Plotino, il filosofo che andò in estasi e dentro l'anima scoprì l'inconscio
TTL - Cl@assici | Cominciò a scrivere solo a 49 anni, compose 54 trattati e permise di leggerli a pochi allievi, morì dicendo: «Cercate di ricondurre il divino che è in voi al divino che è nel tutto»
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Plotino fu un filosofo e un mistico nel tempo in cui tutto il mondo, dalla Grecia all'India, aveva fatto confluire le sue segrete correnti di sapienza nell'alveo del pensiero di Platone, e un fiume immenso, più grande del Nilo, inondava le terre d'oriente e d'occidente. Plotino si rifiutò sempre di dire quando e dove e da chi fosse nato. Ma Eunapio e Porfirio, Ficino e Bayle ci assicurano che all'età di trentanove anni seguì l'imperatore Gordiano III nella spedizione contro i persiani. Il re Shahpur rispose portando con sé in guerra contro i romani un filosofo di nome Mani. Infatti Plotino e Mani erano i migliori di quel mondo, in cui ogni potere declinava e veniva sconfitto, tranne quello del neoplatonismo.
Plotino cominciò a scrivere solo a quarantanove anni, dieci anni dopo che il segreto della scuola di Alessandria era stato tradito da Erennio e Origene. Compose cinquantaquattro trattati, dando il permesso di leggerli soli a pochi allievi scelti e il compito di correggerli al più amato. La sua scrittura da miope era minuta, disordinata, sgrammaticata. Dopo avere completato interiormente la riflessione dall'inizio alla fine, scriveva di getto sulla carta quello che aveva già steso nella sua anima, come se copiasse da un libro. Non perdeva il filo neppure se doveva interrompersi per conversare o fare lezione. Restava in se stesso pur essendo con gli altri e non allentava mai questa concentrazione interiore, se non durante il sonno, che riduceva al minimo.
Ma Plotino conosceva uno stato ancora più raro, che neppure i più profondi seguaci di Mani, come Agostino, riuscivano a raggiungere: l'estasi. Non era una vera e propria visione, ma un modo diverso di vedere. Era un'uscita da sé, un potenziamento di sé, una semplificazione, un desiderio di contatto e di quiete, un pensiero in cerca di unione. Questa condizione faceva parte dei misteri della scuola di Plotino e non era divulgabile, anche perché il mistero non è comunicabile se non a chi ha avuto la fortuna di provarlo.
A Roma molti nobili, in punto di morte, affidavano a Plotino i figli con tutte le loro sostanze come a un sacro e divino custode, cosicché la sua casa era sempre piena di ragazzi e ragazze e tutori che gli portavano a controllare i conti. Era inoltre ricercato come arbitro nei processi. Un pretore, dopo averlo udito, donò tutti i suoi beni, affrancò tutti i suoi domestici e passò il resto della sua vita in estasi.
Plotino fu lo scopritore dell'inconscio. Secondo Plotino può esserci coscienza a un livello della psiche e contemporaneamente non esserci a un altro livello. La psiche ha ricordi di cui è inconscia. Secondo Plotino, la coscienza è mobile e multipla. Diceva Plotino: "Noi siano molte cose". Secondo Plotino il nostro io si sposta all'interno dell'anima. La coscienza non coincide con l'io, ma è la consapevolezza che l'anima ha di sé stessa come riflesso dell'anima del mondo. L'uomo è un Proteo che fluisce ovunque.
Plotino non volle mai essere ritratto. Si vergognava di avere un corpo, di trascinare l'idolo con cui la natura ci ha avvolto. Figurarsi lasciare un'immagine di quell'immagine. Per lo stesso disprezzo rifiutava le medicine e si asteneva dai bagni, ma si faceva fare ogni giorno dei massaggi. Morì dicendo: "Cercate di ricondurre il divino che è in voi al divino che è nel tutto", mentre un serpente strisciava sotto il suo letto.
IL LIBRO
Plotino, Enneadi, trad. di Roberto Radice, introd. e comm. di Giovanni Reale, Mondadori, 2013 pp.