Addio alla Storoni Mazzolani
Aveva 95 anni
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“Tradurre gli antichi, difenderli dai barbari” era l’imperativo etico di Lidia Storoni Mazzolani, formidabile scrittrice e filologa oltre che straordinaria traduttrice, che si muoveva nell’antichità con la padronanza di una delle grandi dame romane del crepuscolo dell’impero. Delle città antiche conosceva le pietre e le mura parlanti, ce ne consegnava le iscrizioni, e la sua arte resuscitava le vite remote degli antichi cittadini come una Spoon River classica. Ma era anche intima dei potenti, da Tiberio a Galla Placidia. E dialogava con gli scrittori latini con la confidenza e l’eleganza di una Paola, di una Melania, che si trattasse di Agostino o di Ambrogio, di Tacito o di Cicerone o di Sallustio. Si può dire che fosse amica personale dei classici che traduceva, o studiava, o annotava, come lo era di Guido Ceronetti, di cui aveva intuito fin dall’inizio la grandezza — la si incontrava sempre al suo teatrino — o di Marguerite Yourcenar, le cui “Memorie di Adriano” devono moltissimo alla sua traduzione italiana — probabilmente la più bella che questo classico del Novecento abbia avuto, più bella anche, forse, dell’originale.
Salvare un testo, nelle molte accezioni che ciò implica, è un compito ancora più difficile che crearlo. La barbarie che questa coltissima, altera e cortese dama della nostra Decadenza combatteva era ancora più insidiosa di quella che premeva ai confini della declinante Roma imperiale. Altre erano e sono le armi che minacciano i testi antichi. Se nello spazio del secolo occupato dalla sua lunga vita molti di loro non sono stati dimenticati o travisati, ma hanno raggiunto ancora la mente e il cuore di un largo pubblico, si deve alla tenacia e alla garbata ostinazione del suo carattere, oltre che alla sua sapiente penna: “Penna d’Oro”, l’aveva premiata, ultimo fra i tanti riconoscimenti, il Quirinale.
La maestria della sua scrittura non le impediva di pensare che, nella nostra era, tutto è già stato scritto. E che il presente e il futuro hanno quanto mai bisogno del passato, di quella “tradizione”, di quel “tradere”, di quel “trasmettere” i pensieri dei nostri avi greci e latini, cui Lidia Storoni Mazzolani ha dedicato, nella sua lunga vita, il suo multiforme ingegno. Perché alla fine, nella repubblica delle lettere, “l’unica cosa importante”, come scriveva Flaubert, “è una pattuglia di menti, sempre le stesse, che si passano la fiaccola”.