Doyle e Holmes, un'amicizia che precipitò nelle cascate
TTL - Cl@assici | Un bell'appartamento vicino a Marylebone, una fastidiosa depressione, il mestiere di investigatore, i rapporti mai abbastanza coltivati con Stevenson, James, Kipling, Wilde
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Arthur Conan Doyle, noto anche come John H. Watson, fu un medico, un ufficiale, uno scrittore, uno spiritista. Durante la guerra afgana prestò servizio come medico militare a Kandahar. Rimase ferito, si ammalò di dissenteria, venne rimpatriato. Era magro come un'acciuga e nero come una castagna. Al Criterion Bar, sullo Strand, incontrò un suo ex infermiere. "Sembra impossibile trovare una stanza decente a un prezzo ragionevole". "Che strana coincidenza! Siete il secondo, oggi, cui sento fare lo stesso discorso".
Il primo era un certo Holmes, che lavorava al gabinetto di analisi cliniche dell'ospedale. Praticava esperimenti eccentrici, come staffilare i cadaveri della morgue per verificare fino a che punto si possono produrre ecchimosi dopo la morte. Cercava qualcuno con cui dividere un bell'appartamento vicino a Marylebone.
Il medico era tarchiato, aveva il viso largo e il naso schiacciato. Holmes aveva il naso affilato e adunco ed era così magro da sembrare più alto del suo metro e ottanta. Aveva mani delicate, sempre macchiate di inchiostro e sostanze chimiche.
Il medico era laureato e credeva in tutto ciò in cui crede comunemente una persona colta. Holmes aveva accumulato senza metodo una massa immensa di nozioni, ma era privo di titoli di studio e francamente incolto. Ignorava la teoria di Copernico: "Che me ne importa? Voi sostenete che giriamo attorno al sole, ma se girassimo attorno alla luna non cambierebbe nulla per il mio lavoro".
Quando si trasferirono al 221B di Baker Street, i due uomini divennero inseparabili. Il medico si lisciava i baffi, accarezzava il suo cucciolo di mastino, si alzava tardi. Holmes era mattiniero, faceva lunghe passeggiate nei quartieri bassi, suonava il violino, si iniettava cocaina. Nei rari momenti in cui la depressione gli lasciava tregua si dedicava all'unica occupazione in grado di rendere interessante la realtà: il mestiere di investigatore, ossia l'applicazione empirica della scienza della deduzione.
Tutta la vita, secondo questa scienza, è una catena la cui natura si rivela a chiunque ne osservi un solo anello. La scienza della deduzione e dell'analisi può essere acquisita soltanto attraverso uno studio lungo e paziente. Le unghie di un uomo, la suola delle scarpe, i polsini della camicia possono ispirarci la stessa rivelazione che una goccia d'acqua ci dà sull'esistenza dell'Atlantico.
Con l'andare del tempo, il medico prese a odiare il suo compagno. Dopo quindici anni di convivenza il velluto delle due poltrone accanto al caminetto era meno logoro della loro amicizia. Le indagini di Holmes distoglievano Doyle dalle cose migliori: i romanzi storici per cui si preparava da anni, le amicizie con Stevenson, James, Kipling, Wilde. Nel 1893 Doyle fece precipitare Holmes nelle cascate di Reichenbach in Svizzera. A Londra, in segno di lutto, i giovani avvolsero veli neri intorno ai cappelli. Il cuore dell'Inghilterra se ne andò. Ma, come nel racconto di Poe che Doyle amava più di tutti, il cuore di Holmes continuò a battere con un rumore sordo, soffocato e intermittente, in tutto simile a quello che produrrebbe un orologio avvolto nell'ovatta.
IL LIBRO
Arthur Conan Doyle, Il parassita e altri racconti, Sellerio, pp. 150, euro 7,75