Le ricadute di fine secolo
Lettere da Bisanzio
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Secondo Nietzsche, la decadenza è «lo stato sociale o psicologico che risulta dalla perdita delle capacità spontanee di autoregolazione, collettive o individuali». Nel Crepuscolo degli idoli, Nietzsche scrive che per l'individuo questa perdita si traduce nello «scegliere istintivamente ciò che è nocivo, nel lasciarsi sedurre da motivazioni non finalizzate: ecco pressappoco enunciata la definizione di decadenza». E ancora: «Essere costretto a lottare contro i propri istinti, ecco la formula della decadenza» (ibidem, «Il problema di Socrate»),
Alla voce Dècadent, l’ultima edizione del Grand Larousse Encyclopèdique scrive: «Si dice di scrittori della fine del XIX secolo, che hanno avuto in comune il rifiuto del conformismo e la ricerca di un’estetica raffinata quanto risolutamente marginale». Verlaine, nella poesia Langueur della raccolta Jadis et Naguère scriveva: «Je suis l’empire à la fin de la Décadence». Era il 1884, lo stesso anno in cui Joris-Karl Huysmans pubblicò A rébours («A ritroso», «Controcorrente»), la bibbia del decadente (anche se Anatole Baju si attribuì la paternità della parola fondando due anni dopo una rivista dalla vita breve, Le Décadent, 1886-1889; e anche se Verlaine scrisse: «J’ai mal au dent / d’etre dècadent). Eredi dei naturalisti, precursori dei simbolisti, con i quali più o meno si fonderanno, o confonderanno, i decadenti «preferiscono al reale l’artificiale e all’idea la parola; soprattutto se si tratta di una parola nuova». Proprio come gli Scholars of Byzantium, i Filologi bizantini ai quali è dedicato il libro di Nigel Wilson (curato in Italia da Marcello Gigante), grandi intellettuali, enciclopedisti, grammatici e retori della Decadenza prima e più vera, quella che si snodò dal III secolo in poi dell’era cristiana e lungo tutto il millennio di Bisanzio, in una serie, per la verità, di Rinascenze.
Alla fine dell’800, lettori e scrittori sentivano vacillare le grandi cattedrali del pensiero. Risaliva ad alcuni decenni prima raffermarsi del pessimismo filosofico e l’affiorare dell’esistenzialismo di Kierkegaard, fi declino dell’Occidente davanti al prorompere dell’Asia era stato presentito da filosofi e scrittori. Trionfava il pensiero di Schopenhauer. Nietzsche faceva dell’oriente mitico la fonte di un nuovo vitalismo irrazionalista. E tuttavia, se Verlaine scriveva: «Io sono l’impero alla fine della Decadenza; gli uomini della fine dell’800 avevano meno motivi di noi per considerarsi decadenti.
Si era ancora, allora, nella Belle Epoque. Era salda la fede nella scienza. Il positivismo imperava e alimentava il mito materiale del progresso. Dal materialismo storico prendeva vita proprio in quegli anni la grande visione marxista, che avrebbe dominato il 900.
Oggi, anche queste ideologie sono cadute. La logica scientifica ha intrapreso il suo revisionismo. I progressi materiali della scienza hanno causato le principali inquietudini della fine del 900: la bomba atomica, l’esplosione demografica, il danneggiamento forse irreversibile dell’ecosistema, la massificazione e trasformazione, attraverso i media, dell’archivio delle conoscenze tradizionali. La caduta del muro di Berlino e lo sbriciolarsi dell’impero sovietico hanno segnato il crollo del comunismo e la crisi forse definitiva in Occidente, del marxismo.
«Le fine-secolo - diceva Huysmans – si assomigliano. Tutte vacillano e sono torbide». Se le certezze della fine dell’800 vacillavano, lenostre sono definitivamente crollate. A quell’epoca ci si diceva decadenti. Noi, oggi, potremmo forse dirci decaduti.