Jaufré Raudel, crociato e trovatore, solo l'amore lontano dà gioia
TTL - Cl@assici | Sapeva che solo chi non possiede si può infiammare, la sua Lei era forse la Chiesa d'Amore dell'eresia di Provenza, o il Nous dei neoplatonici, o la Sophia degli gnostici...
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Jaufré Rudel si chiamava Gaufredus Rudelius ed era il principe di Blaye. Fu un crociato e un trovatore, qualsiasi cosa ciò significhi. Nostradamus lo amò, e non solo perché discendeva dal nobile sangue di Angoulême. Jaufré Rudel usò la musica e il verso per sfidare il mistero, la vela e il remo per cercare la morte. Partì per la Terra Santa e vi morì più volte. La prima in un albergo di Tripoli, fra le braccia di una dama, la seconda, due anni più tardi, nell'assedio di Damasco, la terza tornando da pellegrino in quei domìni d'oltremare dove si veneravano Cristo, Maometto, Mani e le lettere d'Arabia fiorivano insieme a quelle di Bisanzio.
Jaufré Rudel era stato ferito da un colpo di gioia. Aveva un'amica, ma quando correva verso di lei gli sembrava di allontanarsi da lei e che lei se ne andasse fuggendo. Non sapeva chi fosse, perché, in fede sua, non l'aveva mai vista. Ma il suo cuore era capace di gioire solo dell'amore di chi non aveva mai visto e di godere solo del fatto che non lo avrebbe visto mai.
"Nessuna gioia mi piace tanto", cantava, "quanto il godere questo amore lontano". Jaufré Rudel sapeva che solo chi non possiede si può infiammare. Il suo essere si protendeva nel desiderio e il dolore lo pungeva con la sua spina e lo guariva con la sua gioia.
Jaufré Rudel aveva imparato a cantare dagli alberi e dai fiori. Come quando il getto di una fonte si fa più chiaro, come quando una rosa selvatica spunta nel bosco, così era quando il principe di Blaye tentava le corde della sua lira. Anche lui era una pianta, che non aveva né cima né radice se non quando, nel sonno, sotto le coperte, era accanto al suo amore lontano.
Ma quell'amore di terra lontana, per cui tutto il suo essere soffriva, era una creazione del suo spirito, spiegava, che con l'alba svaniva. L'amore perfetto, cantava, non ha mai tradito nessuno.
L'amore lontano di Jaufré Rudel aveva un mantello screziato, ma non c'era re o imperatore che osasse aiutarla a indossarlo. Era bella e sottile quanto mai donna cristiana, ebrea o saracena. Poteva chiamarsi Odierna di Tolosa ed essere la madre di Raymond de Saint-Gilles conte di Tripoli nel regno crociato di Gerusalemme. O poteva chiamarsi Melisenda ed essere sua sorella. Poteva essere la promessa sposa di Manuele Comneno, il basileus di Costantinopoli. Poteva essere Eleonora, duchessa d'Aquitania, contessa di Poitou, regina di Francia, che aveva accompagnato alla crociata Luigi VII.
Secondo altri, quella domna, quella domina, non era in realtà una donna, o meglio lo era nel senso che alla parola davano in segreto i càtari. Era forse la Chiesa d'Amore dell'eresia di Provenza - né cristiana, né ebrea, né saracena - e la Dama dei Pensieri che sta al fondo del Castello dell'Anima. Era forse il Nous dei neoplatonici, la Sophia degli gnostici, la Forma di Luce dei manichei, l'Idea Velata degli islamici, di al-Hallaj e Suhrawardi di Aleppo, dei lirici cufi, arabi e andalusi. Era forse il Principio Femminile dei mistici germanici. Ed era forse lo Sposo della Sulamita, era forse il Dio di Massimo. L'Amore Lontano di Jaufré Rudel era forse lo stesso che avrebbe trafitto Ildegarda, Caterina, Teresa.
IL LIBRO
Jaufre Rudel, L'amore di lontano, edizione critica con introduzione, note e glossario, a cura di Giorgio Chiarini, Carocci, 167 pp., 11,30 euro