Terenzio, il dandy degli Scipione, dalla celebrità alla miseria
TTL - Cl@assici | Poeta comico acclamato dai patrizi e dal popolo, i potenti di Roma lo amarono per la sua seducente bellezza: ma quando sfiorì la giovinezza, a soli 25 anni, si trovò solo, morì ramingo in Arcadia
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Publio Afro Terenzio fu un poeta comico, un uomo bello e amato, un dandy del circolo degli Scipioni. Nacque a Cartagine. A Roma fu schiavo del senatore Terenzio Lucano. Era così seducente che il suo padrone volle istruirlo e educarlo come un giovane aristocratico. Quando la peluria della barba apparve sulle sue guance, le sue maniere erano perfette e la sua mente precoce era stata raffinata nel crogiuolo delle lettere. Allora il senatore lo liberò.
Terenzio era di statura media, aveva il corpo esile, la carnagione scura. Altri nobili lo ebbero come amante: Gaio Lelio, famoso per la sua mondanità e bellezza; Scipione Emiliano, l'Africano minore, il potente. Ventenne, scrisse sei commedie, che furono acclamate dai patrizi e dal popolo. L'Eunuco andò in scena due volte lo stesso giorno e ricette un premio di ottomila monete, mai raggiunto prima da nessun altro.
A Terenzio nulla di ciò che è umano restò estraneo. Per questo, forse, fu accusato di plagio. Secondo voci insistenti, il suo giovane volto era, come quello dei suoi attori, solo una maschera. Dietro si celavano i suoi potenti amanti, forse il sorriso superbo di Scipione, forse la trasognata ironia di Lelio. Scrisse Gaio Memmio: "Scipione Emiliano detto l'Africano prese a prestito da Terenzio la sua maschera e mise in scena sotto il nome di Terenzio le commedie che aveva composto a casa sua per il suo personale divertimento". Cornelio Nepote afferma di aver saputo da fonte certa che Lelio una sera nella sua villa di Pozzuoli aveva tardato a raggiungere i suoi ospiti a tavola. Quando finalmente entrò nella sala da pranzo, si scusò dicendo che non gli era capitato spesso di essere stato così ispirato nell'arte dello scrivere. La moglie gli chiese allora di leggere qualcosa, e Lelio recitò due versi della commedia che poi Terenzio chiamò Heautontimoroùmenos.
Comunque sia, ben presto — non aveva ancora compiuto venticinque anni — il favore degli alti circoli che avevano costruito il suo successo si appannò. Porzio Licino commentò: "Finché cerca l'amore lascivo e le bugiarde lodi dei nobili, / finché ascolta avidamente le parole divine di Scipione, / finché pensa a farsi invitare spesso a cena dal bel Lelio, / finché crede di essere amato da loro, viene portato spesso / nella villa di Alba per il fiore della sua giovinezza: / quando altri furono preferiti a lui, si ridusse nella povertà più nera".
Terenzio partì allora per la Grecia. Secondo alcuni, andava in cerca dei testi dei maestri ellèni. Secondo altri, desiderava soltanto scomparire. Nessuno dei protettori di un tempo gli diede più alcun aiuto. Secondo alcuni, morì in mare mentre tornava con centootto commedie di Menandro tradotte in latino. Secondo altri vagò per le regioni aspre dell'Arcadia, senza nemmeno un tetto, né un servo che potesse andare a riferire notizie del padrone a chi lo aveva dimenticato. Secondo alcuni, morì nell'isola di Leucade, per il profondo dolore causato dalla perdita dei bagagli che aveva spedito in precedenza via nave e che contenevano le sue nuove commedie. Secondo altri, morì a Stinfalo. Et in Arcadia ego: Terenzio, che non frequentava più nessuno, in Arcadia incontrò solo la morte.
IL LIBRO
Publio Afro Terenzio, La donna di Andro, con testo a fronte, traduzione e cura di Simone Beta, Einaudi, 154, £ 15.000