Gabriele D'Annunzio, il monaco affascinato dai film di Walt Disney
TTL - Cl@assici | Esteta, poeta, aviatore, cronista, arredatore, seduttore, scrittore, plagiario: le suore che visitavano il convento in riva al lago erano principesse, danzatrici, commedianti, prostitute
Articolo disponibile in PDF
Gabriele D'Annunzio era un esteta, un poeta, un aviatore, un cronista, un arredatore, un monaco, un seduttore, uno scrittore, un plagiario. Era nato sotto il segno dei pesci. Alla fine della sua vita si ritirò in un convento sulla riva di un lago, la Prioria, che aveva statue vestite, truccate e ingioiellate, tartarughe imbalsamate e incastonate come reliquie, reliquie schierate come soldati di piombo, scaffali gremiti di incunaboli glossati da versi fuggitivi in inchiostro viola. C'erano l'Archivio Rosso e l'Archivio Verde e una grande nave era naufragata in giardino tra i cenotafi dei levrieri, lo stagno delle Danze, la valle dell’Acquapazza e la valle dell'Acquasavia.
Il monaco aveva una collezione di sai, una di pantofole, una di cravatte da sera. Le suore che visitavano il convento erano principesse, danzatrici, commedianti, prostitute. Forniva loro tonache sottili e iridescenti che disegnava lui stesso. Il refettorio del convento era apparecchiato con calici di vetro soffiato a Murano, che il monaco faceva suonare con le sue piccole mani curate. Il cibo era ascetico ma non mancavano mai fragole gigantesche, pesche fuori stagione, primizie esotiche ordinate dalla California. Nel convento aveva fatto costruire una sala cinematografica dove vedeva, la sera, i film di Walt Disney. Altre visioni gli apriva la polvere bianca che oscuri diaconi porgevano ai suoi riti. Altre ancora gli spalancò il buio donato da una temporanea cecità. Amava gli aerei e il profumo del cuoio delle giacche da pilota. Giocò alla guerra, occupò una città, non s'inchinò mai al potere, non credette mai fino in fondo a ciò che fece.
L'ascesi è la forma estrema che assume la ricerca del piacere. Il piacere era il dio che D'Annunzio aveva servito con più fedeltà nella sua vita infedele a ogni norma. La sua anima era camaleontica, mutabile, fluida, virtuale, si trasformava, si deformava, prendeva tutte le forme. Le sue pagine erano come i mosaici, formati da tessere di materiali diversi. A comporre il frivolo scintillìo del Piacere furono gli austeri frammenti di un diarista svizzero, Amiel. Ma l'artigiano era stato così abile che per un secolo nessuno se ne accorse. In una foto scattata in riva al mare D'Annunzio ride, nudo come un'odalisca, dietro un parasole orientale. In ciò che scrisse risuona sempre l'eco di quel riso. Il re dal rutilante guardaroba seppe sempre di essere nudo.
Je crains ce que j'espère, diceva. Ma non temeva nulla e non sperava nulla. Secondo D'Annunzio ogni possesso è imperfetto e ingannevole, ogni piacere è misto di tristezza, ogni godimento è dimezzato. Ma non per questo bisogna rinunciarvi. Ogni gioia porta in sé un germe di sofferenza, ogni abbandono un germe di dubbio, e i dubbi guastano, contaminano, corrompono tutti i piaceri come le Arpie rendevano immangiabili tutti i cibi a Fineo. Ma per D'Annunzio il sentore del disfacimento era la droga necessaria a speziare i nutrimenti terrestri. Il dolore nascosto nei volti femminili lo attirava più della bocca e dei capelli medusèi. Quando arrivò la morte a visitarlo tutto era già pronto per riceverla. Il convento era diventato un mausoleo.
IL LIBRO
Gabriele D'Annunzio, Fedra, Oscar Mondadori