l'esile discrimine fra bene e malee
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Agostino era africano. Fu un filosofo della Decadenza. Visse al tempo della caduta dell'impero antico, quando Roma fu saccheggiata dai Vandali. Ebbe un'anima turbata e una prosa incantata. Da ragazzo si imbestialì in amori diversi e tenebrosi. I rovi delle passioni crebbero oltre il suo capo. Divenne un grande enigma a se stesso e prese a domandare alla sua anima perché fosse così triste.
Capì che la tristezza si consuma perché perde ciò che desidera nel momento in cui lo possiede, che ogni sentimento di tensione verso il piacere comporta necessariamente il carattere del dispiacere. L'esilità del discrimine tra bene e male lo ossessionava. Quando nel 374 comparve nel cielo la cometa di Halley si convertì a una disciplina gnostica, il manicheismo, la principale delle correnti fra cui esitava all'epoca la parola di Cristo. Poi vide i manichei come splendidi fantasmi, la cui verità non era vera, perché erano in fuga dal loro cuore.
La casa della coscienza gli apparve piccola. Agostino scoprì nella psiche umana l'esistenza di un Mistero, di qualcosa di altro dalla coscienza, "qualcosa che è nella memoria anche quando l'animo non prova più nulla". Al Mistero Agostino diede del tu. "Ma come posso trovarTi, se di Te non ho memoria? Sorpasserò la mia memoria?". In quel Tu intuì un entità divina, fluida, dolce e onnisciente, cui porre tutte le domande che tormentavano l'Io. "O Tu misericordioso, dì a me misero se mai la mia infanzia sia succeduta a qualche altra mia età a sua volta già morta. E prima ancora, mia dolcezza, mio Dio? Sono stato da qualche parte, sono stato qualcuno?".
Quel Tu ci dà per maestro il dolore. Quel Tu ci cattura attraverso l'amore: "Di te ho fame e sete, mi toccasti e mi infiammasti della tua pace". E' "un ricordo innamorato e come il rimpianto del profumo di cibi che non siamo ancora stati in grado di mangiare". Quel Tu è il desiderio che determina tutte le azioni e aspirazioni degli uomini, è l'Eros del divino Platone: "Ma cosa amo quando ti amo? Amo una certa luce, una certa voce, un certo profumo, un certo cibo, un certo amplesso". Quel Tu ribolle al di sotto dell'Io, inaccessibile all'intelletto: "Interior intimo meo et superior summo meo". E' infinito, in sé fondato e permanente, non delimitabile nello spazio della coscienza: "Non sono certo i vasi pieni di Te a renderTi stabile, poiché se si infrangessero tu non ti verseresti".
Da bambino Agostino rubava la frutta. L'infanzia, secondo Agostino, è l'età del "diluvio dell'oblio". Secondo Agostino innocente è la debolezza delle membra del bambino, non l'animo del bambino". Secondo Agostino gli uomini esagerano le differenze tra l'età infantile e quella matura: "Sed maiorum nugae negotia vocantur, puerorum autem, talia cum sint, puniuntur a maioribus, et nemo miserat pueros".
Secondo Agostino la presenza della morte è al cuore della vita sensibile. La vita è una fossa comune nella quale i vivi sono sepolti insieme ai cadaveri. Secondo Agostino Giobbe era più grande di Catone, perché Giobbe, contrariamente a Catone, non si suicidò.
IL LIBRO
Agostino, Soliloqui, a cura di Onorato Grassi, testo latino a fronte, Bompiani, pp.156