La cupola delle meraviglie
Lettere da Bisanzio
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Il pomeriggio del 29 maggio 1453 nelle strade di Costantinopoli il sangue scorreva come l’acqua dopo un temporale improvviso e i cadaveri galleggiavano verso il mare come meloni in un canale, scrive nel suo diario Niccolò Barbaro, un testimone veneziano di quella che nella storia europea si considera in genere la fine della città di Costantino: la conquista turca. (La narrazione di Barbaro, insieme a quelle degli altri testimoni occidentali, di Isidoro dei Kiev e dello storico turco Tursun Beg, si trova per intero nei due volumi curati da Agostino Pertusi per la Fondazione Lorenzo Valla: «La conquista di Costantinopoli», 1-11, Mondadori).
Il Conquistatore, il sultano Mehmet II, ha appena vent’anni. Legge avidamente il Corano e i Vangeli, i poeti persiani, le cronache degli imperatori, dei Papi e dei re di Francia, Omero, Erodoto, Livio, Senofonte e soprattutto Arriano, il biografo di Alessandro Magno. Si identifica talmente con il conquistatore macedone da commissionare la propria biografia a un ex-dignitario greco, Michele Critobulo, e farla confezionare con la stessa carta e nello stesso formato della vita di Alessandro della sua biblioteca. Parla turco, persiano, arabo e conosce anche il greco e il serbo-croato. È un malinconico poeta «Coppiere, versami del vino, che un giorno il giardino dei tulipani sarà distrutto», dice un suo verso. E suo ritratto più famoso, una miniatura, lo raffigura mentre avvicina alle labbra la corolla di un fiore rosso.
Il giovane sultano guarda il lago di sangue, attraversando lo scenario spettrale della città in rovina in sella a un cavallo bianco, per recarsi all’Haghia Sophia, la cattedrale della Divina Sapienza costruita 900 anni prima dall’imperatore Giustiniano. I greci che a centinaia si sono rifugiati sotto l’immensa cupola vengono sottoposti dai vincitori a spaventose violenze. Le dame dell’aristocrazia sono trascinate fuori a piedi nudi, legate tra loro con una fune al collo, per entrare - racconta in una lettera Isidoro di Kiev- in harem di militari di infimo rango. I ragazzi delle migliori famiglie vengono brutalizzati e sodomizzati, alcuni uccisi. Nulla di ciò turba l’atteggiamento contemplativo di Mehmet, che meditando sulla caducità di ogni gloria terrena prega Allah per la casa di Osman. Ma quando vede uno dei suoi soldati smantellare con l’ascia il pavimento di marmo bizantino, gli afferra il braccio con la mano: «Sii contento del bottino e dei prigionieri – dice. Gli edifici della Città lasciali a me».
Mai poeta o viaggiatore al mondo si è estasiato per Bisanzio quanto il Conquistatore. E sultano, racconta Tursun Beg, ascende silenzioso, in mistica contemplazione, sulla cupola dell'Haghia Sophia: «Accanto alle rovine dell’Aya Sofya, alle costruzioni ridotte a giardini di pietra, neppure un vestibolo era rimasto in piedi: rimaneva eretta soltanto una cupola. Ma quale cupola! Il pādshāh del mondo, dopo avere ammirato le opere d’arte e le statue meravigliose e straordinarie che si trovano nel suo lato concavo, decise di scalare il suo lato convesso».
«Salì così come lo Spirito Divino è salito al cielo del Sole. Dalle aperture che si aprivano verso le gallerie dei piani intermedi si fermò ad ammirare il mosaico del pavimento, simile a un mare pietrificato. E così giunse sulla sommità della cupola. Quando scorse i dintorni ridotti a rovine e deserto, meditò sull’incostanza e sulla variabilità di questo mondo, il cui destino è quello di cadere in rovina. Del discorso dolcissimo del pādshāh solo il verso seguente, in lingua persiana, è giunto all’orecchio di questo umile autore: "Il ragno fa da portinaio nel palazzo di Cosroe. Il gufo suona la musica di guardia nella fortezza di Afrà-sijab"».