Le tisane di Ildegarda
Lettere da Bisanzio
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Ildegarda di Bingen, la Sibilla del Reno, era autrice di rappresentazioni e composizioni sacre, che risuonavano nelle chiese di tutt’Europa, di prediche che ripeteva a Treviri, a Colonia, a Magonza. Sulle rive del grande fiume tedesco, tra le vigne, andavano a visitarla contadini e potenti e persino imperatori e papi lesi rivolsero a consulto, di persona o nelle lettere conservate dal suo grande e prezioso epistolario.
Tanta sapienza per essere perdonabile a una donna richiedeva, ai suoi stessi occhi, il sigillo dell’irrazionalità, della soprannaturalità o della sensitività. I talenti di Ildegarda nella forma di visioni mistiche ebbero il riconoscimento del papa, dei vescovi e di san Bernardo di Chiaravalle, al termine di dispute che investirono tutta l’Europa.
Tra gli esiti delle visioni di Ildegarda, dettati direttamente dalla divinità alla monastica veggente e da lei solo compitati, come una medium, vi furono anche le intuizioni e le ricette di una medicina anestetizzante e dolce, basata sulla relazione ecologica tra l’uomo e la natura e sull’idea alchemica di malattia come rottura dell’armonia tra corpo e spirito: «L’anima è una sinfonia. La salute è il superamento dell’isolamento».
Questo regime immaginifico ha per indicazione un unico grande morbo, il male di vivere. «Ho accerchiato le rovine del suo cuore per timore che il suo spirito si inalberasse d’orgoglio o vanagloria, e perché dalla sua sapienza provasse timore e tremore anziché gioia ed esultanza».
Le terapie di Ildegarda sono state sperimentate ininterrottamente per quasi un millennio. Tuttora sono eseguite nelle cliniche ildegardiane del mondo tedesco e da chiunque, per fede nell’ispirazione divina o più spesso per scetticismo verso la comune medicina, abbia attinto al Liber divinorum operum o alla Physica Hildegardis o alle Causae et curae, dalla Patrologia latina del Migne o dagli Analecta sacra del Pitra o dal volume 43 del Corpus Christianorum.
Lì si possono leggere le incantevoli ricette della Sibilla del Reno: la minestra del digiunatore o quella di marrobio alla crema, disintossicanti; l’issòpo, «in cui sono nascoste virtù che rendono allegri»; la tisana di santoreggia, «che rischiara gli occhi dell’uomo» dalla tristezza (Patrologia Latina, col. 1141 B), o quella di melissa, rosa canina e salvia, o il tè di tanacéto, in caso di vera e propria psicosi (Corpus Christianorum p. 168); l’elisir di violetta, di peonia, di scolopendrio o anche di gìchero, «nel caso dì una forte malinconia odi un’ipocondria che duri da mesi»; il vino spento, contro «l’ansia che rende malati», o i celebri «biscottini per i nervi», «che levano ogni amarezza dal tuo cuore, aprono la tua intelligenza, stimolano i tuoi sensi ottusi e diminuiscono in te gli umori tossici» (PL1139 B).
Infine le pietre preziose e i cristalli: il diaspro color oliva, da accostare alla bocca e inumidire col fiato caldo; il calcedonio celeste, da portare sulla pelle, un meraviglioso psicotonico (PL 1258 A); la sardònica, «da tenere sul ventre nudo e leccare spesso», contro l’indisciplina (PL 1253 A); il diamante, da lasciar cadere nell’acqua che si beve, così chiamata «acqua di diamante» (PL 1262A), la miglior droga contro lo spleen.