Il nobile greco che insegnò ai romani a sopportare il dolore con virtù
TTL - Cl@assici | Panezio fu presentato ai potenti dell'Urbe da Polibio, educò Scipione l'Africano e molti altri: sosteneva che la morale e l'utile non debbono mai essere separati
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Panezio fu un nobile greco e un filosofo romano. Nacque in un'isola piena di rose, da un'antica famiglia di ginnasti e generali, al tempo in cui la Fortuna aveva fatto convergere verso un'unica direzione tutte le vicende del mondo e le aveva costrette a piegarsi verso un unico fine: il dominio di Roma su tutta la terra abitata, un fenomeno senza precedenti.
Spinto dal desiderio di conoscere, Panezio cominciò a viaggiare. Fu allievo di Diogene di Babilonia, Antipatro di Tarso e Cratete di Mallo. A Roma un amico greco, Polibio, lo presentò ai potenti latini. Insieme educarono Scipione soprannominato l'Africano. Panezio educò in realtà tutti i romani. Insegnò loro il dovere, la virtù, la sopportazione del dolore. Le sue opere andarono perdute ma furono plagiate con grande passione e impegno da Marco Tullio.
Secondo Panezio l'esistenza delle persone che trascorrono i propri giorni in piena attività e che vogliono essere utili a se stesse e ai propri cari è piena di pericoli quotidiani e inaspettati. Per tenerli a bada è necessario fare come gli atleti che all'inizio dello scontro puntano i piedi e alzano i pugni per proteggere la testa. Così la mente del saggio deve stare in guardia contro la violenza e l'arroganza. Sicura, impenetrabile, ben fortificata, non abbassa mai il limite di sicurezza e oppone le proprie decisioni e riflessioni come pugni tesi contro i colpi della fortuna.
Secondo Panezio non c'è nulla di utile che non sia anche moralmente coerente, non c'è nulla di moralmente coerente che non sia anche utile, e chi separa questi due concetti distrugge la vita. Mentre per gli stoici antichi come Zenone e Crisippo la virtù è sufficiente al conseguimento della felicità, secondo Panezio la virtù non è autosufficiente, ma ha bisogno della salute, dell'abbondanza di mezzi e della forza. Secondo Panezio le virtù sono come arcieri cui viene dato un unico bersaglio fatto di cerchi multicolori. Tutti gli arcieri mirano al bersaglio, ma uno lo colpisce sulla linea bianca, uno su quella nera, uno su un altro colore. Colpire il bersaglio è lo scopo supremo, ma ogni arciere lo fa in modo diverso.
Una volta un ragazzo gli domandò se il saggio può amare. Panezio rispose con eleganza: "Del saggio", disse, "vedremo poi. Tu e io, che siamo ben lontani dalla saggezza, dobbiamo proprio evitare che ci capiti questa cosa inquietante, spossessante, che ci rimette a un altro, che ci svilisce a noi stessi. La facilità e la difficoltà nel trovare l'amore nuocciono in eguale misura: dalla facilità siamo stregati, dalla difficoltà combattuti. Dobbiamo essere consci della nostra fragilità e starcene calmi".
Panezio amava Platone quanto nessun altro filosofo, a ogni accenno lo definiva divino, più saggio di tutti, un santo, l'Omero dei filosofi. Non condivideva una sola dottrina, quella sull'immortalità dell'anima. Infatti, sosteneva, se qualcosa duole ha dentro qualcosa di malato, e ciò che è malato è destinato a perire. E poiché anche l'anima duole, anche l'anima è mortale
IL LIBRO
Panezio, Testimonianze e frammenti, testo greco-latino a fronte, introduzione, edizione, traduzione, note e apparati di commento a cura di Emmanuele Vimercati, Bompiani, 356 pp., 10 euro