Epicuro: l'ascesi e la giustizia, tra le massime forme di godimento
TTL - Cl@assici | Il solo fine è perseguire il piacere. Ma il piacere non risiede nel godimento dei sensi, bensì nel far soffrire il meno possibile il corpo e nel turbare il meno possibile l'anima
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Epicuro nacque in un'isola dell'Egeo battuta dal meltemi. Si trasferì ad Atene e in un giardino riparato, attiguo alla sua casa, invitò insieme uomini, donne e schiavi. Tolse loro la paura e il desiderio. Spiegò loro qual è il bene massimo cui ognuno di noi può mirare, e mostrò loro la via per arrivarci in linea retta, seguendo una scorciatoia. Regalò la libertà alle loro menti con i concetti veri della sua spietata dottrina.
Insegnava Epicuro che esiste solo il vuoto infinito, nel quale si muovono gli atomi. La loro caduta libera è soggetta a una minima declinazione, che consente loro di aggregarsi e di formare i corpi. Secondo Epicuro gli astri, così come gli uomini, non sono che aggregazioni transitorie di atomi. Dunque non bisogna credere sia una divinità a regolare il moto dei pianeti, né temere la morte, che è solo il disgregarsi degli atomi di un corpo, compresi quelli dell'anima e della mente. Da Epicuro le persone colte impararono a dire: "Io non sarò più, una volta che sarò morto".
Abituatevi a pensare che la morte non è nulla, insegnava Epicuro agli ospiti del giardino, perché ogni bene e ogni male stanno nella sensazione, e la morte è assenza di sensazione. La morte non è nulla perché quando noi siamo la morte non è presente e quando la morte è presente noi non siamo. La morte non riguarda né i vivi né i morti, perché per i primi non c'è, e gli altri non ci sono più. La sola cosa che esiste, insegnava Epicuro, è la vita.
Non è più terribile vivere, spiegava, per chi ha capito che non c'è niente di terribile nel non-vivere. Il solo fine che resta è vivere felicemente, perseguire per quanto possibile il piacere. Ma il piacere, spiegava Epicuro, non lo si trova nelle bevute, nei festini ininterrotti, nel fare sesso coi ragazzini o con le donne, nel gustare pesci o altri cibi costosi. Il piacere non risiede nel godimento dei sensi, come credono gli ignoranti, bensì nel far soffrire meno possibile il corpo e nel turbare meno possibile l'anima.
Se il massimo piacere è l'eliminazione della sofferenza, dobbiamo mirare anzitutto all'autosufficienza, e non perché ci accontentiamo facilmente, ma perché siamo lucidamente consapevoli che il massimo godimento dell'abbondanza è sentirne il minimo il bisogno. I semplici decotti di orzo recano un piacere pari a quello di una dieta sontuosa, il pane e l'acqua promettono il più alto godimento, quando chi li accosta ha fame. Abituarsi a diete semplici e non dispendiose produce salute, rende l'individuo pronto ad affrontare ogni situazione della vita e nello stesso tempo lo dispone ad assaporare meglio le cene gastronomiche che qualche sera gli toccheranno.
Il fatto è, insegnava Epicuro, che quei desideri che non conducono alla sofferenza quando non sono stati soddisfatti non sono necessari. Il massimo dell'edonismo, spiegava Epicuro, è l'ascesi. Un'altra forma di godimento è la giustizia, e non perché l'ingiustizia sia in sé stessa un male, ma perché lo diventa nella misura in cui l'attesa di un castigo ci angoscia. Non è dunque possibile vivere piacevolmente se non in modo sobrio e giusto, né è possibile vivere in modo sobrio e giusto se non piacevolmente.
Se vivrai tenendo in mente questi precetti, insegnava Epicuro, mai, né da sveglio né in sogno, sarai turbato, ma vivrai come un dio tra gli uomini.
IL LIBRO
Epicurea. Testi di Epicuro e testimonianze epicuree nella raccolta di Hermann Usener, testo greco e latino a fronte, traduzione e note di Ilaria Ramelli, presentazione di Giovanni Reale, Bompiani, 897 pp., 30 euro