Sinesio, il dandy neoplatonico che trasformò le sue fortune in libri
TTL - Cl@assici |Amava la filosofia e la caccia, i ragionamenti erano per lui come cavalli, segugi e arco; alla cattedra universitaria preferì la vita di campagna, scrisse solo per sé e collezionò classici
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Sinesio di Cirene fu un neoplatonico, un poeta, un dandy, un decadente della Decadenza prima. Visse in Africa all'inizio del quinto secolo, alla vigilia della caduta dell'impero d'Occidente. Fu iniziato a tutti i misteri, pagani e cristiani. Della chiesa cristiana fu vescovo, del paganesimo teologo. Ad Alessandria amò la sua maestra, la filosofa Ipazia, che morì linciata dai monaci del vescovo Cirillo. In Cirenaica combatté i barbari.
Sinesio amava la filosofia e la caccia. I ragionamenti erano per lui come cavalli, segugi e arco. Alla cattedra universitaria preferì la vita di campagna, la facoltà di comporre logoi non misurati dalla clessidra ma dallo scorrere del torrente al di là dai suoi cipressi. Non volle mai studenti, né due né tre, per non farsi schiavo di norme: "Avrei dovuto a causa loro andare sempre nello stesso posto, avrei dovuto parlare loro di argomenti prestabiliti". Secondo Sinesio la competizione universitaria è dannosa per l'identità intellettuale. La gelosia accademica è la più grande e materiale delle passioni, poiché nello sforzo di prevalere sui colleghi lo studioso accentua i tratti del proprio pensiero fino a dogmatizzarli: "Chi potrebbe, allora, finire peggio di un uomo al quale non è più lecito divenire migliore?".
Invece, secondo Sinesio, occuparsi di libri in modo disinteressato spinge la nostra identità intellettuale dalla potenza all'atto e quindi a migliorarsi. Sinesio scrisse solo per sé e collezionò classici: "Come potresti impiegare meglio i beni di tuo padre? I miei campi li ho visti diminuire, molti dei miei schiavi sono divenuti miei concittadini, denaro non ne ho, né sotto forma di gioielli né in monete. Tutto ciò che possedevo l'ho speso per l'indispensabile: i libri".
Sinesio si sarebbe sentito sminuito nella sua libertà se avesse dovuto analizzare un libro minuziosamente. Secondo Sinesio la filologia fortifica la memoria ma lascia senza esercizio, appannata e inerte, la facoltà critica, che deve essere invece giudice dei libri. Secondo Sinesio nella critica letteraria è il filosofo che deve agire più del filologo. Tuttavia farsi filosofo di professione sarebbe un altro gravissimo rischio, perché i filosofi, pur diventando spesso personaggi pubblici, non sanno mai scrivere in prosa: "Potresti vedere più facilmente il loro cuore nelle viscere che non il suo contenuto, tanto incapace è la loro lingua di esprimere il pensiero".
Secondo Sinesio la ricerca del vero è inaccessibile ai molti e dev'essere svolta e intesa da pochi synetòi. Così è, ritiene Sinesio, anche nel cristianesimo, dove permangono le verità della grande tradizione esoterica antica, anche se a trapelare ai più sono “favole per la massa che non ha forza di fissare lo sguardo nella limpidezza degli enti". Secondo Sinesio sarebbe però meglio in grado di racchiudere il sacro colui che ha il dono chiaroscurale della parola, poiché solo le virtù misteriche di un'espressione letteraria raffinatissima possono mediare l'Essenza, non altrimenti rappresentabile; per quanto isolate correnti giudaiche e barbariche vanamente la pretendano suscettibile di una definizione, o addirittura la moltiplichino, "quasi mostro policefalo", nelle tre ipostasi della Trinità.
IL LIBRO
Sinesio di Cirene, Elogio della calvizie, a cura di Monica Tondelli, Archinto, pp. 112, euro 5,20