Fitzgerald: le mille e una notte di un dandy tra jazz e bourbon
TTL - Cl@assici | Il più straordinario virtuoso della letteratura americana, uno scrittore in perenne crepuscolo: la sua vita, come i suoi romanzi, fu dominata da un unico tema, il declino fatale
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Francis Scott Fitzgerald odiava la gente e la adorava. Amava e odiava i ricchi, i belli, i dannati, le notti insonni, le feste affollate, il bourbon, il jazz. Odiava e amava Zelda, troppo geniale per essere una moglie, troppo folle per essere un genio. Fitzgerald fu uno scrittore in perenne crepuscolo. La sua vita, come i suoi romanzi, fu dominata da un unico tema, il declino fatale - un preciso progetto, una specie di talento che aveva sviluppato leggendo Conrad, il Negro del Narcissus.
Da studente a Princeton aveva preso a pettinare i capelli biondi all'indietro, con la scriminatura nel mezzo, e a portare sottili cravatte di maglia a righe orizzontali. Fu un dandy, un poeta, un alcolista. Quando beveva la sua felicità si avvicinava a un'estasi tale che non poteva condividerla con nessuno, nemmeno con Zelda, ma doveva portarla a spasso per strade e vicoli appartati, fino a distillarne qualche goccia fra le righe dei suoi libri. Fitzgerald pensava che scrivere volesse dire ridurre se stessi all'osso, lasciando ogni volta qualcosa di più sottile, di più spoglio, di più scarno.
Una volta Gertrude Stein gli disse: passiamo il tempo a lottare contro le nostre qualità finché non arriviamo a quarant'anni e allora, troppo tardi, scopriamo che costituivano la parte migliore della nostra personalità. Fu quello che accadde a Fitzgerald. A dodici anni passava le ore di lezione a istoriare di racconti i margini dei manuali di geografia e di latino, i bordi dei temi, degli esercizi di grammatica, dei problemi di matematica. Pubblicitario a New York per novanta dollari al mese, inventò slogan da dipingere sui tram di provincia. Scrisse di tutto, soggetti per il cinema, parole di canzoni, musical, sketch, barzellette. La sua vita fu la storia della lotta fra un imperioso bisogno di scrivere e una serie di circostanze che tendevano a impedirglielo.
Chi intravedeva quell'uomo bellissimo barcollare da un vizio all'altro non sapeva di avere davanti il più straordinario virtuoso della letteratura americana. Secondo Fitzgerald la differenza fra il professionista della scrittura e il dilettante è terribilmente difficile da afferrare - è sentire un profumo e fiutare il futuro in qualche parola. Secondo Fitzgerald scrivere è un trucco della mente e del cuore, fatto di tante emozioni distinte quante sono le mosse di un gioco di prestigio. Secondo Fitzgerald la prova di un'intelligenza di prim'ordine è la capacità di coltivare nella mente due idee opposte e ciononostante continuare a farla funzionare. E gli scrittori, se valgono qualcosa, sono un intero mucchio di individui che si sforzano disperatamente di essere una individualità sola.
Fitzgerald era affetto da una malattia che chiamava la febbre delle frasi. Ma i giorni peggiori, diceva, non sono quelli in cui si crede di non riuscire a scrivere - sono quelli in cui ci si chiede se scrivere vale la pena. La bocca chiusa, i denti e le labbra serrate sono una delle prove più dure del mondo, ma la maggior parte delle cose importanti della vita si imparano così. Secondo Fitzgerald scrivere bene è sempre nuotare sott'acqua e trattenere il fiato.
IL LIBRO
Francis Scott Fitzgerald, Troppo carina per dirlo a parole. Racconti dispersi, vol. IV, 1a edizione italiana, a cura di J. Bruccoli,