Pletone: dimenticare Maometto e Cristo per far risplendere la verità
TTL - Cl@assici | Se l'impero di Bisanzio non fosse caduto si sarebbe avverata la profezia del filosofo neoplatonico, teologo neopagano, utopista, amato dai filosofi musulmani e dagli umanisti italiani
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Lo scheletro di Giorgio Gemisto Pletone è murato nel fianco del Tempio Malatestiano di Rimini, avvolto in un tappeto di lana purpurea, con accanto la sua cappa di taffetà nero. Il Rinascimento fiorì sui cadaveri degli ultimi sapienti bizantini.
Pletone si chiamava in realtà Gemisto. Nel greco del Quattrocento gemistos significava "colmo". Il suo pseudonimo, plethon, significava "traboccante" nel greco classico del filosofo per cui traboccava d'amore: Platone.
Gemisto Pletone fu un filosofo neoplatonico, un teologo neopagano, un utopista, un eretico. Visse alla vigilia della caduta di Bisanzio, quando l'impero era assediato a oriente dai turchi e a occidente dai mercanti. Fu suo maestro un ebreo di nome Elisha o Elisseo. Alla corte dei barbari gli trasmise una dottrina iniziatica che univa Platone a Zoroastro. Quando Elisseo fu condannato al rogo, Gemisto assunse il ruolo di eresiarca. In un'epoca in cui, scriveva Enea Silvio Piccolomini, nessuno poteva dirsi colto senza avere studiato a Costantinopoli, Gemisto vi restò in cattedra fino a cinquant'anni. Sconfitto dai suoi nemici aristotelici, fu inviato sulla montagna d'oro di Mistrà, alla corte degli ultimi Paleologhi. Là dove Goethe farà incontrare Faust e Elena, presso l'antica Sparta, Gemisto rifondò la scuola di Atene.
Gemisto era solito dire che Platone e prima di lui i pitagorici giudicavano fosse meglio non scrivere sulle questioni più importanti, ma trasmetterle oralmente, per via esoterica. Nell'Accademia di Mistrà si commentavano la Repubblica e gli Oracoli Caldei, il Simposio e gli Inni Orfici. Nei frammenti salvati dal rogo del suo ultimo libro, le Leggi, si affollano preghiere agli dèi olimpici, a Zeus signore dell'eterno ritorno, ad Apollo armonizzatore del molteplice, al Sole, alla Luna, a Venere, a Stilbone o Mercurio, a Fainon o Saturno, a Faeton o Giove, a Pyrois o Marte.
Secondo Pletone alla sapienza nascosta del cristianesimo non potevano non essere arrivati gli antichi savi ellenici e orientali. Far rivivere i testi e i riti pagani avrebbe portato a un credo universale senza differenze di setta. Al concilio di Firenze per l'unione delle chiese, nel 1439, le conversazioni con gli umanisti occidentali lo indussero a scrivere Sulle differenze fra Platone e Aristotele. Quel libro fu la guida dei neoplatonici italiani. In nome di quel libro Cosimo de' Medici fondò l'Accademia platonica.
Durante il concilio, riferisce Gennadio Scolario, Pletone affermava che tutto il mondo entro pochi anni avrebbe accolto una sola medesima religione con un solo animo, una sola mente e una sola predicazione. "Cristiana o maomettana?", gli chiesero. "Nessuna delle due", rispose, ma simile a quella dei gentili". Secondo Pletone, "solo quando Maometto e Cristo saranno dimenticati la verità vera splenderà su tutte le terre del mondo". Se l'impero di Bisanzio non fosse caduto, la profezia di Gemisto si sarebbe avverata. I filosofi musulmani amarono quanto gli umanisti italiani le sue opere e poco dopo la sua morte ciò che restava del libro delle Leggi fu tradotto in arabo.
IL LIBRO
Giorgio Gemisto Pletone, Delle differenze fra Platone ed Aristotele, a cura di Moreno Neri, Raffaelli Editore, 2 voll., pp. 61 + 95, £ 28.000