Con Saffo nella verde Lesbo dove volano Desiderio e Amore
Le adolescenti sedevano accanto alle fonti, si cospargevano il corpo di nardo lucente e di unguento reale, poi si allungavano sul giaciglio morbido e appagavano a vicenda il desiderio amoroso
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Saffo fu una poetessa, una sacerdotessa, un'iniziatrice. La divinità che serviva era Afrodite. Ma anche Saffo era divina. Incedeva tra i fumi dell'incenso, sollevando appena la veste sulle caviglie. Si diceva avesse i capelli viola e un sorriso di miele.
Afrodite era crudele e ingannatrice. La illudeva, la faceva delirare, la consegnava alla frenesia e alla follia del desiderio. Come nessuno Saffo conosceva quella forza, alla quale nulla in natura può resistere, quell'invincibile belva dolceamara che strema le membra, che scuote le meningi come il vento si abbatte sulle querce dei monti. Quando la fiamma sottile di Eros le correva lungo il corpo desiderava morire, vedere le rive dell'Acheronte fresche di rugiada, fiorite di trifoglio.
Saffo aveva il dono della visione. Scorgeva in cielo la sua signora immortale sorriderle complice dal trono screziato: "Chi desideri si arrenda ai tuoi baci, Saffo? Dimmi, chi ti rifiuta? Se fugge ti inseguirà, se non accetta i doni li offrirà, se non ti ama ti amerà". All'inizio le allieve della sacerdotessa obbedivano alla dea, apprendevano la sua religione. Danzavano nei sacri recinti della verde isola di Lesbo, dove Saffo aveva il suo tìaso. Passeggiavano nei boschi di meli, dove gli altari fumavano all'ombra di cespugli di rose, nei prati odorosi di aneto, dove pascolavano i cavalli. Sui colli, al suono delle grandi cetre, Desiderio e Amore volavano intorno.
Le adolescenti sedevano accanto alle fonti dove mormorava l'acqua, intrecciavano ai lunghi capelli corone di viole, di crochi e di rose, allacciavano al collo delicato ghirlande di germogli primaverili. Nude, si cospargevano il corpo di nardo lucente, distillato dai fiori, e di unguento reale. Poi si allungavano sul giaciglio morbido e appagavano a vicenda il desiderio amoroso.
Così la sacerdotessa e le allieve del tìaso compivano l'iniziazione. Ma il ritiro rituale durava un breve tempo. Gongila, Attide, Dica, Anattoria, Arignota e tutte le altre giovani aristocratiche, una volta educate a onorare la dea, abbandonavano il tìaso e regalavano il riso dolce, eccitato dell'estasi al desiderio incolto del maschio. Allora anche alle colombe si gelava il cuore, e ripiegavano le ali. Nel mezzo della notte trascorreva il tempo e Saffo, tramontata la luna, tramontate le Pleiadi, dormiva sola.
Se la sacerdotessa rivedeva, anche per un solo istante, l'antica allieva accanto al nuovo sposo, sveniva. Il cuore le si bloccava nel petto, le si spegneva la voce, le si spezzava la lingua, le si sfocava la vista, le orecchie le ronzavano, la inondava un sudore freddo, e lei tremava tutta, diventava più verde dell'erba, si sentiva a un passo dalla morte.
Ma, diceva Saffo, si deve sopportare tutto. Saffo era il soldato dell'unica guerra santa, quella per la bellezza. E' una vittoria che non si ottiene schierando ad arte drappelli di cavalieri o simmetriche file di fanti o allineando navi in formazione di attacco. La bellezza è un trofeo interiore, il senso di un ordine che si rivela solo nella più disordinata e massacrante delle battaglie: l'amore.
IL LIBRO
Saffo e le altre. Le poetesse greche dell'antichità, a cura di Tino Sangiglio, testo greco a fronte, Istituto Giuliano di storia, cultura e documentazione, 134 pp., € 5,16