Baudelaire: le vie di Parigi, i gatti neri, le prostitute mulatte, i fiori del male
TTL - Cl@assici | Conosceva l'acedìa, malattia monastica, e le aveva dato il nome di spleen. La sua anima era una tomba che, come un cattivo monaco, percorreva e abitava da un'eternità
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Charles Baudelaire fu un traduttore, ma per poco, un viaggiatore, ma per poco, un giornalista, ma per poco, un rivoluzionario, ma per pochissimo. Fu più a lungo un bevitore e un fumatore di hascisc. Fu sempre un poeta. Amava Poe, De Quincey, i classici greci, le vie di Parigi, le prostitute mulatte, i gatti neri. Vestiva di nero, i suoi occhi avevano un'insensibilità vendicatrice.
Il tempo lo inghiottiva minuto per minuto come una neve immensa. Secondo Baudelaire, il tempo si può dimenticare solo usandolo. Bisogna lavorare se non per gusto, almeno per disperazione, perché lavorare è meno noioso che divertirsi. Era il re di un paese piovoso, ricco ma impotente, giovane e tuttavia vecchissimo. Quando scrisse i Fiori del male si pensava avesse trent'anni, ma, poiché aveva vissuto tre minuti per ogni minuto, ne aveva in realtà novanta.
Baudelaire conosceva l'acedìa, malattia monastica, e le aveva dato il nome di spleen. La sua anima era una tomba che, come un cattivo monaco, percorreva e abitava da un'eternità. Fuori il cielo era basso e pesante come un coperchio, triste e bello come un reliquiario. La noia era un delicato mostro che saliva dall'incuriosità e assumeva le proporzioni dell'immortalità.
Aveva paura del sonno come di un grande buco. Era l'avventura sinistra di ogni sera. Gli uomini si addormentano quotidianamente con un'audacia che sarebbe incomprensibile se non sapessimo che è il risultato dell'ignoranza del pericolo.
Secondo Baudelaire la bellezza è qualcosa di ardente e triste, qualcosa di un po' vago, che lascia adito alla congettura. Un viso maschile per essere bello deve contenere urgenze spirituali, ambizioni tenebrosamente represse, l'idea di una potenza accusatoria e inattiva, e infine l'infelicità.
L'orrore della solitudine, il bisogno di dimenticarsi nella carne di un altro, l'uomo lo chiama nobilmente bisogno d'amore. L'unica, suprema voluttà dell'amore sta nella certezza di fare il male. L'amore somiglia a un'operazione chirurgica, in cui uno dei due sarà sempre il paziente e l'altro il carnefice. E' un gioco spaventoso, in cui uno dei giocatori deve perdere il dominio di sé.
L'amore e l'arte sono prostituzione e l'essere più prostituito è Dio. Secondo Baudelaire Dio è uno scandalo - uno scandalo redditizio. Nulla sulla terra è più interessante delle religioni. Il comunismo somiglia alla teocrazia.
Secondo Baudelaire, la fede nel progresso è una dottrina da pigri, una dottrina da belgi. Il mondo sta per finire. Periremo per colpa di ciò di cui abbiamo creduto di vivere. Quando la meccanica ci avrà totalmente meccanicizzati, il progresso universale sarà la rovina universale.
Secondo Baudelaire il commercio è per essenza satanico: è naturale, dunque è infame. La donna è l'opposto del dandy: è naturale, cioè abominevole. Secondo Baudelaire amare le donne intelligenti è un piacere da pederasta.
Baudelaire non capiva come una mano pura potesse toccare un giornale senza una convulsione di disgusto. Dalla prima all'ultima riga ogni giornale è un tessuto di orrori. Secondo Baudelaire il malinteso manda avanti il mondo. Per via del generale malinteso tutti si accordano. Se, disgraziatamente, ci si capisse, non ci si potrebbe mai accordare.
IL LIBRO
Charles Baudelaire, La capitale delle scimmie, a cura di Giuseppe Montesano, Oscar Mondadori, pp. 157, € 6,80.