Balzac, la commedia umana in mille caraffe piene di caffè
TTL - Cl@assici | «Ancora un'ora e mi sarò imbarcato sul vascello del lavoro. Dio voglia che mi porti là dove desidero andare. Sono emozionato come se dovessi perdermi in questa lotta...»
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Honoré de Balzac non era nobile e non si chiamava Balzac, ma voleva realizzare con la penna quello che Napoleone non era riuscito a fare con la spada. Lo aveva scritto su una striscia di carta che aveva incollato sulla spada del Bonaparte di gesso che teneva sulla scrivania. "Giorno e notte" era il motto che aveva fatto dipingere sotto lo stemma dell'abusiva casata dei Balzac d'Entragues. Honoré de Balzac lavorava di notte come di giorno per costruire il suo impero di carta e la mappa delle sue conquiste era quella, sterminata, della commedia umana.
Per la maggior parte dei contemporanei il merito più grande di Balzac era la capacità di osservazione. Baudelaire capì che il suo merito più grande era invece quello di essere un visionario. Malato, in punto di morte, mentre il medico gli spiegava che non avrebbe passato la notte, Balzac borbottò: "Ci vorrebbe Bianchon". Bianchon era il medico della commedia umana. Il mondo parallelo che Balzac aveva strappato alla realtà metro per metro e piegato a colpi di penna alla scrittura continuò a esistere anche senza il suo signore.
L'idea della commedia umana era nata da un confronto tra l'Umanità e l'Animalità. Quelle che Balzac chiamava le Specie sociali erano sempre esistite e sarebbero esistite sempre, come esistono le Specie zoologiche. Ma lo stato sociale ha bizzarie che la natura non si può permettere, perché lo stato sociale è natura più società. A Marx Balzac piacque più di Sue.
Balzac era sdentato, sporco, basso, gonfio. Aveva la testa infossata tra le spalle, la schiena precocemente curva, le braccia ridicolmente corte. Il torso sproporzionato posava sulle cosce pesanti e le gambe da bassotto saltellavano più che camminare. Portava abiti vistosi e un bastone dal gigantesco pomo intarsiato di turchesi. Eppure aveva occhi da sovrano, da veggente e da domatore, ed era il più eroico, il più singolare, il più romantico e poetico di tutti i suoi personaggi, e le donne della migliore società europea si innamoravano di lui.
George Sand percepiva, dietro le vanterie, i cinismi e le ingenuità di Balzac, un santuario interiore di ragione, in cui poteva in ogni momento chiudersi per dominare la sua immensa opera. A volte Balzac si sentiva invadere dalla società e dal timore di divenire banale. Allora recideva ogni rapporto. Indossava il suo saio di cachemire bianco da domenicano, cinto in vita da una catena d'oro da cui pendevano un paio di forbicine.
"Ho capovolto la vita parigina", diceva, "e vivo al contrario, coricandomi quando gli altri si alzano e alzandomi quando vanno a letto". Andava a dormire verso le sette di pomeriggio, dopo un pasto leggero, e si faceva svegliare a mezzanotte, per scrivere fino al mattino. Sulla tovaglia verde del tavolo da lavoro erano sempre accese due candele e posata su uno scaldino la caffettiera di porcellana bianca e blu.
Il caffè di Balzac era una miscela di tre marche diverse. Ne beveva litri e litri e questo gli provocava terribili crampi allo stomaco. Ma Balzac resisteva: "Ancora un'ora e mi sarò imbarcato sul vascello del lavoro. Dio voglia che mi porti là dove desidero andare. Sono emozionato come se dovessi perdermi in questa lotta, ma ho una stella e finora nessuna nube l'ha coperta. Dio voglia che brilli sempre".
IL LIBRO
Honoré de Balzac, Storia imparziale dei gesuiti, Medusa, 113 pp., 13 €