Apuleio a giudizio: come può un filosofo essere bello e ricco?
TTL - Cl@assici | Era nato in Africa, in Grecia era stato iniziato a un gran numero di misteri. Era rinomato per i suoi miracoli, fra cui anche resurrezioni di morti. Sant' Agostino lo difese dalle accuse dei cristiani
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Nell'età argentea degli Antonini, quella in cui il genere umano fu più felice perché in terra regnavano prìncipi dal pensiero esatto e malinconico e in cielo non ancora un Padre Eterno ma una Madre Eterna, fiorì, da Lei amato e protetto, Lucio Apuleio.
Apuleio era uno dei maghi più noti dell'antichità. Insieme ad Apollonio di Tiana, fu contrapposto a Gesù Cristo quale massimo taumaturgo pagano. Era nato in Africa, in Grecia era stato iniziato a un gran numero di misteri. Era rinomato per i suoi molti miracoli, fra i quali anche resurrezioni di morti. Sant'Agostino lo amò e lo difese dalle accuse dei cristiani, negando che le sue guarigioni fossero paragonabili a quelle di Cristo ma esaltando la sua cultura, la sua scrittura, la sua filosofia.
Però, oltreché un mago e un filosofo platonico, Apuleio era bello. E perfino nell'età argentea degli Antonini era difficile farsi perdonare di essere insieme filosofo e bello. Apuleio fu chiamato in giudizio perché spiegasse come un filosofo potesse essere bello, elegante, ricco, amato dalle donne: aveva forse stipulato un patto con qualche demone? Nel 158 venne processato in una piccola località della Libia dinanzi al proconsole Claudio Massimo, in forza della lex Cornelia, rischiando la pena di morte.
Gli si contestava di lasciare cadere intenzionalmente i lunghi capelli sulla fronte; di avere composto un dentifricio di aromi arabici e versi erotici per due fanciulli; di possedere uno specchio; di avere deposto sul tavolo della biblioteca di Ponziano un misterioso involto; di avere lasciato una quantità di penne di uccelli e tracce di fumo sulle pareti di casa di Crasso; di adorare una figura di scheletro che si era procurata clandestinamente; di avere ordinato la ricerca di due frutti di mare e di un pesce velenoso per preparare una bevanda afrodisiaca.
La notte prima del processo Apuleio si svegliò per un improvviso terrore e vide la luna. Il suo disco tondo usciva proprio allora dal mare. Si scosse dal sonno, corse sulla spiaggia, immerse la testa nei flutti sette volte - Pitagora raccomandava quel numero - e col viso rigato di lacrime balbettò alla Dea onnipotente:
“Con qualunque nome, con qualunque rito, sotto qualunque aspetto sia lecito invocarti, assistimi nell'ora dell'estrema rovina”. Ed ecco, la Grande Madre emerse, nella notte, dal mezzo del mare. Una massa di capelli folti e lunghi, leggermente ondulati, si allargava sulla nuca divina e fluiva giù con molle grazia. Sulla fronte, proprio in mezzo agli occhi, un disco brillava come uno specchio.
“Lucio”, disse, “eccomi. Mi piaci e ti salverò. Ma ricorda, in cambio la tua vita sarà consacrata a me fino all'ultimo respiro”. La mattina dopo Apuleio si difese così bene, con tanta abilità e impudenza, che venne assolto. Continuò, come Iside gli aveva promesso, una vita felice e gloriosa sotto la Sua protezione. C'è chi dice che la Dea gli concesse di prolungarla al di là dei confini del fato, per avere scritto in suo onore il più bello dei romanzi; e che egli viva tuttora, ma nascosto.
IL LIBRO
Apuleio, Le Metamorfosi o l'Asino d'Oro, con testo latino a fronte, a cura di Alessandro Fo, Frassinelli, 714 pp., 15 euro