Ptutarco: vite allo specchio, tra bizzarrie, abiti, battute
TTL - Cl@assici | Sapeva che tutto è un enigma, che ogni vera sapienza non dice, ma accenna, studiando l'uomo concluse che ogni virtù esiste negli animali in misura maggiore che nel più grande dei sapienti
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Quando la Grecia era stata catturata da Roma e Gesù Cristo era da poco risorto e il grande dio Pan era morto nacque Plutarco di Cheronea, a metà strada fra Atene e Delfi. All'Accademia di Atene fu studente, dell'Oracolo di Delfi sacerdote. Fu un filosofo e fu protetto dall'imperatore Adriano. Nessuno scrisse tanto quanto lui, nessuno fu altrettanto letto.
Plutarco aveva imparato da Apollo l'Ambiguo che tutto è un enigma. Da Eraclito, che ogni vera sapienza non dice, né nasconde, ma accenna. Nel giudizio Plutarco fu perplesso, pietoso, esitante e critico più di ogni altro greco. Conosceva il crinale in cui la virtù rasenta il vizio e il vizio torna virtù, frequentava i domìni del dio Obliquo, là dove le linee non sono più parallele, ma s'incrociano diagonalmente.
"Conosci te stesso", era inciso sul marmo di Delfi. Plutarco cercò di capire la vita nello specchio di quelle altrui. Guardò le vite degli uomini più potenti e sapienti che la Grecia e Roma avevano avuto. Le affiancò l'una all'altra. In che cosa si toccano due vite?, si domandava Plutarco. Che direzione può imporre la condotta di un uomo alla storia? o la storia alla condotta di un uomo? Per l'attenzione di Plutarco niente era troppo piccolo. Un dettaglio nel vestire, una bizzarria nascosta, una battuta sfuggita in un momento di distrazione erano enigmi, segni e presagi che il filosofo scrutava e interpretava come l'ornitomante il volo degli uccelli o come l'aruspice il nodo delle viscere.
Studiando l'uomo Plutarco concluse che ogni virtù esiste negli animali in misura maggiore che nel più grande dei sapienti. Secondo Plutarco Penelope era inferiore a una cornacchia, Odisseo a una scrofa, i più famosi medici egiziani alle tartarughe e alle capre cretesi. Gli animali, riteneva Plutarco, hanno un linguaggio. Noi crediamo che i suoni e le strida che emettono siano voci inarticolate, e invece sono preghiere, suppliche, richieste di giustizia.
Plutarco registrava imperturbabile le stragi della storia, ma inorridiva dinanzi alle mense dei ricchi romani, che usavano i cuochi, diceva, come acconciatori di cadaveri. Secondo Plutarco l'uso di mangiare carne non ha un'origine naturale. La struttura fisica dell'uomo prova che non è carnivoro, poiché il suo corpo non possiede becco ricurvo né artigli affilati né denti aguzzi.
Secondo Plutarco non nei colori, non nelle forme dipinte, non nella levigatezza delle statue risiede il divino, ma nella natura, che vive e vede e ha in se stessa l'origine del movimento e ha assorbito un effluvio di bellezza dalla partecipazione di Colui che è Pensiero. Secondo Plutarco le vesti di Iside sono di colore variegato perché il suo alveo è quello della materia, la quale si evolve in tutte le forme.
Plutarco amava l'Egitto, culla di ogni religione, e il profumo del kyphi, composto di sedici ingredienti: miele, vino, uva passa, cipero, resina, mirra, aspalato, seseli, lentisco, bitume, stramonio, lapazio, ginepro grosso, ginepro piccolo, cardamomo e cannella. Il numero di questi ingredienti è il quadrato di un quadrato.
IL LIBRO
Plutarco, Iside e Osiride. Dialoghi delfici, a cura di Vincenzo Cilento, presentazione di Giovanni Reale, Bompiani, 512 pp., 12 euro