Platone ieratico come la sua barba. Socrate assillante come un tafano
TTL - Cl@assici | Secondo l'unico pensatore antico di cui rimangono integralmente le opere, la filosofia nasce improvvisamente nell'anima solo dopo una lunga convivenza con il maestro
Articolo disponibile in PDF
Su uno dei lati dell'erma bifronte è inciso Platone, dalla ieratica barba, e sul rovescio Socrate, simile ai Sileni che si vedono nelle botteghe degli scultori o al satiro Marsia. Socrate aveva occhi bovini così sporgenti che riuscivano a vedere anche di lato, e aveva la mania di interrogare la gente. Per le vie di Atene, assillante come un tafano, riusciva attraverso domande ben congegnate a far sì che uno schiavo del tutto ignaro di geometria arrivasse da sé alla dimostrazione del teorema di Pitagora. Questo poteva avvenire, ritenne Platone, solo perché ognuno ha dentro di sé la conoscenza della verità, avendola acquisita in una vita precedente.
Come la levatrice fa uscire i neonati dall'utero materno, così Socrate faceva partorire i pensieri dalle profondità dell'inconscio. Secondo Platone la filosofia non è comunicabile, ma solo dopo molte discussioni e dopo lunga convivenza con un maestro improvvisamente nasce nell'anima, come luce che si accende da una scintilla. La conversazione di Socrate crepitava di scintille, dava la scossa, perché Socrate era come una torpedine marina, che paralizza chi per caso le si accosta.
Secondo Platone la scrittura è quel gradevole esercizio che ferma solo il lato meno importante delle cose. Quando si leggono le opere di qualcuno, affermò, si deve concludere che ciò che aveva scritto non era per lui la cosa più seria, sempre che lui fosse una persona seria; e che, invece, le cose più serie sono rimaste celate nella sua parte più recondita. Se invece davvero costui affida a degli scritti il frutto delle sue riflessioni, allora è certo che non gli dei, ma i mortali gli hanno tolto il senno.
Platone è l'unico pensatore antico di cui rimangono integralmente le opere, ma ciò che scrisse fu ironico come lo era l'altra faccia dell'erma. L'oracolo di Delfi aveva definito Socrate il più sapiente di tutti gli uomini, le generazioni di tutti i tempi lo avrebbero giudicato il massimo dei filosofi. Ma poiché con le armi dell'eironia il satiro-filosofo smontava ogni luogo comune, certezza e legge, i contemporanei cominciarono a temerlo e finirono per processarlo e condannarlo a morte.
Anche della morte l'erma bifronte si prese gioco, e del costernato Fedone, raccontando un'incantevole favola notturna per ingannare il tempo in attesa dell'esecuzione. La favola riguardava la sopravvivenza ultraterrena dell'anima e avrebbe dato luogo a infiniti equivoci: proprio perché non tutti, specie dopo quella tragica morte, ne capirono l'umorismo. Vi fu chi, lontano dallo spirito ateniese, commise l'errore di prenderla sul serio e di mescolarla, quel che è peggio, con la religione.
Però i discepoli sapevano che il maestro spesso scherzava, che il suo insegnamento metteva in dubbio qualunque verità e disciplina e il valore stesso dell'insegnamento: chiunque credesse di sapere era ignorante, per definizione. Fra i discepoli di Socrate i più brillanti non erano né Fedone né Platone, ma due giovani verso cui il maestro nutriva un debole per la loro stramberia: Alcibiade, un futuro leader politico, e Aristofane, un commediografo, che pronunciarono i due discorsi migliori del migliore dialogo, il Simposio.
IL LIBRO
Platone, Simposio, a cura di Giovanni Reale, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, 269 pp., £ 48.000