Apocalisse nell'isola
Lettere da Bisanzio
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A Patmos sventola ancora la bandiera di Bisanzio, l’aquila a due teste, nera su fondo giallo. La tradizione bizantina continua nei feudi dell'Esarchìa, negli eremi pieni di libri e nella biblioteca del monastero ortodosso del Theològos, il più teologo, e platonico, degli evangelisti. A Giovanni rannicchiato tra le rocce dell'isola si svelò, dicono, la fine del mondo. Il mito cristiano della Fine (bellissimo e oscuro, nonostante il nome apokàlypsis, «svelamento») si aggiunse alla costellazione dei grandi miti preesistenti: l’ekpyrosis o deflagrazione cosmica degli Stoici: l’avvento di Saosyant e con lui del regno di Ahura Mazda, nel dualismo zoroastriano; i Kalpa indù, gli eòni in cui è scandito il tempo tra la veglia e il sonno di Brahma.
Eppure, nell’isola dell’Apocalissi, la Fine del Millennio, il 2000, il count-down millenarista e in generale ogni data troppo tondeggiante fanno sorridere, sotto le lunghe barbe, i padri nerovestiti. Loro non avranno un Giubileo. Non hanno avuto, del resto, neanche una corte pontificia né un Bonifacio VIII. (L’impotenza di Dio è infinita, sentenziava Anatole France, e almeno in questo senso anche Dante era d’accordo).
I bizantini non hanno mai sperimentato quella spesso pericolosa mescolanza di potere spirituale sulle anime e potere secolare sulla politica, che resta prerogativa del mondo cristiano. «Ogni integralismo fonda una Chiesa-Stato, ogni ideologia totalitaria uno Stato-Chiesa», ha scritto Gilbert Dagron nel suo ultimo libro sul cesaropapismo bizantino, Empereur et prêtre, uscito in Francia (e di prossima pubblicazione in Italia). In un capitolo dei Fratelli Karamazov Dostoevskij faceva negare al rivoluzionario Ivan il principio della separazione tra i due poteri. Il dissidio tra dominio sulla terra e dominio sullo spirito esisterà sempre, sosteneva; ma anziché continuare a discutere quale posto debba occupare la Chiesa nello Stato, il nuovo secolo dovrà vedere l’elevazione a Chiesa dello Stato stesso. Così Dostoevskij prefigurava la Grande Utopia: il superamento, o rinnegamento, della divisione bizantina tra Stato e Chiesa, che si sarebbe realizzato in Russia come socialismo.
Le derive ideologiche della Chiesa-Stato possono rintracciarsi nel regime sovietico sotto forme anodine, come il culto di «san Lenin»; sotto forme gravi, come la soppressione della libertà di pensiero e la denuncia di eresie politiche; o sotto forme terribili, come l’inquisizione di polizia, le condanne a morte e i campi di correzione mentale. (Non è un caso che queste derive ideologie possano tradursi in metafore religiose). Bisanzio è un luogo simbolico. Se la storia del cristianesimo e della politica così spesso ha contraddetto il Vangelo di Matteo («Rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio»), a Bisanzio il cesaropapismo, lasciando gestire allo Stato la devozione di massa, consegnava alla Chiesa l’élite, dunque una libertà umanistica nell’elaborazione culturale. Delegando all'imperatore il potere, con tutto il suo apparato ideologico d’immagini e propaganda, attribuiva al clero la cultura, la complessità, la compresenza rinascimentale (in pieno medioevo) di tradizione cristiana e pagana classica. A Costantinopoli tutto, anche il pagano, l’eretico, il proibito, veniva conservato e trovava il suo posto nelle teche del Patriarcato. Contrariamente all’Occidente, Bisanzio non conobbe quasi mai roghi di libri: tranne quelli dei pii Crociati, e dei Turchi.