E la Madre di Dio visitò in sogno il giovane diacono Romano il Melodo
TTL - Cl@assici | Era nato in Siria, aveva studiato a Beirut, si era poi trasferito a Costantinopoli: una notte la Theotòkos gli presentò un foglio arrotolato, chiedendogli di inghiottirio. Era un dono misterioso...
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Romano il Melodo fu un ispirato. Era nato in Siria, aveva studiato a Beirut. Si era poi trasferito nella Grande Città, Costantinopoli. Prestava servizio come diacono nel quartiere di Kyros, nel luogo dove sorge oggi la moschea Kalenderhane, presso la grande cisterna, in cima al settimo colle artificiale innalzato da Costantino. La sua chiesa era dedicata alla Theotòkos Kyriòtissa.
La parola Theotòkos voleva dire Madre di Dio. Non bisognava chiamarla Christotòkos, Madre del Cristo, né tanto meno Anthropotòkos, Madre dell'Uomo, come avevano sostenuto alcuni eretici. Per una sola parola gli abitanti di Costantinopoli erano capaci di massacrarsi a vicenda. Per una sola parola, nell'Ippodromo, si potevano contare migliaia di cadaveri.
Le strade nell'età di Anastasio e Giustiniano erano insanguinate. Dio aveva messo la sua collera sulla punta della spada e la Città era in preda alla paura e un amaro lamento si levava per i morti. Ma nel buio delle chiese le icone dorate erano avvolte nel fumo dei sottili ceri bruni e nella nebbia profumata degli incensi. Nel silenzio, sotto l'ambone, uomini dalle folte barbe e dalle lunghe tonache scandivano orazioni. Il giovane diacono Romano seguiva, inchinandosi e scuotendo il turibolo, l'eco di quelle voci recitanti.
Una notte la Theotòkos gli apparve in sogno e gli presentò un foglio arrotolato, chiedendogli di inghiottirlo. Al risveglio Romano scoprì che nella sua mente si era impressa una strana struttura. Sembrava un formula matematica, o un codice criptato su frequenze segrete. Era costituita di sequenze, e ciascuna presentava la stessa serie di accenti, la stessa successione di pause e lo stesso numero di lunghezze. Ogni sequenza terminava nello stesso modo. Le sequenze erano in tutto ventiquattro.
Romano ripensò al sogno, rivide il rotolo di carta e ricordò che già in passato, come narra la Bibbia, altri prima di lui - il profeta Ezechiele, l'autore dell'Apocalissi - ne avevano ingoiato uno simile. Comprese di avere ricevuto un dono misterioso. Quello che Esiodo e Omero avevano avuto dalla Musa a lui era stato dato dalla Madonna. Lo schema che gli pulsava dentro corrispondeva, come ogni serie di quantità, a una musica, e doveva essere riempito di parole.
Trasformò così le sequenze in strofe e le lunghezze in sillabe, e le associò tra loro formando parole in base alle successioni di pause e alle serie di accenti. "La-vergine-oggi / genera-il-trascendente / e-la-terra-diventa / grotta-all'inaccessibile". Seguendo il ritmo instillato dal sogno, scoprì che quei versi, come per gli antichi aedi, formavano una musica e non dovevano essere recitati ma cantati. La nuova armonia gli saliva spontanea alle tempie: anche questo faceva parte del Dono.
L'ultima frase di ogni strofa, quella che ricorreva sempre uguale come la frequenza segreta del telegrafo ottico, doveva contenere un mistero. Non fu necessario cercare il messaggio da trasmettere. Furono le lunghezze, le pause e gli accenti a generare da sole le sei parole: "Strano-appena-nato / dio-sempre-esistito".
IL LIBRO
Romano il Melodo, Cantici, con testo greco a fronte, a cura di Riccardo Maisano, UTET, 2 voll., pp. 646+668, euro 109