Verlaine in fuga con Rimbaud: amore, botte, assenzio
Articolo disponibile in PDF
Diceva di essere l'Impero alla fine della decadenza. Paul Verlaine si chiamava anche Pauvre Lelian, perché era un relitto perduto esposto a tutti i flutti, pronto a partire per orridi naufragi. Fu uno spedizioniere all'Hôtel de la Ville, un carcerato in Belgio, un professore in Inghilterra. Fu ovunque un etilista, un tossicomane, un bruto, un poeta. Diceva: prendi l'eloquenza e torcigli il collo. Cercò di strozzare sua moglie Mathilde e le diede fuoco ai capelli. Minacciò di morte sua madre, infierì su suo figlio. Sparò al suo amore, un ragazzo biondo di Charleville, Arthur Rimbaud. Rimbaud era il più bello degli angeli cattivi di Ecbatana, aveva sedici anni sotto la sua corona di fiori. Sognava con le braccia conserte sopra le gale e le frange, l'occhio pieno di lacrime e fiamme.
Accadde a Bruxelles. Lo ferì al polso e fu condannato dalla giustizia belga per sodomia. Nella cella di Mons lo raggiunsero, appena pubblicati, i primi esemplari di Romanze senza parole, la sua migliore raccolta di poesie.
Un contemporaneo definì Verlaine un enfant terrible che tutto desolava e seduceva o incantava. Verlaine conobbe l'arte e il bello e ciò che li distingue. Il bello è l'armonia, diceva, l'arte è una dissonanza. Anche l'amore e la passione per Rimbaud erano armonia e dissonanza. I nostri, diceva, sono amori di tigri. Verlaine chiamava Arthur la Gattina Bionda e Mathilde la Principessa Topo. Verlaine diceva: Quando vado con la gattina bionda sono cattivo perché la gattina bionda è feroce. In casa Arthur distruggeva e rubava. Sottrasse a Mathilde un Cristo d'avorio. Defecò nella bottiglia del latte.
Verlaine non si lavava mai. Era di una bruttezza intensa. Aveva una fisionomia da fauno folle, con gli occhi infossati sotto una fronte enorme, la barba incolta. Era un Pierrot, gli occhi come due grandi buchi in cui serpeggia il fosforo, mentre la farina rende ancora più spaventosa la faccia esangue col naso affilato da moribondo.
Verlaine aveva letto la natura come si scruta un libro scritto piccolo. Aveva visto che sotto il sole tutto è niente, la vita è una fragile meraviglia, il nostro organismo un fiore che si disfa, il pensiero sconfina sempre nella follia. Come un grande poeta latino, Verlaine preferiva il verso Dispari, più vago e più solubile nell'aria. Verlaine non poteva vivere senza Rimbaud: L'inferno è l'assenza, scrisse. Quando Mathilde cercò per l'ultima volta di staccarlo da lui, le lasciò un biglietto: Miserabile Fata Rossiccia, Principessa Topo! Forse hai ucciso il cuore del mio amico. Io raggiungo Rimbaud.
Quando fuggirono insieme e vagabondarono per l'Inghilterra e il Belgio amandosi, picchiandosi e bevendo il verde assenzio, Verlaine dedicò una poesia al membro di Rimbaud: Même quand tu ne bandes pas /ta queue encore fait mes délices /qui pend, blanc d'or, entre tes cuisses, / sur tes roustons, sombres appas.
Quando Rimbaud morì, Verlaine scrisse: Tu, morto, morto, morto! Morto da negro bianco, selvaggio meravigliosamente civilizzato. La felicità aveva camminato al fianco di Verlaine. Ma la Fatalità non conosce riposo, il verme è dentro il frutto, il risveglio nel sogno, e - questa è la legge - nell'amore il rimorso.
IL LIBRO
Paul Verlaine, Poesie, a c. di Luciana Frezza, Superbur Classici, 302 pp., £ 9000