Marcellino, un uomo probo nemico del fanatismo
TTL - Cl@assici
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Ammiano Marcellino fu il più grande genio letterario che il mondo abbia avuto nell'età compresa fra Tacito e Dante. Fu tra i più sofisticati, disperati e affidabili scrittori di storia di tutti i tempi. Nessuno quanto lui seppe padroneggiare la clausola ritmica. Nessuno poté attingere a tante fonti di prima mano. Nessuno ebbe una visione altrettanto lucida e buia del mondo che narrava e in cui viveva. Fu un avvocato e un uomo onesto in un tempo di frode e fanatismo.
Crebbe negli anni 30 e 40 del quarto secolo ad Antiochia, dove i palazzi degli ultimi aristocratici romani sfolgoravano di lamine d'oro sui tetti e sulle pareti e sui capitelli delle colonne. L'impero era assediato dai barbari: Galli, Unni, Alani, Persiani, Saraceni, Sassoni, Alamanni, Sciti, Ircani, Sarmati, Quadi, Burgundi, Vidini, Agatirsi, Scordisci.
Marcellino conobbe la situazione militare romana dall'interno. Fu un alto ufficiale del servizio d'informazione dell'esercito di Costanzo II. Conobbe i suoi segreti. Passavano per le sue mani i rapporti confidenziali inviati allo stato maggiore dai comandanti di reparto, le relazioni dei governatori delle province al governo centrale, le carte degli archivi riservati, le lettere dei suoi informatori personali.
Quando si trasferì nell'urbs aeterna, venerabilis, augustissima, perpetua, sacratissima, ascoltò angosciato gli ultimi abitanti vantarsi di nomi ridicoli, guardò cupamente la lussuria sessuale dei nobili, l'avidità dei ricchi, l'inutile vita dei plebei dissipata tra mescite di vino e corse all'ippodromo, i loro deprecabili cibi.
Pur avendo avuto come lingua madre il greco, pur avendo fatto il soldato di mestiere, pur essendo vissuto lontano dai libri e pur non essendo mai stato letterato di professione, Marcellino scrisse in un latino memorabile e ineguagliabile un'opera di altissima cultura, le Storie.
Fu coetaneo di Giuliano il Parabàte, l'Apostata, il Contrario. Lo ammirò con brividi di paura. Lo celebrò nelle Storie come imperatore esemplare e come eroe tragico dilaniato tra virtù e destino, preda di una follia sacrificale e di un'ansia divinatoria che lo accecherà e perderà come Edipo.
Tuttavia Marcellino elogiava la divinazione se praticata senza hybris, credeva negli oracoli orfici e negli aruspici etruschi, negli oroscopi, nella genitura e nella constellatio dell'individuo, spie del suo Daimon, nella magia dai due colori, bianca e teurgica, nera e necromantica.
Per Marcellino i cristiani erano una minoranza turbolenta che disturbava la tranquillità e la pace dei cittadini di Roma. La religione cristiana era troppo assoluta e troppo semplice, non conteneva arcana veritatis, come invece le religioni più mature. A Marcellino sembrava particolarmente ripugnante il culto cristiano delle ossa dei martiri, la cui conservazione rende simili a sepolcri i loro luoghi di preghiera.
Marcellino amava i templi pagani e tra le divinità del politeismo tardoantico prediligeva Quies, la quiete, Teti, rivelatrice della Legge, Mercurio, intelligenza veloce del mondo, capace di mettere in moto le menti degli uomini, Apollo, dio della vita ma anche della morte, identificato col Sole. I suoi raggi sono pietrificati negli obelischi di cui Roma è irta.
IL LIBRO
Ammiano Marcellino, Storie, vol. I, libri XIV-XVII, a cura di G. Viansino, Oscar Mondadori, 438 pp. , £ 24.000