La vita verticale di Teresa, l'estasi di una farfallina bianca
TTL - Cl@assici | Mistica, scrittrice, dottore deità Chiesa: a otto anni scappò di casa verso la terra occupata dai Mori volendo morire per Sua Maestà, ma per lei Sua Maestà non era il re di Spagna
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Teresa de Ahumada fu una mistica, una scrittrice, un dottore della Chiesa. Era cresciuta ad Avila in una nobile e colta famiglia quando sui domìni del re di Spagna non tramontava il sole. Ma per Teresa non ci fu mai altro sole se non quello che si trova in fondo all’anima. A otto anni scappò di casa verso la terra occupata dai Mori volendo morire per Sua Maestà. Ma per Teresa Sua Maestà non era il re di Spagna.
Teresa fu prima un bruco che lavorava la seta e costruiva il bozzolo dove morire. Lesse tutti i libri della biblioteca di suo padre. A tredici anni, nei salotti, portava guanti bianchi e guidava la conversazione. Oh come sono sventurati e miseri, pensava intanto, i tempi e la vita che ci tocca vivere! Muoia, muoia questo verme, come muore il baco da seta, per realizzare il senso della sua vita!. Teresa morì a se stessa, fu una morte deliziosa e da quella morte nacque una farfallina bianca.
Cominciò allora la vita verticale di Teresa. All’inizio fu come sordomuta. I sensi e le cose esteriori andarono perdendo cittadinanza. Oh, l’agitazione della piccola farfalla bianca! Tutto ciò che vede sulla terra non la accontenta più. L’anima di Teresa uscì da sé, per rientrare in sé. A volte prendeva in mano un pezzo di carta non sapendo cosa dire né come cominciare. A volte perdeva il filo del discorso. Un ronzio le riempiva la testa, come se ci fossero molti fiumi burrascosi, cascate d’acqua, uccelli e cinguettii. Le sgorgavano lacrime d’angoscia. Dal pensiero usciva istupidita: era una baraonda. Dopo essersi consultata con un amico, Giovanni della Croce, capì che, come non possiamo frenare i moti celesti che proseguono inarrestabili a tutta velocità, così non possiamo frenare l’immaginazione. Bisogna che l’anima si sforzi di impedire che l’intelletto discorra, senza però sospenderlo, né sospendendo il pensiero.
Teresa comprese che esiste un luogo diverso, più interno, una profondità nascosta, e la chiamò “centro dell’anima”. Bisognava cercare in quello spazio interiore, là dove anche sant’Agostino diceva di avere trovato qualcosa che aveva molto cercato altrove. Ogni anima, secondo Teresa, ha in fondo un cristallo velato. “Oh anime”, implorava, “conoscetevi! Sforzatevi di togliere il panno nero dal cristallo della vostra anima!”.
Le vennero gravi malattie. La sofferenza sembrò raggiungere le viscere e ridurre l’anima in pezzi. Fu una grande pena, ma gustosa e dolce, perché quel dolore, che non era dolore, non bruciava l’anima, ma la accendeva. Cominciava con una specie di grido alle orecchie. Poteva durare pochi minuti o tutto un giorno. L’anima di Teresa si comportava come un ubriaco. Teresa lo chiamava rapimento. Non era come uno svenimento. Era una sospensione in cui si rivelavano, e rimanevano indelebilmente impresse nella memoria, inspiegabili visioni. Lo splendore della visione era come luce infusa, come quella che avrebbe il sole rivestito di tessuti olandesi.
Il rapimento, o estasi, spiegava Teresa, toglie il fiato. Le mani e il corpo si raffreddano. Alcune volte non si sa neppure più se si respiri. E’ un volo dello spirito. Si esce dal corpo. Ma la persona non muore. Con la velocità con cui la palla esce dall’archibugio si alza interiormente un volo che, pur non producendo rumore, provoca un movimento fulmineo. Che splendida pazzia! Fosse concessa a tutte quante!Teresa non era tenera di cuore, lo aveva anzi così duro da rammaricarsene. Però, quando il fuoco interiore è grande, per duro che sia il cuore distilla come un alambicco. Quandol’anima è in questo stato, raccontava Teresa, e brucia in se stessa, accade spesso che le giunga, non si sa come né da dove, un colpo simile a una saetta. Non dico sia proprio una saetta, si correggeva, ma, qualunque cosa sia, non viene chiaramente dalla nostra natura.
In questo stato la persona si sente sola, come a mezz’aria, non può salire né scendere. Può sembrare veramente morta e questo non deve meravigliare, perché il pericolo di morte è reale. Il fenomeno, anche se di breve durata, lascia tutto il corpo slogato e i polsi completamente rilasciati. Ormai non si tratta più di morire una volta sola, ma di vivere stando sempre in punto di morte.
In punto di morte, nel carmelo di Alba de Tormes, Teresa scrisse su un foglietto: “Nada te turbe, / nada te espante, / todo se pasa”.
IL LIBRO
Teresa d’Avila, Il castello interiore, a cura di Massimo Bettetini, Piemme, 276 pp., 16,90 euro